Cotugno, Domenico

Dizionario storico delle scienze naturali a Napoli dal Rinascimento all’Illuminismo


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Domenico Cotugno (Ruvo di Puglia, 1736 – Napoli, 1822) medico, anatomista, fisiologo, rettore dell’Università di Napoli, fu uno dei principali fondatori della medicina moderna, basata su ricerca e analisi clinica.

Cenni biografici

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Domenico Cotugno nasce a Ruvo di Puglia, in provincia di Bari, il 29 gennaio del 1736, da modestissimi agricoltori che avrebbero potuto offrirgli solo l’opportunità di lavorare nei campi portando avanti le attività di famiglia. Invece, all’età di nove anni, il piccolo Domenico conosce un cappuccino, frate Paolo, che, incuriosito dal giovane ragazzino di campagna che faceva mille domande e non smetteva mai di parlare, decide di portarlo con sé nel Seminario vescovile della vicina Molfetta e di insegnargli a leggere e scrivere. Studia principalmente il latino, la filosofia e le consuete nozioni di retorica, ma le sue passioni propendono fortemente verso le scienze naturali e la medicina, alimentate dai soli insegnamenti del medico condotto della sua città natale, Domenico Azzariti. Decide pertanto, a soli diciassette anni, di trasferirsi a Napoli dove, con i pochi ducati avuti dal padre, arriva alla vigilia di Natale del 1753 per «frequentare i Regi Studi e i letterati della città»: non ritornerà più a Ruvo (se non per due brevissimi viaggi nel 1780) e Napoli diventerà la sua città “adottiva”.
È questo il periodo degli stenti e delle malattie, ma è anche quello che segna l’inizio di una carriera inarrestabile: dissertando in latino meglio di qualsiasi altro candidato sulla pleurisia, già nove mesi dopo il suo arrivo vince «un pubblico concorso al posto di medico assistente» presso l’Ospedale degli Incurabili. Nel grande nosocomio napoletano assiste i malati, seziona cadaveri, lavora giorno e notte senza mai fermarsi e utilizza il poco tempo libero solo per leggere libri di medicina. Nel 1756 completa i suoi studi con il conseguimento della “Laurea Dottorale” nell’antichissima e prestigiosa Scuola medica di Salerno: da questo momento, la storia della sua vita è segnata da una totale dedizione verso la ricerca anatomica e clinica, per la quale mette addirittura a repentaglio la propria salute, contraendo pericolose infezioni che culminano con alcune delle più importanti scoperte anatomiche del Settecento.
Senza successo, nel 1754, partecipa al concorso indetto, per la cattedra di medicina teoretica; non va meglio l’anno successivo per la cattedra di medicina pratica, né, nel 1760, per quella di botanica: i criteri di selezione erano ben lontani da quelli meritocratici tanto che, alcune volte, si attribuivano affidamenti diretti. A seguito di un concorso che lo vede partecipare insieme ad altri quindici candidati, finalmente, il 3 ottobre del 1766, gli viene assegnata la cattedra di Anatomia dell’Università di Napoli: da questo momento, fino al 1818, alla ricerca e alla clinica in ospedale affiancherà l’insegnamento, arrivando a finanziare di tasca propria gli studi dei suoi allievi più meritevoli nella convinzione che un professore doveva dare un aiuto perché «la medicina non è una scienza da imparare, è solo una cognizione», come scriveva nel suo Dello spirito della medicina (p. 12).
Intraprende numerosi viaggi sia in Italia che in Europa. A Vienna viene a far parte del seguito reale a causa dell’improvvisa malattia di Giuseppe Vairo, medico del re Ferdinando IV di Borbone: la notizia ha una risonanza molto ampia a Napoli tanto che, nel maggio del 1794, prende in moglie Ippolita Ruffo, vedova del duca Francesco di Bagnara, una delle più antiche e illustri famiglie napoletane, scelta che sembra dettata più da esigenze sociali che da altre necessità. Il 7 luglio del 1810 viene nominato presidente dell’Accademia delle scienze, carica che manterrà fino al 1817. Dal 1812, ricopre anche la carica di Rettore dell’Università (per il biennio successivo), quella di direttore dell’Ospedale degli Incurabili e quella, altrettanto prestigiosa, di Protomedico, la più antica istituzione sanitaria del Regno. Verso la fine del 1818, le sue condizioni di salute diventano precarie a causa di un ictus; fino a che non sopraggiunge la morte, che avviene il 6 ottobre del 1822, continua a ricevere onorificenze tra cui quella di socio dell’Accademia medica di Copenaghen, di Presidente dell’Accademia medico-cerusica di Napoli, di Consigliere di Stato.

Contributo alle scienze naturali in Napoli

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L’interesse per la medicina e la sua curiosità per i musei naturalistici, le biblioteche e verso l’organizzazione degli ospedali spinsero Domenico Cotugno a intraprendere numerosi viaggi per l’Italia e l’Europa. Nella primavera del 1765 intraprese un viaggio, che durò circa tre mesi, nel quale visitò le principali città che avevano avuto un ruolo preponderante per le scienze e la medicina moderne: Roma, Firenze, Bologna e Padova. Il resoconto dettagliato di questa esperienza determinante, Cotugno ce lo ha fatto pervenire grazie alla pubblicazione dell’Iter Italicum Patavinum, una sorta di diario scritto anche con l’intento di conservare integri i suoi ricordi, rimasto inedito fino al 1960. Da esso si evince che il giovane anatomista sentiva fortemente la necessità di avere un contatto diretto con quegli scienziati che avevano discusso delle sue scoperte. Infatti, già nel 1761, a soli venticinque anni, aveva pubblicato il De aquaeductibus auris humanae internae anatomica dissertatio, opera suddivisa in novantaquattro capitoli in cui, oltre a un’accurata descrizione dell’anatomia dell’orecchio interno, aveva dimostrato l’esistenza di un umore, il “liquido endolabirintico”, confutando il dogma aristotelico secondo il quale il suono si propagava attraverso l’«aer implantatus». In uno dei capitoli di questa opera, Cotugno fornisce anche considerazione sui meccanismi di risonanza, paragonando le vibrazioni della membrana basilare (chiocciola) dell’orecchio alla funzione di risonanza di un clavicembalo.
Antonio Borrelli ha posto in luce che i più significativi contributi di Cotugno derivarono dal suo innovativo metodo scientifico, frutto della fusione di anatomia e fisiologia, seguito per indagare i segreti del corpo umano. Probabilmente, le lezioni universitarie di “nosografia medica” tenute da Francesco Serao (1702-1783), figura di primo piano della scuola napoletana con il quale poi strinse rapporti professionali e di amicizia, ebbero una forte incidenza sui metodi di ricerca da lui adottati.
Nei suoi studi, Cotugno aveva anche individuato la porzione interiore dell’ottavo nervo cerebrale, il nervo naso-palatino, arrivando a definire la fisiologia dello starnuto; queste sue riflessioni verranno pubblicate postume in uno scritto di poche pagine, Sternutamenti physiologia, nel 1826. Riferisce Benedetto Vulpes negli Onori funebri renduti a Domenico Cotugno (p. 27) che, in una Tavola anatomica in rame del 1672, Domenico Cotugno aveva inciso quattro figure che mostravano «molti commercii nervosi, i quali dovevano servirgli di guida ad illustrare il fenomeno dello starnuto. […] Oltre a questa Tavola, in cui si trovano delineati i nervi naso-palatini, ho saputo che esiste una seconda Tavola con la figura di un cane sezionato vivo e nell’atto dello starnuto».
«Continuando indefessamente le osservazioni anatomiche su’ cadaveri», scrisse il De ischiade nervosa commentarius (1764), opera dedicata al celebre medico Gerard van Swieten (1700-1772) dell’università di Vienna. Come scrisse in una sua lettera a Giovanni Bianchi il 2 ottobre 1764, Cotugno la considerò come una sua apologia: «essa farà tacitamente, e come no ‘l pretendendo, la mia apologia» (Per la storia dell’anatomia dell’orecchio, p. 30). Questo lavoro nasceva dall’esigenza di fornire un quadro clinico della sciatica, ma anche di affrontare questa patologia da un punto di vista anatomo-patologico: si trattava di una malattia che aveva una forte incidenza sociale provocando, nelle sue manifestazioni più gravi, anche la paralisi dell’arto interessato. L’indubbia originalità di questa ricerca coincide con la dimostrazione dell’esistenza di una «sostanza acida e irritativa» del cefalo-rachidiano, denominata successivamente “Liquor Cotunnii”: l’infiammazione dipendeva dell’abbondanza di questo liquido o dalla sua eccessiva acidità. Nel diciassettesimo capitolo del De ischiade, Cotugno descrisse anche la presenza di un idropico nell’urina, una «albam in massam, tenerrimo jam coacto ovi albumini persimilem» (p. 30), isolata portando a ebollizione il liquido e fornendo per la prima volta una dimostrazione della presenza dell’albumina nelle urine. Il commentario venne tradotto anche in inglese e in tedesco, oltre ad avere numerosissime ristampe.
Queste scoperte ebbero un’ampia risonanza nella comunità scientifica sia italiana che estera e la verifica della loro attendibilità costituì uno dei temi scientifici di maggior interesse per tutta la seconda metà del Settecento: Cotugno ne ebbe riscontro proprio nel viaggio intrapreso nel 1765, dove ebbe anche il forte sostegno di varie personalità, tra cui quello di Gianbattista Morgagni (1682-1771) che reggeva la celebre cattedra di anatomia all’università di Padova e con il quale aveva iniziato, già dalla pubblicazione del De aquaeductibus, una fitta corrispondenza.
Nel 1788 diede un notevole contributo agli studi sulla circolazione del sangue con la memoria Del moto reciproco del sangue per le interne vene del capo in cui rivalutò la funzione del sistema venoso contro la teoria che definiva le vene “organi passivi”. Nell’ultimo suo scritto, Lettera II Sull’elettricità del Sorcio, scritta al Cav. Vivenzio, riferì la sua ipotesi, desunta dalla vivisezione di un topo, che gli impulsi motori degli organismi viventi avrebbero potuto avere origine elettrica, ancor prima di Luigi Galvani (1737-1798).
Fu medico pratico assai ricercato, molto preso da temi civili di riforma della didattica medica, ma contemporaneamente anche da quelli della riorganizzazione della sanità pubblica. Con l’amico Domenico Cirillo (1739-1799), affiancò il Supremo Magistrato della Salute per avviare le misure profilattiche contro la tubercolosi. Fu sostenitore di una battaglia civile e istituzionale a favore della vaccinazione antivaiolo: come resoconto di questa esperienza, pubblicò nel 1769 il De sedibus variolarium nel quale indicava la sede delle pustole vaiolose sulla pelle, proponendo anche molti metodi per riconoscere precocemente la malattia, per curarla con successo e per eliminare i danni da essa causati.
Nel discorso pronunciato nel 1772 presso l’Ospedale degli Incurabili, riportato nell’opuscolo dal titolo Lo spirito della medicina, il Cotugno riepilogò le sue convinzioni e ripensamenti critici sul ruolo della scienza nella società, sulla medicina e il metodo scientifico; egli invitava i medici a una osservazione più attenta e più meticolosa dei fatti, a prestare più attenzione all’ammalato, a operare le necessarie scelte terapeutiche. L’opuscolo, in breve tempo, divenne il manifesto del neoippocratismo e Cotugno venne considerato come l’Ippocrate napoletano.

Impatto nel contesto italiano ed europeo ed eredità intellettuale

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Le ricerche e le pubblicazioni delle opere classiche «fecero noto e ammirato il nome di Cotugno in tutta Europa»: non costituivano piccole scoperte, ma un corpo di conoscenze che arricchiva l’anatomia e di cui si ebbe vantaggio nella fisiologia e nella patologia. A partire dagli anni Ottanta del Settecento, lo scienziato di adozione napoletana raccolse i frutti di una notorietà scientifica e di una carriera professionale saldamente acquisite. Fuori dal Regno era ormai considerato il più autorevole rappresentante della scienza napoletana, consacrato come uno dei non molti interlocutori italiani nel dibattito medico-fisiologico.
Nel 1789, come medico di Corte o, come si diceva allora, “di camera”, seguì Re Ferdinando IV in Austria, Ungheria e in Baviera. Approfittò di questo viaggio per osservare quanto in Europa vi fosse d’arte, di scienza e di bellezze naturali e ne scrisse una specie di diario, l’Iter Germanicum dal quale emerge un Cotugno diverso, un uomo e uno scienziato più maturo, in cui si accentua l’interesse culturale. A Vienna visitò l’Accademia medico-chirurgica “Josephina”, come racconta ne Il viaggio da Napoli a Vienna nel 1790 (p. 35), rimanendo affascinato dalla cospicua raccolta di strumenti chirurgici: «mi piacque specialmente il gabinetto capsule chirurgiche e dei medicinali, ordinati e già pronti in caso di guerra, secondo le varie parti del corpo.» In Europa tutto gli apparve più efficiente, meno provvisorio e ben organizzato. Fu per questo che tanto si impegnò affinché Napoli si adeguasse alle grandi città europee.
Come esponente di spicco della società napoletana conobbe molti protagonisti delle vicende rivoluzionarie del 1799; tuttavia, come ricorda Antonio Jatta, «vivendo per la scienza, egli non s’interessò del movimento politico […] e perciò in prosieguo […] egli si ebbe la stima e la più alta considerazione del governo francese, e continuò a prestare anche sotto di questo segnalati servizi al paese nel campo scientifico». Nell’Enciclopedia Urologica Francese, in particolare nella prolusione di Jeanbrau di Montpellier, a Cotugno venne riservato il merito di essere un innovatore. Egli ruppe con i metodi filosofici del passato, al suo tempo invece ancora in voga.
Forse, la frase che meglio sintetizza il suo essere è ripotata negli Onori funebri (p. 29): «I grandi uomini non si fanno nelle scuole; si dispongono a divenirvi; ma in effetto ognuno deve essere maestro di sé medesimo».

Bibliografia

Opere di Domenico Cotugno

  • De aquaeductibus auris humane internae anatomica dissertatio, Neapoli, Di Simone, 1761.
  • De ischiade nervosa commentarius, apud fratres Simonios, Neapoli, Di Simone, 1764.
  • De sedibus variolarum syntagma, apud fratres Simonios, Neapoli, Di Simone, 1769.
  • Novis curis auctior, Napoli, 1769.
  • De animorum ad optimam disciplinam praeparatione oratio, ex Typ. Simoniiana, Neapoli, 1778.
  • Dello spirito della medicina, Tip. Morelli, Napoli 1783.
  • Del moto reciproco del sangue per le interne vene del capo, Neapoli 1789.
  • Lettera II Sull’elettricità del Sorcio, scritta al Cav. Vivenzio, in Opuscola Medica antehac seorsim ab auctore in lucem edita, nunc primum in duo volumina collecta, Napoli, Officina Bibliografica et Tipografica, 1826-27.
  • P. Ruggiero, Iter Germanicum, in Opera posthuma di Cotugno, Napoli, 1830-1832.
  • Domenico Cotugno (Necrologio), in «Atti del Reale Istituto d'Incoraggiamento di Napoli», t. V, Tip. Fernandes, Napoli 1834, pp. 323–333.
  • Sternutamenti physiologia, in Il viaggio da Napoli a Vienna nel 1790, Trad., proemio e note di G. De Gemmis, Bari, Arti Grafiche Rossi, vol. IV, 1961, pp. 1-114.
  • F. Lombardi, Le scoperte anatomiche di Domenico Cotugno: e il suo “Iter Italicum Patavinum”, 1964.

Studi

  • L. Belloni, Memorie dell’Istituto Lombardo. Accademia di Scienze e Lettere. Classe di lettere, scienze morali e storiche, 1960.
  • G. Bilancioni, Per la storia dell'anatomia dell’orecchio: lettere inedite di Domenico Cotugno e di Leopoldo Marcantonio Caldani, Stab. tip. Testa, Biella 1915.
  • A. Borrelli, Istituzioni scientifiche Medicina e società. Biografia di Domenico Cotugno (1736-1822), Leo S. Olschki, Firenze 2000.
  • G. De Benedictis, Domenico Cotugno: un messaggio di oggi a duecentocinquanta anni dalla nascita, Ariello, Napoli 1986.
  • A. Iurilli, Un medico nella Rivoluzione: Domenico Cotugno, in A. Massafra (a cura di), Patrioti e insorgenti in provincia: il 1799 in Terra di Bari e Basilicata, Bari 2002, pp. 193–210;
  • A. Jatta, Domenico Cotugno: note biografiche seguite da documenti e lettere inedite, Ruvo, Tip. P. Speranza, 1891.
  • A.A. Scotti, Elogio storico del cavalier D. Domenico Cotugno, Stamperia Reale, Napoli 1823.
  • B. Vulpes, Onori funebri renduti a Domenico Cotugno: nella solenne inaugurazione del suo busto in marmo dentro l'Ospedale degl'Incurabili di Napoli nel di 10. Maggio dell'anno 1823, Napoli, Tipografia de’ Fratelli Raimondi, 1824.

Nota Bene

Questo contributo rientra nelle linee di ricerca del PRIN 2017, The uncertain borders of nature. Wonders and miracles in early modern Kingdom of Naples (Cod. 2017EX5AC3).

ARTICLE WRITTEN BY CARLA PETROCELLI | STORIADELLACAMPANIA.IT © 2020

Hinc felix illa Campania est, ab hoc sinu incipiunt vitiferi colles et temulentia nobilis suco per omnis terras incluto, atque (ut vetere dixere) summum Liberi Patris cum Cerere certamen. Hinc Setini et Caecubi protenduntur agri. His iunguntur Falerni, Caleni. Dein consurgunt Massici, Gaurani, Surrentinique montes. Ibi Leburini campi sternuntur et in delicias alicae politur messis. Haec litora fontibus calidis rigantur, praeterque cetera in toto mari conchylio et pisce nobili adnotantur. Nusquam generosior oleae liquor est, hoc quoque certamen humanae voluptatis. Tenuere Osci, Graeci, Umbri, Tusci, Campani.
[Plinius Sen., "Nat. Hist." III, 60]

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