Fonti per la storia di Caiazzo in età moderna – Parte III (l'amministrazione della giustizia)

A cura di Armando Pepe

Pagina principale di riferimento: Fonti per la storia di Caiazzo in età moderna e contemporanea

NOTA DEL CURATORE
In questa sede sono raccolti documenti inerenti all'amministrazione della giustizia nel feudo di Caiazzo, prevalentemente si narra di arresti e assassinii. Nel primo documento c'è la descrizione di una fuga dal carcere, nel secondo si riporta la lista dei "cittadini più inquieti", nel terzo-, con poche e semplici frasi, sono esposte le modalità di un omicidio ai danni di un gendarme. Volutamente si è ritenuto opportuno collocarli qui per dare unitarietà al tema della giustizia e/o dell'applicazione delle leggi.

ABBREVIAZIONI

ASFi = Archivio di Stato di Firenze
AGCS = Archivio Guicciardini Corsi Salviati

1) ASFi, AGCS, filza 150 "Caiazzo. Amministrazione giurisdizionale", n° 3-15, inserto " Anno 1691. Per la fuga di due carcerati dalle prigioni del castello di Caiazzo con l'assistenza di alcune persone".

[345- 346]

1691

La precedente notte, intorno alle otto, ardivano [si ardiva], con non più sentita temerità simile, eseguire una macchina [macchinazione] ordita dai Mazziotti, esclusi dall'offerta delle plegeria [plegiaria e/o malleveria], e da Claudio Zito, nemico del Vescovo e sedizioso, e stretti [congiunti] e parenti de'carcerati in questo castello [di Caiazzo], coll'aiuto di più giovani inquisiti e disperati, di risolutamente estrargli [estrarre] detti carcerati, ferrati ai piedi in ogni maniera, giacché da loro medesimi, essendo le carceri forti e ben custodite, il giorno non potevano uscire; onde, scalato il muro davanti alla Città accanto il portone, e con la scala passati i merli [le mura merlate del castello], entrorno [entrarono] a scassare, con ferri, la porta della Torre, dove, levata pure la toppa del portello della carcere, con [la] scala entrorno dentro, e cavorno [cavarono] i detti carcerati; anco con i ferri e con l'istessa scala si calorno [calarono] tutti dal muro; con tanta quiete riuscitogli il fatto, che né la guardia, che vegliò fino alle ore sette, né Palazzeschi, Antonio Aldi, né tampoco io, poco distanti a dormire dalle carceri, potemmo sentire rumore alcuno, stimato [questo] particolare aiuto d'Iddio, per non azzardarsi alla morte che forse poteva succedere a chi si trovava di noi, coll'aggressore, con fare all'archibusate; dicendosi essere stati in numero di dodici almeno, ben'armati e pratici del castello, con animo disposto a sparare archibusate a chi gli [li] avesse scoperti, e fatta resistenza.
La mattina, alzati dal letto, riconosciuto il fatto, e trovate serrate tutte le porte del castello, eccetto la torre, feci chiamare il Governatore, e [il] mastrodatti, coi testimoni a pigliare il delitto in genere. Riconosciuto il delitto, esagerai col detto Governatore l'ardire di costoro, permesso dall'impunità dei delitti antecedenti, senza vederne alcun castigo, col non formare i processi, e chiudere per danari gli occhi al tutto.
[Al Governatore] dicevo del delitto commesso da Ivone di Carlo e Francesco Melchiorri, querelati da Flavio Camerotta, d'havergli essi [loro] sforzata la casa, e poi feritolo col coltello al collo; esso Governatore gli [ai due malfattori] haveva detto che bastava non si lasciassero vedere per [la] piazza.
Replicò il Governatore ch'egli non poteva torturare né chiamare li Commissarii, perché al Padrone tocca spendere per far la giustizia.
I carcerati la mattina lasciorno [lasciarono] i ferri attaccati alla Chiesa di Sant'Agnese, su la piazza, e si sentì in segno di giubilo una sonata di tromba, sentendosi [percependosi che loro ] stiano [di combutta] con tutti gli altri inquisiti, che fin'ora sono stati, e stanno, dentro Caiazzo, senza timore, e che apportano doppio disprezzo e confondono la giustizia; [ i delinquenti vanno] dicendo havere un padrone troppo buono, e ciò disse [anche] Luise Mazziotti, subito fatto il peccato che gli s'era perdonato.
[I delinquenti] ora scorrono a briglia sciolta a far peggio, minacciando di uccidere insino [finanche] Monsignor Vescovo; a tanto è giunta la petulanza degli inquisiti.

2) ASFi, AGCS, filza 150 "Caiazzo. Amministrazione giurisdizionale", n° 3-15, inserto "Lista dei cittadini più inquieti".

[472]

Ultima decade del XVII secolo

[Lista dei cittadini più inquieti di Caiazzo]

Luise Mazziotti, Domenico suo fratello, Andrea Pellegrini Capuano, suo cognato, il dottore Emilio Melchiorri, suo genero, fazione come la più potente per parentela e comodità e sequela, la più inquieta e dominante, senza la quale consulta mai si è risoluto di male in Caiazzo; è questa la lega più nemica della Casa [Corsi].
Paolo Alberti, benché faccia [la parte] dell'affezionato alla Casa [Corsi], nondimeno per essere cognato dei Melchiorri e parente diretto dei Mazziotti, si unisce con [la] suddetta lega, ma è poverissimo quanto maligno.
Carlo Lampieri, Claudio Zito, Tollo di Marco, Don Giovanni Simone chierico, Belardino Zito, chierico Agnolo Mirto, non sono meno maligni dei suddetti; a aderiscono [hanno aderenze] e consultano [danno consigli] pure col loro parere, siccome Giovanni Pietro Brancacci e tutti i Melchiorri, ma [è] una fazione men potente, [così] come più povera della suddetta.
Ci sariano [sarebbero] altri, ma non sono tanto uniti, se non con la corrente del popolo, come i più ignoranti e poveri.
I Manzelli fanno fazione da loro, e [ed è] divisa, e quasi nemica della suddetta [della prima]; e non fanno quel che vorrebbero, perché non possono, sendo [essendo] poveri e in gran famiglia; e questi son stati più maligni per il passato contro la Casa [Corsi] che al presente, mostrando [ora] in apparenza affezione.
Ivone di Carlo è spropositato, e si lascia guidare dai Melchiorri, che gli divorano il suo.

3) ASFi, AGCS, filza 150 "Caiazzo. Amministrazione giurisdizionale", n° 26- 33, inserto "Relazione dell'omicidio seguito in persona del caporale Crescenzio Barbato, e delle ferite in persona di Rinaldo Anzeletti, ambedue armigeri di questa Casa".

1746

[Alcuni armigeri] essendosi portati, in esecuzione degli ordini ricevuti, la sera di domenica passata, circa un'ora di notte, in un oliveto di questa Casa [Corsi] per guardare certa biada seminatavi, quale da molti giorni veniva di nottetempo dannificata da persone del paese, e trattenutisi in detto luogo fino alle ore due e mezzo, se ne vennero nella Città con due testimonii extra guardiam per adempire ad altri ordini ricevuti dal Governatore, cioè di far la ronda per tenere a freno la notte i malandrini.
Appena entrati nella Città per Port'Anzia s'abbatterono [s'imbatterono in] con due persone armate, [le] quali essendo state ricercate dal caporale della guardia chi fossero, da una fu risposto: "amici", e fu conosciuto alla voce essere Giuseppe Rainoni della Città di Sant'Agata [de' Goti], e l'altra si fece avanti con dire che non si fossero accostati perché sarebbero stati bruciati.
Ad una tal risposta il caporale [Barbato], con un altro armigero suo compagno, presero posto, ed un terzo [armigero] arditamente gli s'avventò addosso per carcerarlo; e nell'istesso tempo il carcerando, tenendogli impugnata la scoppetta, la scaricò; e l'armigero, destramente, per esserli [essergli] sopra, si riparò la botta allo stomaco, e [la scoppetta e/o lo schioppo] se la portò ai piedi, dove [per uno sparo accidentale] restò malamente ferito, e nonostante l'offesa [la ferita] ricevuta dalle palle, lo agguantò [il malvivente], e nel tenerlo ricevette un altro colpo di stile [stiletto], dal quale rimase leggermente ferito anche nella faccia, e allora unitamente con altri due armigeri, lo strascinarono per condurlo prigione.
A tal zuffa il suddetto signor Rainoni con due pistole alla mano pregava il caporale [Barbato] che l'avesse lasciato, con esibirli quantità di denaro, alle quali preghiere sì per il decoro della giustizia e per l'adempimento alla loro incombenza, come altresì per essere stato uno di loro ferito, il caporale non volse [volle] mai acconsentire; onde, vedendosi il carcerato strascinare, cominciò a chiamare un altro suo compagno restato al luogo, dove seguì [ aveva seguito con lo sguardo] la schioppettata, che fosse accorso in suo aiuto, per liberarlo dalle mani degli armigeri, tanto più che si è presentato, ché molto gli premeva il non andar carcerato per essere fuorgiudicato di Sant'Agata.
A queste preghiere giunse il compagno chiamato, e colla scoppetta ingrillata cominciò a minacciare gli armigeri che l'avessero lasciato [Rainoni], mentre in altro caso gli avrebbe bruciati. Alle quali minacce uno degli armigeri sparò una scoppettata, e l'ammazzò [il complice di Rainoni].
Il signor Giuseppe Rainoni, poiché si trovava lì presente colle pistole alla mano [le] scaricò e uccise il caporale [Barbato]; onde l'armigero ferito, che teneva il carcerato, e l'altro, che aveva ammazzato il chiamato in ajuto, alla meglio che potettero, vedendosi inferiori di forze, si diedero alla fuga, e se ne tornarono in castello, circa le ore 13, a rappresentare il successo.

PAGE CREATED BY ARMANDO PEPE | STORIADELLACAMPANIA.IT © 2019

Hinc felix illa Campania est, ab hoc sinu incipiunt vitiferi colles et temulentia nobilis suco per omnis terras incluto, atque (ut vetere dixere) summum Liberi Patris cum Cerere certamen. Hinc Setini et Caecubi protenduntur agri. His iunguntur Falerni, Caleni. Dein consurgunt Massici, Gaurani, Surrentinique montes. Ibi Leburini campi sternuntur et in delicias alicae politur messis. Haec litora fontibus calidis rigantur, praeterque cetera in toto mari conchylio et pisce nobili adnotantur. Nusquam generosior oleae liquor est, hoc quoque certamen humanae voluptatis. Tenuere Osci, Graeci, Umbri, Tusci, Campani.
[Plinius Sen., "Nat. Hist." III, 60]

CLORI%20Botticelli%20header%203.jpg

Storia della Campania. Risorse in rete per la storia del territorio e del patrimonio culturale
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241686 | DOI 10.5281/zenodo.3408416

COME CITARE | CODICE ETICO | NORME REDAZIONALI | CREDITI E CONTATTI

The content of this website is licensed under Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) License