Un Pasquale Villani inconsueto e poco conosciuto: la collaborazione al Dizionario Biografico degli Italiani
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di Silvio de Majo

In appendice al volume edito nel 1994 in onore di Pasquale Villani, in occasione del settantesimo compleanno, compare un lungo elenco delle sue pubblicazioni, che contiene ben 142 titoli, inclusi scritti minori e di circostanza. Grande è stata quindi la mia meraviglia quando ho scoperto che non vi sono incluse cinque voci inserite nei primi due volumi (entrambi del 1960) del "Dizionario biografico degli Italiani". Si tratta probabilmente di scritti che egli stesso aveva dimenticato e non aveva segnalato a Luigi Musella, che in quella circostanza si assunse il non facile incarico di compilare l’elenco. Oggi è possibile ritrovare facilmente queste biografie grazie alla pubblicazione on line di tutti i 100 volumi del Dizionario, pervenuto finalmente al suo completamento. Così è successo a me, che per ritrovare una delle due voci note di Villani, quella su Lodovico Bianchini, mi sono imbattuto in cinque più o meno brevi biografie del tutto ignorate.
Mi è sembrato quindi doveroso contribuire a completare la sua bibliografia con una veloce analisi di queste voci, insieme a quella delle due più note, su Bianchini e su Francesco Conforti, perché riguardano periodi e argomenti storici – il Regno di Ferdinando II e il regalismo settecentesco – a cui egli non dedicò più, pur nella sua poliedrica attività di studioso, alcuna attenzione.
Le voci del 1960 furono scritte quando il Dizionario iniziava le sue pubblicazioni e Villani aveva 36 anni e al suo attivo una ventina di pubblicazioni, a partire dal 1948. Quell’anno, appena ventiquattrenne, aveva pubblicato sul n° IX della «Rassegna Storica Salernitana», alle pagine 78-94 l’articolo intitolato "Aspetti della partecipazione del clero salernitano ai moti del ’48". L’anno successivo sul n° X della stessa rivista usciva il suo secondo articolo, di più ampio respiro ed impegno (pp. 146-216), "Chiesa e Stato nel pensiero dell’Abate G. F. Conforti (1743-1799)", che costituirà la base dell’ultima voce da lui scritta per il Dizionario, uscita nel 1982 (vol. XXVII).
In questo caso la redazione del Dizionario chiese a Villani di sistemare un argomento che ben conosceva (ma di cui non si era più occupato) e mise anche a sua disposizione uno spazio inusuale: venti cartelle1; manifestazione non solo o non tanto dell’importanza del personaggio, quanto piuttosto di rispetto e stima nei confronti del biografo, che era ormai divenuto un maestro nel panorama degli storici dell’età moderna e contemporanea. Le prime voci che gli furono assegnate invece rispondevano ad un criterio quasi casuale: personaggi il cui cognome iniziava con la lettera A e si muovevano nel Settecento e Ottocento meridionali, i secoli sui quali Villani aveva scritto già saggi importanti, alcuni dei quali inseriti nel 1962 nel volume "Mezzogiorno tra riforme e rivoluzione", pubblicato nella collana "Biblioteca di cultura moderna" degli Editori Laterza. Il libro aveva l’intento di «approfondire lo studio della società meridionale per vedere concretamente operanti in essa – non fuori o al di sopra di essa – la classe dirigente e il ceto riformatore, che non potevano non essere, pur nell’ansia di rinnovamento e superamento, legati alla effettiva realtà del Paese, e soprattutto limitati dal lento processo di maturazione della particolare borghesia del Regno»2.
Riporto qui di seguito i titoli dei capitoli con accanto l’indicazione della prima uscita dei cinque saggi, perché costituiscono la pietra miliare del primo Villani: "Risultati della recente storiografia e problemi della storia del Regno di Napoli (1734-1860)", pubblicato nel 1955 con un titolo un po’ diverso in «Società», XI, n. 4, pp. 665-695; "Il catasto onciario e il sistema tributario napoletano alla metà del Settecento", pubblicato nel 1952 nella «Rassegna Storica Salernitana», XIII, pp. 80-101; "Lotte per l’individualismo agrario in un comune del Mezzogiorno (1700-1815)", che riprendeva il tema di una conferenza tenuta a Salerno nel 1958; "Contributo alla storia dell’anticurialismo napoletano: l’opera di G. F. Conforti" (che riprendeva il saggio del 1949, sopra ricordato); "Giuseppe Zurlo e la crisi dell’antico regime nel Regno di Napoli", pubblicato nel 1955 nello «Annuario dell’Istituto Storico Italiano per l’età moderna e contemporanea», VII, pp. 3-793.
Reclutare – per così dire – Villani tra i compilatori di voci meridionali era quindi logico, anche se si trattava di personaggi minori, e rispondeva all’esigenza di coinvolgere tutti gli storici in attività per la realizzazione di un’opera come il Dizionario Biografico, di cui, a differenza dei maggiori Paesi europei, l’Italia era ancora sprovvista. E Villani questa importanza l’aveva ben presente e la inculcava ai suoi allievi, come chi scrive, che fu indotto dal maestro a iniziare un rapporto di collaborazione durato poi più di quarant’anni e l’ha portato a scrivere alcune decine di voci. Di questo mio impegno Villani era in qualche modo orgoglioso e salutò con molto affetto il maxi estratto fatto in casa che gli confezionai per festeggiare il suo 80° compleanno4.
Non è da escludere che nel momento in cui mi esortava a collaborare all’opera, seguendo quando gli era possibile la stesura delle voci più lunghe e importanti, egli ricordava questo suo lontano iniziale impegno di collaboratore, a cui seguì poi solo quello occasionale delle voci già ricordate "Bianchini" (vol. X, 1968) e "Conforti". Le cinque voci che iniziano per A, redatte da Villani, sono le seguenti: "Abatemarco Domenico", "Abbamonti Giuseppe", "Agiout Thomas", "Aiossa Luigi" (vol. I, 1960) e "Amabile Luigi" (vol. II, 1960); di cui la prima, la terza e la quarta sono brevissime, appena una cartella e mezza; mentre la seconda è di tre cartelle e mezzo e l’ultima di cinque cartelle.
Domenico Abatemarco (1796-1872) fu una delle figure, per così dire minori, della borghesia provinciale meridionale (avvocato di Lagonegro e poi magistrato), impegnata nel Risorgimento (carbonaro, attivo nella rivoluzione del 1820-21 e in quella del 1848), che di conseguenza visse per lunghi periodi in esilio (Malta, Francia) per poi approdare al Parlamento del Regno d’Italia dopo l’Unità. Tutti temi che ritorneranno talvolta nei multiformi studi di Villani, seppur in prevalenza indirizzati verso la storia economica e sociale.
Ancora più collegato a futuri interessi storiografici di Villani, quelli sull’Italia napoleonica, fu la biografia di Giuseppe Abbamonti (1759-1818), anch’egli provinciale (di Caggiano in provincia di Salerno), giacobino della prima ora, fiancheggiatore nel 1794 della congiura Vitaliani-De Deo, poi amico di Filippo Buonarroti al Nord Italia, dove partecipò alla Repubblica Cisalpina. Tornato a Napoli nel 1799, scampò il capestro ma fu condannato all’ergastolo a Favignana, da cui uscì nel decennio francese.
Lontane da queste tematiche sono le due brevi voci di personaggi legati al mondo borbonico: Thomas Agiout, imprenditore francese impegnato a Napoli durante il Regno di Ferdinando II, che appoggiò, di cui non si conoscono i dati anagrafici; Luigi Aiossa (inizio Ottocento-1878), provinciale anch’egli (calabrese di Cinquefrondi), intendente di Bari e poi di Salerno, giudice nel processo a Carlo Pisacane nel 1857, dove pare però aiutasse Giovanni Nicotera a evitare la condanna a morte.
L’ultima biografia fu quella dell’avellinese Luigi Amabile (1828-1892), una complessa affascinante figura di scienziato, politico e storico, che sicuramente non mancò di incuriosire Villani, che gli dedicò molto più spazio di quello delle altre voci. Amabile fu prima un giovane medico dell’ospedale degli Incurabili, eletto deputato dal 1861 al 1870 e poi nel 1880-82. Aveva un «carattere inflessibile ed ostinato [e perciò] era poco adatto alla vita politica e parlamentare. Intervenne con passione nei dibattiti sulla istruzione pubblica, ma quando in un conflitto d'interessi locali ritenne ingiustamente offesi quelli della sua città rassegnò il mandato e disdegnò la politica». Sebbene fosse divenuto un chirurgo di fama, «negli ultimi anni della sua vita si volse agli studi storici con giovanile passione, con una energia – come scrisse il Croce – propria degli ingegni veramente e naturalmente forti. Si rivelò ricercatore infaticabile, diligentissimo raccoglitore ed ordinatore di documenti, raro conoscitore degli organi di governo e del funzionamento del sistema amministrativo e giudiziario, sicuro biografo di una folla di personaggi di vario rilievo, sicché le sue opere sulla vita di T. Campanella e sull’Inquisizione in Napoli sono ancora oggi non solo punto obbligato di partenza per quanti vogliano studiare e approfondire tali argomenti, ma, più generalmente, utilissima introduzione e – per chi pazientemente ne scopra le ricchezze talora celate nelle lunghe note e nelle ampie appendici – efficace e insperato sussidio allo studio della storia napoletana durante il dominio spagnolo».
Uno dei momenti storici incontrati in tre di queste voci (Abatemarco, Agiout e Aiossa) era quindi il regno di Ferdinando II, a cui Villani dedicò nei suoi studi scarsa attenzione, preso com’era ad analizzare altri periodi e argomenti, che – come è noto – hanno avuto da lui contributi di primissimo piano. Ricordo soprattutto l’età napoleonica, la demografia e la società del Mezzogiorno d’Italia pre e postunitaria. Fa eccezione in questo quadro la già ricordata voce biografica di Ludovico Bianchini (1803-1871), a cui dedicò contemporaneamente un profilo, apparso nel 1967 sul n° 6 a. XXXI della «Rassegna economica», dal titolo "Lodovico Bianchini e la storia economica del Mezzogiorno", uscito prima della voce solo per motivi editoriali. È infatti possibile che quest’ultima sia stata scritta prima e poi messa in stand by, in attesa del completamento del decimo volume.
Con questi profili Villani fu in qualche modo uno scopritore del funzionario borbonico, fedele collaboratore e ministro di Ferdinando II, economista sostenitore «di un moderato protezionismo», sulla scia del pensiero di Melchiorre Gioja; ed anzi «non un economista nel vero senso della parola – uno scienziato alla ricerca di verità teoriche –, ma piuttosto uno studioso di storia economica e un solerte e colto amministratore. Continuatore in questo campo della tradizione degli alti magistrati e funzionari del riformismo borbonico e del decennio francese». Di Bianchini Villani prese in esame soprattutto la sua opera maggiore, "la Storia delle finanze del Regno di Napoli", di cui colse l’importanza ma anche i difetti. Era non solo una storia delle finanze, ma una «storia della pubblica amministrazione e dei fatti economici […] importante per la raccolta di notizie e la elaborazione di dati», ma vi mancavano «forza di sintesi, profondità di penetrazione e di giudizio». Tuttavia «pur con questi limiti di fondo, il contributo era originale e importante in un campo che aveva allora in Italia assai scarsi cultori, e tra questi il B. assunse un posto di rilievo». Non fu quindi un caso se tre anni dopo fu pubblicata, con la cura di Luigi De Rosa, un’edizione dell’opera, da parte delle Edizioni Scientifiche Italiane.
Passarono ben quattordici anni nella intensissima vita di Villani: docente universitario, autore di studi originali di rilievo e di manuali scolastici e universitari, organizzatore di convegni, di gruppi di lavoro internazionali, direttore di "Quaderni storici", supervisore degli studi dei suoi tanti allievi e collaboratori e di tanti altri storici che facevano riferimento a lui. Un periodo senza ulteriori collaborazioni con il Dizionario, finché all’inizio degli anni Ottanta si presentò la possibilità di redigere la biografia di Francesco Conforti. Egli poteva così tornare al primo amore, rioccuparsi di un argomento che aveva ormai abbandonato e di cui non si occuperà più, salvo l’interesse per i nuovi studi sull’argomento e per qualche voce affine del Dizionario biografico, tra cui la mia sul ministro Carlo De Marco (uscita nel 1990, vol. XXXVIII). Villani scrisse l’ampia biografia, utilizzando a piene mani il suo saggio del 1949, ma tenendo presente anche gli studi successivi, come quelli di Romeo De Maio, Domenico Ambrasi ed Elvira Chiosi.
Nella voce è possibile rintracciare tutta la passione con cui il venticinquenne Villani si era occupato per la prima volta dell’argomento: lo scontro tra il regalismo napoletano e l’autorità assoluta dei pontefici nella seconda metà del Settecento. Anche Conforti era un provinciale (di Calvanico, vicino a Salerno): sacerdote, teologo, docente – presso un proprio studio – di diritto civile e canonico, nominato nel 1777 docente di storia sacra e profana presso l’università e poi di storia dei concili (1779), autore di importanti studi tendenti a affermare «la netta separazione del potere temporale e spirituale». Forte di una «concezione […] tutta spirituale della Chiesa e della sua funzione», si pronuncia contro la pretesa superiorità dell’autorità pontificia verso il consesso dei vescovi e quindi per la superiorità del concilio e approda a posizioni decisamente regaliste, così sintetizzate da Villani: il principe «ha il diritto di esaminare ogni decisione ecclesiastica e di rigettare quelle che, a giudizio suo e dei suoi consiglieri, o siano contrarie al diritto di sovranità temporale o possano turbare l’ordine pubblico». Molto ben visto dal ministro dell’ecclesiastico Carlo Demarco e dagli altri anticurialisti attivi a Napoli – nella società e nella corte – ebbe incarichi importanti e prebende ma non la pronosticata nomina a cappellano maggiore, dopo la morte di Sanchez de Luca nel 1786, fino a quello di revisore dei libri esteri (1791). In questa veste respinse i libri degli illuministi francesi, ma tenne nel contempo a freno «le pretese temporali della corte di Roma, la richiesta di annullamento del placet regio e dell’exequatur», mentre si avvicinava, senza aderirvi in pieno, al giansenismo, condividendone «lo spirito di ribellione all’assolutismo pontificio e l’esigenza di un ritorno alla disciplina evangelica».
L’avere delle posizioni sostanzialmente allineate con il regalismo di Ferdinando IV non salvò Conforti dalle cieche repressioni successive alla congiura nel 1794, mentre già da qualche anno la politica ecclesiastica napoletana aveva cambiato rotta, perché l’incalzare del pericolo rivoluzionario aveva consigliato un certo ravvicinamento a Roma. Perciò «nei primi mesi del 1796 i sospetti della corte e le misure repressive colpirono molti di coloro che si erano compromessi nella lotta contro la Curia romana». Conforti fu perciò arrestato nel giugno di quell’anno e liberato solo due anni dopo, quando ormai il sacerdote aveva rimosso dal suo animo il «sincero attaccamento al trono». Da qui l’adesione alla Repubblica napoletana e il suo inserimento nel governo nominato da Championnet come ministro dell’interno (12 febbraio 1799). Di questi ultimi mesi della sua vita Villani ricorda la circolare del 12 marzo diretta «“A’ cittadini Arcivescovi, Vescovi e Prelati” [in cui] si espongono i principi per i quali il regime democratico e repubblicano è “il più conforme alla mente del Vangelo”. È un inno alla libertà e all’eguaglianza». Questi principi, dopo la riconquista di Napoli da parte del cardinale Ruffo, non potevano non comportare la forca il 7 dicembre 1799. Conforti «fu dissacrato e il giorno stesso dell’esecuzione gli fu sottoposta una ritrattazione, nella quale egli rinnegando il suo costante insegnamento avrebbe dovuto riconoscere “il primato del venerando Sommo Pontefice … fondato nel Diritto Divino, primato non solo d’ordine, ma di potere giurisdizionale”. Era il supremo oltraggio alle sue profonde convinzioni»5.

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Hinc felix illa Campania est, ab hoc sinu incipiunt vitiferi colles et temulentia nobilis suco per omnis terras incluto, atque (ut vetere dixere) summum Liberi Patris cum Cerere certamen. Hinc Setini et Caecubi protenduntur agri. His iunguntur Falerni, Caleni. Dein consurgunt Massici, Gaurani, Surrentinique montes. Ibi Leburini campi sternuntur et in delicias alicae politur messis. Haec litora fontibus calidis rigantur, praeterque cetera in toto mari conchylio et pisce nobili adnotantur. Nusquam generosior oleae liquor est, hoc quoque certamen humanae voluptatis. Tenuere Osci, Graeci, Umbri, Tusci, Campani.
[Plinius Sen., "Nat. Hist." III, 60]

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