Terra di Lavoro, Alta Polizia, 1848

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Sommario

Nota del Curatore

Nel lungo e complesso 1848 in Terra di Lavoro si propagavano da parte della borghesia più avanzata fermenti liberaleggianti, mentre il ferreo regime borbonico fronteggiava, con esigua forza pubblica, mali atavici, come il brigantaggio nel territorio di Alvito, la diffusa delinquenza comune, l'agitazione popolare in Sora per il ritorno nella sede diocesana del vescovo misoneista Giuseppe Montieri, alcuni subbugli provocati da facinorosi nel distretto di Nola e a Maddaloni, faide paesane ai piedi dei monti Aurunci. In attesa di stilare gli elenchi con le persone ritenute "attendibili", cioè pericolose poiché insidiavano l'ordine costituito, la polizia metteva sotto stretta vigilanza tutti quelli che erano, o avrebbero potuto essere, sovversivi.

Abbreviazioni

ASCe = Archivio di Stato di Caserta
busta= b.
fascicolo= fasc.

I) ASCe, Intendenza di Terra di Lavoro, Alta Polizia, 1° Inventario (anni 1821-1861), b. 4 (anno 1848), fasc. 2 «Località: Sora, Gaeta e Alvito. Oggetto: Rapporto sui continui misfatti che si commettono nel territorio di Alvito per mancanza di forza pubblica».

1)

Al Signor Intendente della Provincia di Terra di Lavoro in Caserta
Giudicato Regio del Circondario di San Germano,

San Germano, 7 ottobre 1848

Non rari sono stati i furti qualificati, e taluni commessi anche nella strada consolare con pubblica violenza e da assembramenti di persone armate di schioppi, specialmente in tenimento del prossimo circondario di Cervaro, ed in quello dell’altro di Roccamonfina, nelle vicinanze dei comuni di San Pietro Infine e di Marzano. Molti d’altronde possono essere i male intenzionati, soprattutto nella grave miseria che affligge più di una classe di persone, in specie quella degli artigiani ed operai giornalieri che mancano di abituale lavoro. Quasi comune alla gente grossolana e volgare è per ogni dove la opinione di non più esservi rigore di legge, ed autorità di magistrati, per la punizione dei colpevoli in ogni genere di reati; ed intrepidamente si corre, quindi, alle offese; ed a qualunque attentato si è certi di non temere arresti o persecuzione dalla pubblica forza, che non esiste affatto. Le prigioni sono pure prive di custodia per mancanza della forza medesima, che dovrebbe prestarvela. Fra i più facili a delinquere non si ha persona che non sia apportatrice [portatrice] di arma; e quei che più son dediti al girovagare e di giorno e di notte più liberamente la [l’arma] apportano, fidandosi della loro arditezza, e della impunità che si assicurano. Quanto occorre all’amministrazione della giustizia penale in tutti i mezzi di esecuzione è allo stato interamente mancante, col pregiudizio della comune sicurezza, il discapito della pubblica autorità, e il pericolo della individuale offesa. Sulla linea della consolare molti sono i punti soggetti a facile aggressione dei malviventi, essendo faldeggiati da immediate comparse boscose di ben prolungata estensione. Il che premesso, mi induce ad avvisare essere necessario ed urgente covrirsi subito di guardie stabili tutti i posti lungo la consolare, come prima lo erano nei siti di maggior pericolo, a giudizio di chi venisse incaricato della ispezione locale. Rendesi più indispensabile una forza pubblica permanente, soprattutto in questo importante circondario, il quale, alla sua estensione, unisce pure la sua situazione sulla consolare, per lo che trovasi naturalmente esposto a tutte le eventualità del passaggio di nazionali ed esteri che, provenienti per la via di Roma, si introducono nel Regno. In ogni caso è da esigersi con rigore il servizio della Guardia Nazionale, che veggo [io giudice regio] interamente abbandonato col più vivo rammarico dell’anima mia. E se lo stabilimento della forza, come si spera, potrà avere il suo effetto, conforme da me con istanza si chiede; sarà certamente il mezzo più proprio per assicurare ogni servizio della giustizia mettere in atto la vigilanza sull’abusiva apportazione delle armi, e far eseguire le periodiche perlustrazioni nei siti più pericolosi della consolare, ed altrove.
Il Giudice col grado ed onore di prima classe Montesano

2)

Al Signor Intendente della Provincia di Terra di Lavoro in Caserta
Giudicato Regio del Circondario di Alvito,

Alvito, 10 ottobre 1848

Signore,
nelle prime ore di domenica mattina, il capitano della Guardia Nazionale di qui mi disse [di] avere in quel momento saputo che era stato catturato al sorgere del giorno da ladri ignoti nel tenimento di Vicalvi Giuseppe Tata nel castello di Alvito, mentre recavasi a Sora; e che s’accingeva egli a dar movimento alla forza per farli rintracciare. Perché Tata nel decorso della domenica, a me non presentatosi in quella sera, lo feci citare, ed egli, venuto in questo Regio Giudicato ieri sera, disse che recandosi a Sora, dove aveva comprato talune botti, giunse in tenimento di Vicalvi, ove in mezzo alla strada trovò sette persone armate di diverse armi da fuoco, delle quali [persone] una s’approssimò a lui [a Tata] e gli tolse ducati 35, che portava; e [Tata disse] che conducendoselo con essi, [i ladri] s’approssimavano al Castello d’Alvito, sua [di Tata] patria; e fermatisi al luogo detto Croci, ordinarono ad un di lui garzone, che lo accompagnava, di recarsi alla casa d’esso catturato, e portargli tre o quattro cento ducati, per indi renderlo libero. Disse anche Tata che il suo garzone andò, e ritornò, dando ai ladri una somma che [lui] neppure vide, e d’essa non à [ha] potuto conoscerne l’ammontare dagli individui di sua famiglia. Dichiarò ancora che lasciato dai catturanti, bendati tutti con laceri fazzoletti, essi continuarono il loro cammino, dirigendosi per queste montagne. Il capitano della Guardia Nazionale, alla data degli 8 ottobre, mi riferì che aveva già saputo che Tata era rimasto riscattato, e che i ladri eransi già disposti per le montagne suddette. Tale avvenimento, Signor Intendente, somministra seri pensieri per la tutela dell’ordine pubblico. Per mantenerlo, io credo, indispensabile che in questo circondario e in quello di Atina, cinti entrambi da maestose montagne, concatenate con quelle degli Abruzzi, si destini una competente forza militare, onde agire di concerto con le Guardie Nazionali di tali due circondari, ed anche di quello dei comuni di Casalvieri e di Schiavi, nei quali, come dicesi, sono annidati diversi malfattori. E dicesi anche che gli andamenti di taluni individui non piacciono affatto, e che fanno travedere la loro inclinazione al comunismo. Quindi, senza la presenza della indicata forza, io non so quel che potrà succedere in queste contrade, in merito al mantenimento della quiete pubblica.
Il Giudice Regio
Ferdinando Corradini

II) ASCe, Intendenza di Terra di Lavoro, Alta Polizia, 1° Inventario (anni 1821-1861), b. 4 (anno 1848), f. 7 «Località: Santa Maria Capua Vetere e Aversa. Oggetto: Invito per alcuni signori di presentarsi all’Intendente».

3)

Al Signor Intendente della Provincia di Terra di Lavoro in Caserta

Giudicato Regio del Circondario di Aversa,

Aversa, 21 ottobre 1848

Signore,
Ho fatto sentire a Don Michele Barlan, francese, di presentarsi subito a Lei, come si compiacerà rilevare dalla qui giunta ordinanza.
Il Giudice
Tommaso Barba

4)

Il 9 ottobre 1848 il sottintendente del distretto di Sora era Salvatore La Pegna.

5)

Il 9 settembre 1848 l’intendente di Terra di Lavoro era il cavaliere Giacomo Ciardulli.

III) ASCe, Intendenza di Terra di Lavoro, Alta Polizia, 1° Inventario (anni 1821-1861), b. 4 (anno 1848), f. 6 «Località: Arienzo. Oggetto: Rapporto su una manifestazione promossa per i fatti di Vienna».

6)

Polizia
Al Signor Intendente della Provincia di Terra di Lavoro in Caserta
Riservatissima

Bajano [Baiano], 12 novembre 1848

Signore,
Appena risaputisi in Napoli i fatti di Vienna, avvenne a Cancello uno sbocco di varie persone conosciute e sconosciute, partite da Napoli, le quali, invadendo Arienzo, e poscia proseguendo il loro cammino per Arpaja [Arpaia], verso Paolisi, Cervinara e Montesarchio, andavano suggerendo periclitare la data Costituzione, per essere il Re disposto a richiamare i suoi dati giuramenti; a prevenire tali certi avvenimenti [suggerivano] esser necessario proclamare decaduto il Re dal trono; e dichiaravansi, come forma di Stato, per la Repubblica. Associavansi a costoro segretamente pochi di questi paesi, appartenenti a quella classe di uomini che han perduto roba ed onore, seguaci dell’ozio e del vizio; ma, ad onta delle loro premesse, furono ascoltati da pochi, e restarono dolenti nelle loro fallite intraprese, fuggendo. Segrete suggestioni furono fatte da un prete di Arienzo, prima di giungervi un altro prete venuto da Napoli, primo e principale suggeritore e motore; seguì un subbuglio sostenuto da tre famiglie di galantuomini perduti e miserabili di quel comune [Arienzo], le quali famiglie allontanarono tosto il servizio della parte buona della Guardia Nazionale per una notte sola; ed in tal notte nel caffè e per le strade festeggiarono con gridi un nuovo ordine di cose; ma tosto nel mattino tornarono silenziosi e corretti, per non essersi veduti secondati dai più. Ora pare che tutto fosse messo all’ordine, ma in tali paesi si parla però anche da qualche superiore dei Nazionali di una lega rivoluzionaria che si sta stabilendo negli Abruzzi, cui interverranno anche i romani, e gli italiani, sotto un’associazione intitolata “Lega Italiana”, che dovrà fare il suo scoppio in breve, tanto io so ed ho potuto sapere finora, e null’altro, assicurandola che, ove in seguito vi fosse e sapessi cosa di positivo, io sempre fedele ed amante perduto della Costituzione giurata, e che voglio assolutamente conservata, non mancherò di dargliene distinta conoscenza.
Giacomo Pe[..]

IV) ASCe, Intendenza di Terra di Lavoro, Alta Polizia, 1° Inventario (anni 1821-1861), busta 4 (anno 1848), fascicolo 24 «Località: Sora (Distretto) ed Arpino (Circondario). Oggetto: Atti contrari alla legge commessi da delinquenti comuni».

7)

Giudicato Regio del Circondario di Arpino,
Al Signor Intendente della Provincia di Terra di Lavoro in Caserta

Arpino, 17 novembre 1848

Signore,
Appena il mio arrivo in questo Circondario, cui la Maestà del Re si degnò traslocarmi, sono stato sollecito prendere conoscenza distinta dello stato degli affari e delle condizioni morali delle popolazioni che lo compongono. Con sommo mio dispiacere debbo pertanto manifestarle che il comune di Casalvieri, allo stesso [Circondario] aggregato, noto in tutti i tempi per essere stato un rifugio di malviventi, perché favoriti dalla locale topografia, trovasi da un breve periodo a questa parte in una posizione del tutto anarchica, ed antisociale. Una mano di banditi vi ha sostituito all’impero delle leggi il terrore, come rileverà dai seguenti fatti e circostanze. Dalla fine di settembre del corrente anno [1848], fino al giorno d’oggi, vi si contano numero 14 misfatti, consistenti in omicidi consumati, o mancati, ed aggressioni con pubblica violenza sulle persone, e sulle proprietà, oltre qualche altro non denunziato alla giustizia. Taluni di essi presentano dei colpi di fucile vibrati di notte contro delle donne, giovinetti, o forestieri, quasi che si prendesse a diletto l’uccidere, e il dare la caccia agli uomini come belve. Gli offesi ed i testimoni si manifestano costantemente riluttanti a dare conoscenza alla giustizia degli autori di tali reati, stante la pratica antica quanto barbara ivi invalsa di sacrificarsi [vendicarsi di], per parte dei colpevoli o loro parenti, coloro che facciano alcuna manifestazione alla giustizia. La Guardia Nazionale, sia per i dissidi che ebbero luogo nella sua organizzazione, per lo che furono inoltrati dei reclami, sia per la mancanza di disciplina, sia perché parecchi tra essi sono proseliti di malviventi, non presta affatto alcun servizio. Replicati rapporti furono per l’oggetto indicati alle autorità superiori, che restarono senza ascolto. Il Capitano della Guardia Nazionale si è rifiutato ufficialmente di rendere la sua forza ausiliaria della giustizia, sostenendo di non essere ciò della sua incombenza. Gli uscieri sono spaventati di colà recarsi pel disimpegno delle loro funzioni. La scorta del denaro della imposta diretta è affidata da questo percettore ad un capo latitante per nome Stefano Carlesimo. Posto ciò, credo mio dovere richiamare la sua superiore attenzione sul proposito, pregandola per quanto so e posso perché si compiaccia di impartire le disposizioni convenienti, onde un presidio di forza di pubblica sicurezza venisse colà stanziato, e dare tutti gli altri provvedimenti perché vi si potesse appieno ristabilire la pubblica tranquillità.
Il Giudice Regio
[…]

8)

Il 25 settembre 1848 il capitano della Guardia Nazionale del Circondario di Atina era Giacinto Visocchi.

9)

Al Signor Sottintendente del Distretto di Sora
Dall’Amministrazione Comunale di Schiavi,

27 settembre 1848,

Signor Sottintendente,
Il dolore che mi opprime non mi permette di esprimere la pericolosa colluttazione sostenuta da Don Paolino Agostini contro circa sette assassini che sabato, la sera del 23 cadente, verso un quarto d’ora di notte lo aggredirono quasi nella porta del paese, col proponimento di seco trasportarlo. Non le parlo poi di altri delitti e misfatti che si sentono giornalmente avvenuti in questo, e nei limitrofi paesi, commessi da bande di gente armata, che si permettono in ogni notte percorrere le campagne, perché son fatti pubblici a lei ben noti, sostenendo onorevolmente la primaria carica di polizia nel Distretto. Però sull’oggetto debbo convenire che se il Governo non [ispiega] spiega subito la sua energia in richiamare al dovere questi tali, saremo tantosto in un pessimo stato di brigantaggio non solo, ma forse di qualche sconvolgimento politico, essendone questi i preludi. Conseguentemente io la prego di far conoscere al signor Intendente lo stato infelice di questi paesi; e quindi, pregando vivamente di mettere a di lei disposizione una forza regolare ed istruita da poter imporre ai traviati, e conservar l’ordine nel Distretto, mentre nulla è sperabile dalla Guardia Nazionale, scevra di quella forza morale cotanto potente in simili incontri. La prego di un suo riscontro per mio discarico, poiché me ne chiamano di già responsabile il Pubblico, ed il prestato giuramento della carica che mio malgrado sostengo.
Il Sindaco
Michele Agostini

10)

Il Segretario della Sottintendenza di Sora nel 1848 era Augusto Palmisani.

11)

Il 28 settembre 1848 erano capitani della Guardia Nazionale: ad Arce Nicola Grossi, a Mignano [Montelungo] Biagio La Ricca, in Atina Giacinto Visocchi.

12)

Il sottintendente del Distretto di Sora era Salvatore La Pegna.

13)

Il 9 marzo 1848 il sindaco di Casalvieri era Don Carlo Frezza.

V) ASCe), Intendenza di Terra di Lavoro, Alta Polizia, 1° Inventario (anni 1821-1861), b. 4 (anno 1848), fasc. 25 «Località: Sora ed Arpino. Oggetto: Agitazioni della popolazione per il ritorno del Vescovo Montieri».

14)

Al Signor Intendente della Provincia di Terra di Lavoro in Caserta,

Dal Regio Giudicato di Arpino,

L’anno 1848 il giorno dodici luglio in Arpino,

Riunitasi nel Giudicato Regio dell’anzidetto Circondario il consiglio di sicurezza pubblica in forza della circolare dell’Eccellentissimo [Ministro] dell’Interno, in data 24 aprile ultimo, e confermata dallo schiarimento dell’Intendente della Provincia in data dei 30 prossimo decorso, sotto il numero 5082, e composto dal Regio Giudice locale, dal Sindaco, dal Capitano più anziano della Guardia Nazionale, e da tre notabili sottoscritti; onde fermare seria attenzione sulle inquietudini che da più giorni tengono agitati gli animi di queste popolazioni per la voce diffusa dell’imminente ricomparsa del vescovo [Giuseppe] Montieri in questa Diocesi. Considerando le cause gravissime, al Governo pur note, che diedero già luogo alla evasione dell’enunciato ordinario dalla sua residenza, e la impossibilità, in che lo strano suo procedimento da più anni lo ha messo di riguadagnare, quindi, quella morale autorità, che sola può sostenere, un ministro dell’Evangelo, ha giudicato che se l’agitazione degli animi pel solo sospetto di sua riapparizione è tale da destare grave apprensione, il fatto del ritorno ne sarebbe segnale di manifestazioni pericolose, perché a discaricarsi la suddetta commessione di ogni responsabilità dei disordini che provocherebbe la presenza di siffatto uomo, rassegna all’Eccellentissimo suddetto calde istanze perché stornasse questo inopportuno ritorno ed insieme a rassicurare stabilmente gli animi provvedesse che legalmente a quell’ordinario venisse sostituito [un] tale che, con la prudenza e la vera carità evangelica restituisse la sicurezza e la quiete a questa duplice importante Diocesi. Del che si è redatto il presente verbale sottoscritto da tutti i membri intervenuti:
Giuseppe Polsinelli (notabile), Antonio Cossa (notabile), Francesco Spaccamela (notabile), Angelo Pesce (capitano), Carlo Bianchi (sindaco), Giuseppe de Bevenant (presidente).

Per copia conforme
Ferdinando Gentile

VI) ASCe, Intendenza di Terra di Lavoro, Alta Polizia, 1° Inventario (anni 1821-1861), b. 4 (anno 1848), fasc. 29 «Località: Nola (Distretto). Oggetto: Rapporti sui subbugli, misfatti e disordini provocati dai facinorosi».

15)

Sotto-Intendenza del Distretto di Nola
Ufficio di Polizia
Al Signore Intendente di Terra di Lavoro, in Caserta

Nola, li 30 novembre del 1848

Il Tenente comandante la forza di Pubblica Sicurezza qui stanziata con rapporto di ieri mi partecipa quanto appresso:
Signore, come troppo a Lei è noto, venivano cercati con premura dalla punitiva giustizia i nominati Don Matteo Fortino e Don Diodato Del Giudice, di Moschiano, per imputazione di violenza con vie di fatti contro il magistrato giudiziario di Lauro, con asportazione di fucili, di che diedero luogo a farlo uscire dalle sue funzioni. E oltre a tali eccessi Ella non ignora qual biasimevole condotta costoro han serbata nelle attuali emergenze, quantunque latitanti da quel Comune, e che la forza ne andava in traccia. Per l’esecuzione di questo rilevante servizio vari espedienti si misero in pratica, ed il caporale Pasquale Morcone, comandante la colonna mobile in Avella, ne assunse l’incarico. Costui, la sera del 27 [novembre], giuntogli in sentore che i ricercati erano in pratica, ne rese inteso questo signor colonnello, e me, e fu che, occorrendovi una forza imponente per bloccare il comune, fu appositamente stabilita una forza di 60 uomini ed in fatti verso le ore della medesima [giornata] sorprese diversi punti di quel comune e riuscì ad assicurare alla giustizia i due soggetti indicati, uno dei quali si trovò armato di fucile e tre cartocci. Vado a spedire nella Gran Corte Criminale di Santa Maria i suddetti due arrestati che ora trovansi in queste prigioni distrettuali, ed oso informare Lei di tale operazione perché possa compiacersi valutarla convenevolmente a favore del surriferito Caporale Morcone, non che del Sergente Casale dei Carabinieri a piedi che pur anche lo seguì. Tanto le rendo estensivo in discarico del mio assunto; nella intelligenza che gli arrestati sono autori della espulsione del giudice de Bonis dal Circondario di Lauro di cui Ella è a giorno.
Il Consigliere d’Intendenza
[…]

VII) ASCe, Intendenza di Terra di Lavoro, Alta Polizia, 1° Inventario (anni 1821-1861), busta 5 (anni 1848-1849), fascicolo 1 «Località: Gaeta e Sora (Distretti) . Oggetto Sommossa degli abitanti di Aquino, Palazzolo e altri comuni dei distretti contro alcuni abitanti del comune di San Pietro in Curolis».

16)

Giudicato d’Istruzione di Sora

Al Signore Intendente di Terra di Lavoro, in Caserta

Sora, 25 ottobre 1848

Signor Intendente,
[Ci si riferisce ad Aquino]

Fin dal mese di Agosto 1848 correva voce che Bartolomeo Papa, di Monticelli, andava invitando delle persone in Aquino onde si tenessero pronte ad ogni ordine del Governo, che per lo suo mezzo sarebbe loro comunicato, per eseguire il progetto di dar sopra [sopraffare i] ai proprietari nemici del Re, ucciderli, e saccheggiarli, disarmare la Guardia Nazionale, nonché i militi dei dazi indiretti, e ripristinare così l’ordine alla concessa Costituzione precedente. Per accreditare poi questo invito santafedista [sanfedista] spargeva la voce ch’egli formava parte di numerose masse dal Governo armate, dirette e consigliate dal Generale Svizzero residente in Gaeta, il quale doveva andare in di loro sussidio con alquante milizie regie, fingendo non pertanto di inseguirle. Avere il Governo ordinato per ognuno la somministrazione di grana 30 al giorno, e concesso due bandiere, rosa e bianca, fregiate dello Stemma Reale, con promessa ancora che, disimpegnato il debito loro, ne sarebbero compensate con pensione di grana dieci durante tutta la vita. I malintenzionati che prestarono fede ai detti di Papa, e diedero i loro nomi, per ora si sono liquidati. Si è da me assodato colla regolare istruzione che nei primi giorni di questo mese si accrebbero gli allarmi degli Aquinati, perché Papa e i suoi dipendenti [lì, in Aquino] si videro in consesso e dopo la costante voce corsa che costoro partirebbero la sera del giorno 7 [sette] per Monticelli per unirsi ad altri di Pontecorvo, Roccaguglielma, Itri, Palazzolo, Sora, Palazzolo, Lenola, e muovere tutti dapprima sulle famiglie Fantacone [Giuseppe] e Pesce, di San Pietro in Curolis, e Roselli , di Roccaguglielma, e parte di loro [masse] ritornare ad irrompere fra quelle [famiglie liberali] di Aquino. Si è del pari liquidato da me l’allontanamento dei medesimi [individui delinquenti facenti parte delle masse]: la loro [di circa ottanta persone] riunione a circa le ore quattro della notte in contrada Colle della Mola, distretto di Gaeta, il tempo che rimasero ivi accampati; l’innalzamento di una bandiera bianca con Stemma Reale; il loro appello e il numero che ne risultò, che fu di 64 individui, quaranta dei quali armati di fucile; il loro congedo finalmente per non esservi intervenuti in gran parte; e l’ordine corso di tenersi pronti ad una seconda riunione, tosto che da Napoli si ottenerono [ottennero] riscontri analoghi. Avrei desiderato potere oltrepassare i limiti della mia giurisdizione per completare di tutto punto questa sì grave ed importante istruzione; perciocché Ella comprenderà benissimo quanto altro io avrei desiderato di fare, e che ad ogni modo protesto fin da ora di essere pronto ove me ne concedesse la facoltà.
Il Giudice Istruttore
Raffaele Caristo

17)

Nel 1848 a Roccaguglielma abitava il liberale Don Giuseppe Fantacone.

18)

Nel 1848 il capitano della Guardia Nazionale in Aquino si chiamava Don Giacomo Cappozzelli.

VIII) ASCe, Intendenza di Terra di Lavoro, Alta Polizia, 1° Inventario (anni 1821-1861), b. 5 (anni 1848-1849), fasc. 7 «Località: Maddaloni . Oggetto: Rapporto sui subbugli».

19)

Giudicato d’Istruzione di Maddaloni
Al Signore Intendente di Terra di Lavoro, in Caserta

Maddaloni, 28 dicembre 1848

Signor Intendente,
Ieri mattina il legale Don Pasquale Raffone di qui mi dichiarò che verso le ore due della precedente sera nel fare egli ritorno con alcuni di lui paesani e parenti dalla casa di Don Giacinto Sivo, rinvenne lungo la strada detta San Pietro molte persone armate, che diedero loro la voce di chi viva, tra le quali distinse Don Angelo Farina, Don Alfonso Farina, Antonio Rodriguez, Felice Pezzuti, i primi due autorizzati soltanto ad asportar le armi, quali individui della Guardia Nazionale. Aggiunse che, sebbene un’offesa dai medesimi riportarono, pure furono colpiti da timore per lo che si videro costretti a fermarsi per qualche minuto nella casa del signor Setaro, cognato del signor Raffone, e quindi andarono subito via con una lanterna somministratagli dal soggetto in parola. Successivamente i nomati Giuseppe Ferraro, Antonio Rodriguez, e Gaetano Trotta mi denunciarono colla istanza di prevenzione che pria delle ore ventiquattro del testé citato giorno di ieri l’altro stando essi a giocare a carte con molti altri dei loro paesani nella Taverna detta del Passo, esercitata da Nicola Scalera, si videro aggrediti da Don Gabriele Sivo, Don Vincenzo Sivo, Don Paolo Sivo, Giovanni Pellegrino, Alessandro Rossi, Giovanni Lombardi, Salvatore Lombardi, Giuseppe Bisceglia e Francesco Della Rocca, tutti armati di schioppi ed alcuni anche con bastoni, animati da ferro, dei quali i soli Alessandro Rossi e Salvatore Lombardi, non facoltati ad asportar le armi, e nell’impugnarle essi tutti, il succitato Don Gabriele de Sivo impose al detto Della Rocca di cominciar l’azione per esserne allora il tempo, per lo ché quello evaginò lo stile e con lo stesso vibrò dei colpi a Ferraro, ed al Rodriguez, accagionando una ferita pericolosa di vita e di sfregio per gli accidenti al dito auricolare della mano sinistra del primo, ed in testa dell’altro una ferita pericolosa di vita per gli accidenti, nell’atto che il Pellegrino un’altra offesa lieve cagionò alla gola del Trotta con la punta dello schioppo. Nella medesima mattina Michele Lombardi produsse querela contro i ripetuti Francesco Della Rocca, Don Gabriele de Sivo, ed altri autori ignoti, dal perché nella medesima sera di ieri l’altro fu sorpreso da costoro, armati tutti di schioppo, e senza veruna causa minacciato non solo nella vita, ma benanche esso Della Rocca tentò di ucciderlo con tirargli un’archibugiata, che fortunatamente non prese fuoco il fucile. In seguito Raffaele Della Rocca nell’avanzare a me la di lui querela, ha dichiarato che verso mezz’ora della ripetuta sera di ieri l’altro egli per disposizione del succitato Tenente [Gabriele] de Sivo, si conferì alla bottega da pizzicagnolo del germano di lui Francesco Della Rocca, onde chiuderla, per trovarsi lo stesso a prestar servizio nel corpo di Guardia Nazionale; ed avendovi rinvenuta la cognata, costei aderir non volle ingiunzioni precennate d’esso Raffaele; e nell’atto che erano amendue a favellar sul proposito, s’intese un vocio nella radente strada, e nell’uscire esso Raffaele Della Rocca fuori la soglia del menzionato locale, vi vide più persone armate, che sparlavano contro il detto Francesco [Della Rocca], e tra essi distinse soltanto delle voci dei paesani di lui Don Emmanuele Forgillo, Don Antonio Caputo, Nicola Mati, Giuseppe Ferraro, e Francesco Ferraro, e nel chiedere egli a questo ultimo cosa era avvenuto, lo stesso di risposta impose ai compagni di tirargli contro. Allora furono vibrate due archibugiate da persone non distinte, per effetto delle quali Raffaele Della Rocca riportò sulla faccia delle ferite con pallini di piombo, giudicate pericolose di vita e di storpio per gli accidenti. Finalmente nel ridetto giorno di ieri l’enunciato di Gabriele de Sivo con la qualità di secondo Tenente di questa Guardia Nazionale mi diresse un di lui rapporto, concepito nei seguenti termini:
«Signori, ieri la sera, verso le ore ventiquattro e mezza in circa, portandomi a montare la guardia la posto piazza, venni avvisato che verso il luogo denominato Passo era per avvenire una briga; fui perciò sollecito correre al posto a domandare forza, onde accorrere colà per prevenire il reato, che poteva essere di tristi conseguenze; ma non potei ottenerla [la forza] perché l’uffiziale smontante, assentatosi dal corpo di guardia, si aveva portato [con sé] la chiave della stanza de’ fucili; e così trovavansi inermi. Rimediai allora di accorrere con due miei figli, e col caporale Giovanni Pellegrino, appartenenti tutti alla sezione di mio comando, avendone richiesto ancora [il] la guardia Giovanni Lombardi, e così, portatomi al luogo sospetto, cioè all’osteria di Nicola Scalera, rinvenni molti individui che, con diverse armi bianche brandite, cercavano di offendere e schermirsi, e tra questi due feriti, e con non senza pericolo potei rassettare le ostilità cominciate. Tra gli individui di sopra cennati riuscii a riconoscere i sergenti Don Emmanuele Forgillo, Gaetano Trotta, Antonio Rodriguez, Giuseppe Ferraro, Felice Savastano, Don Antonio Caputo, nonché due forestieri annunciati in quell’osteria, e Francesco Della Rocca, contro cui si era armata la briga, e quindi lo condussi meco al corpo di guardia onde prevenire ulteriori inconvenienti. Dipoi, verso un’ora e mezzo di notte in circa venne notizia al corpo di guardia essersi tirate delle fucilate alla moglie e al fratello del Della Rocca, nella di costui bottega, sita in strada Giudecca, ed essendovi accorso con una pattuglia non vi rinvenni alcuno, meno il Raffaele Della Rocca, ferito da una delle fucilate suddette, e quindi mi son ritirato al posto, ove in seguito ho saputo da diversi individui che una trentina di persone armate, tra i quali vari individui non appartenenti alla Guardia Nazionale, era stazionata sull’ingresso della strada detta “Case di mezzo”, e lungo il tratto della strada San Pietro, fino al suo largo, incutendo terrore col motto: “Chi viva”. Non conoscendo lo scopo di questo attruppamento, ho creduto conveniente concentrarmi con la mia forza nel posto di guardia, senza uscire affatto a perlustrare alcuna parte del paese, volendo così evitare qualunque collisione. La mancanza di perlustrazione ha portato la conseguenza che la bottega della vedova Elisabetta Sferragatta sita in piccola distanza dal suddetto attruppamento è stata scassinata. Tanto il terrorismo, che l’attruppamento suddetto potrà contestarsi [affermarsi] dai signori Don Angelo Caruso, Don Pasquale Raffone, Don Carlo de Laurentiis, Don Michele Ossorio, Don Salvatore Sferragatta, e Don Francesco Raffone, che si ritirarono spaventati in proprie case. Debbo inoltre soggiungere che questa mane due individui del posto di guardia al Trivio, cioè Salvatore Santonastaso, e Pasquale Mastroianni, mi hanno rapportato essersi colà portato verso un’ora di notte un tal Don Raffaele, legatore di libri, di cui s’ignora il cognome, perché forestiere, Matteo Aicher di Antonio, Giuseppe Ferraro fu Marco, a chiedere con molta istanza e con impetuosità dei fucili di munizione, che colà si ritrovavano, che gli vennero negati; e che diverse voci partivano da uno attruppamento che li seguiva, imponendo la chiesta consegna dei fucili. Tanto doveva per mio discarico. Il Tenente Gabriele de Sivo».
Signore, Ella conosce meglio di me che alcuni della popolazione di Maddaloni sono divisi in partiti per personali inimicizie…Sembra che gli avvenimenti rapportati riconoscano la di loro origine nei cennati dissidi. Io mi sacrificherò pel mantenimento dell’ordine pubblico. Le fo riflettere però che qui [a Maddaloni] non vi sono che otto individui della forza di pubblica sicurezza, cioè quattro a piedi e quattro a cavallo, e che alcuni della guardia cittadina non sono indifferenti alle cennate divisioni. Abbandono poi a Lei di decidere quali altre misure siano da adottarsi nella intelligenza che pei detti avvenimenti già mi sono accinto ad una regolare istruzione.
Il Giudice
Don Vincenzo Iorio

[Maddaloni nel 1848 contava ventimila abitanti]

IX) ASCe, Intendenza di Terra di Lavoro, Alta Polizia, 1° Inventario (anni 1821-1861), b. 5 (anni 1848-1849), fasc. 16 «Località: Aversa. Oggetto: Dimostrazioni popolari con conseguenti arresti e richieste di notizie su individui sospetti».

20)

Giudicato d’Istruzione di Aversa
Al Signore Intendente di Terra di Lavoro, in Caserta

Aversa, li 30 ottobre 1848

Signore,
Quest’oggi davasi notizia allarmante a questo Capitano della Guardia Nazionale, Signor Don Nicola Ricciardi, che forse qui si sarebbe tentato, non si sa quando, né da chi, di piantare l’albero della repubblica. Il detto Capitano è stato pronto a darmene notizia, emettendo ei, l’altro Capitano Stano, ed io tutta la cura per sostener sempre l’ordine e la tranquillità; e disposti a reprimere ogni tentativo di chiunque tentasse turbarlo, abbiamo cercato di conoscere l’autore di tale voce allarmante, ed abbiamo verificato che il Signor Don Aspreno Merenda, Uffiziale Telegrafico qui destinato l’ha detta perché sparsa pubblicamente. Posso però bene accennarle che l’intera Guardia Nazionale si mantiene pronta a mantener l’ordine e la pacifica condotta della popolazione mi fa sperare che nulla potrà turbare la tranquillità pubblica.
Il Giudice
Tommaso Barba

X) ASCe, Intendenza di Terra di Lavoro, Alta Polizia, 1° Inventario (anni 1821-1861), b. 6 (anni 1848-1849), fasc. 1 «Località: Terra di Lavoro. Oggetto: Vigilanza su persone considerate sovversive ».

21)

Dal Ministero dell’Interno e Real Segreteria Di Stato
Al Signore Intendente di Terra di Lavoro, in Caserta

Napoli, 31 Luglio 1848

Signor Intendente,
Tengo accertato con fondamento che distinguonsi tra settari e repubblicani:
in Sora Don Saverio Loffredi;
in San Germano Don Federico Jucci; Don Giuseppe Petraccone; Don Gennaro Imperadore; Antonio Pegazzani;
in Pontecorvo Vincenzo Filippi, il quale è in quotidiana corrispondenza col barone de Rosa, in Napoli; Francesco Sparacane, in casa di cui si è rifugiato il marchesino Viscinelli, dopo essersi distinto nelle file dei rivoltosi il 15 maggio in Napoli; Domenico Cervo, canonico; Francesco Filippi, abate; Luigi Luisi, canonico; Francesco Colella, già capitano [della Guardia Nazionale] e il figlio;
in Itri Don Nicola Cardi, capitano della Guardia Nazionale; Don Gennaro de Fabbritiis;
in San Pietro in Curolis Don Giuseppe Fantacone, il quale tiene più di 60 fucili in casa, ed ha un armiere romano che continuamente lavora per suo conto, essendovi ragione a credere aver egli nascosto moltissime munizioni; Pietro Pesce; Domenico De Santis;
in Roccaguglielma centro del movimento di quelle contrade è la famiglia Roselli, che possiede molte armi ed è prepotente;
in Monticelli Francesco Lucchetta; famiglia Proia; Michele Moretta;
in Aquino Giacomo Capozzelli e Pasquale Pelagalli, entrambi ufficiali della Guardia Nazionale; Giuseppe Mazzaroppi; Carlo Spezio;
in Santopadre Giuseppe Malgaritti, uno de’ più attivi per far proseliti al suo partito;
in Arce Nicola Grossi;
in Palazzolo Camillo Maccarone;
in Roccasecca Giulio Scotto;
e da ultimo si fa osservare non essere dissimile ne’ principi politici il sottintendente signor La Pegna. Credo superfluo additare a Lei di qual momento sia aver precisa contezza di ciascuno dei suddetti individui e segnatamente del funzionario succennato; epperò mi attendo solo conoscere al più presto possibile tutto ciò che sarà lo effetto di solerti e sagaci indagamenti all’uopo.
Per il Ministro Segretario di Stato dello Interno
Il Direttore
Gabriele Abatemarco

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Hinc felix illa Campania est, ab hoc sinu incipiunt vitiferi colles et temulentia nobilis suco per omnis terras incluto, atque (ut vetere dixere) summum Liberi Patris cum Cerere certamen. Hinc Setini et Caecubi protenduntur agri. His iunguntur Falerni, Caleni. Dein consurgunt Massici, Gaurani, Surrentinique montes. Ibi Leburini campi sternuntur et in delicias alicae politur messis. Haec litora fontibus calidis rigantur, praeterque cetera in toto mari conchylio et pisce nobili adnotantur. Nusquam generosior oleae liquor est, hoc quoque certamen humanae voluptatis. Tenuere Osci, Graeci, Umbri, Tusci, Campani.
[Plinius Sen., "Nat. Hist." III, 60]

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