Fonti per la storia di Caiazzo in età moderna – Parte I (descrizioni antropologiche e topografiche)

Pagina principale di riferimento: Fonti per la storia di Caiazzo in età moderna e contemporanea

NOTA DEL CURATORE
In questa pagina sono pubblicate le descrizioni dello stato (insieme di più feudi) di Caiazzo, prodotte lungo l'intero arco del XVII secolo. Come ha posto in evidenza lo storico francese Gérard Labrot: "En ce Royaume [di Napoli] que nous définirions volontiers comme du temps spatialisé, où la géographie des établissements humains dit l'histoire, décrire la distribution des hommes à la surface du sol, la localisation, la disposition des lieux où ils vivent et opèrent, est primordial".1 Le narrazioni-, che restituiscono una vivida relazione politematica-, rendono la misura di ciò che fosse Caiazzo nella sua economia come negli usi e costumi. I primi cinque documenti sono di natura omogenea, ovvero rendiconti molto dettagliati sul feudo, mentre gli ultimi due-, il sesto e il settimo-, riguardano prettamente l'agricoltura: la coltivazione dei gelsi (per la produzione del baco da seta e la conseguente lavorazione serica) e degli olivi, data la rinomanza e la bontà dell'olio caiatino.

ABBREVIAZIONI

ASFi = Archivio di Stato di Firenze
AGCS = Archivio Guicciardini Corsi Salviati

SOMMARIO

1) ASFi, AGCS, filza 149 "Caiazzo I. Documenti relativi alle compre di detti Beni. Privilegi e grazie domandate circa il possesso dei medesimi. Busta di documenti relativi", inserto 1 "Relazioni, note d'entrate su della città di Caiazzo e sue ville, e delle terre di Dugenta, Arcole e Torello, prima dell'acquisto fattone dal signor Bardo Corsi; sono in numero di 10 originali quasi tutti con intitolazione, postille ecc. di mano di esso Bardo".

1615 circa

La città di Caiazzo è numerata insieme con i sua casali fuochi [nuclei famigliari] 600, sebbene io credo che [vi] sia qualcosa [di] vantaggio, perché nelle** numerationi che fa la Corte sempre è con vantaggio delle terre; et è vicina a Napoli miglia 24 in circa.
La città è numerata e li casali sono [di] poche case ciascuno. L'aria di Caiazzo è ottima, e la città sta in buon posto.
Il Vescovado rende 1000 [ducati] l'anno in circa, et è vescovo un Acquaviva, fratello cugino del Cardinale Acquaviva morto, il quale [vescovo] a quanto sento è [di] humore stravagante et è poco d'accordo con i popoli di Caiazzo. Le genti di Caiazzo sono gente assai civile, e non vi è gran povertà né gran ricchezza, e tutti attendono alle loro cose, e hanno bellissimo territorio, di dove abbondantemente cavano il loro vivere, et è benissimo cultivato con abbondanza di oliveti, et anche selve; e quest'anno hanno una [una] buonissima entrata di olii. Sento anche che sono genti assai quiete. Il padrone à [ha] le prime e seconde cause et elige il Governatore della città, al quale la città paga le provvisioni per l'anno, e li dà casa franca da abitare; e tutti li proventi pecuniari che si fanno sono di essa città; il quale Governatore, servata la forma delle Prammatiche di questo Regno, si fa ogn'anno. Vi à [ha] anche il Barone un iuspatronato di un beneficio senza cura, che rende dai 50 ai 60 [ducati] l'anno. Vi è un castello, il quale sopra sta alla città, nel quale abitarono essi [baroni e/o feudatari] anticamente, ma da che lo comprò il Principe di Conca- o che havesse dubbio che fin troppo [fosse] sottoposto al vento, o che altro lo movesse- lo trascurò e per sé e per la sua casa [famiglia], cominciò un'altra casa per sua abitatione, vicina al Vescovado e alla piazza, e lassò in abbandono il detto castello; e dopo la morte del Principe [il castello] fu affittato al Marchese di Quarata [Corato], il quale seguitò di lassarlo andare male, e così è andata tutta l'abitazione in malora, che chi [chiunque] lo volesse ridurre ad abitare, ci vogliono parecchie migliaia di ducati. La casa dove abitò il Principe è capace di potersi abitare largamente, ma non è finita, anzi se non si rimedia andrà in rovina; ma si può rimediare con qualche centinaio di ducati, e poi il Padrone potrà ridurla in quello stato che li piacerà; ché, secondo me, a volerla ridurre a perfetione ci vorrà poco.
Non vi è giardino del Barone, sebbene dicono che fuori della città lo voleva fare il Principe. Questo luogo e tutti li altri del Principe di Conca sono stati molti anni o affittati o come se non havessero Padrone, perché questo Principe di oggi, giovane, molto poco conto tiene delle cose sue, si che non è da meravigliarsi se le sue cose sono deteriorate et in mal grado. A Caiazzo da Napoli si va per diverse strade, e la più corta credo sia quella da Caserta, ma di là non si può andare in carrozza fino in Caiazzo; vi è anche la strada che passa da Santa Maria di Capua, la quale l'ho fatta [percorsa] io, e si passa [per] una scafa, la quale è [per] la metà del Padrone di Caiazzo, e l'altra dell'abate di un'abbazia qui vicina, la quale è oggi del Cardinale Sfondrato [Paolo Emilio Sfondrati], per la quale strada si va in carrozza sin dentro Caiazzo, e la strada è assai buona, ché vi è solo [per] due miglia in circa un posto fangoso in tempo di pioggia. Li corpi d'entrata sono boschi, che possono rendere e hanno reso molto [di] più- che quando si caricano di ghianda può cavarsene molti cesti- li quali stanno bene per fare l'industria de' porci. [I boschi] possono anche rendere meno quando sono del tutto sterili, e quest'anno non hanno fatto ghianda ma hanno fatto certo cerro, il quale pure serve per i porci ma non è tanto buono. Con tutto il malgoverno del Principe se ne cava questa [poca] somma, ma questi boschi bisogna far conto di servirsene il Barone per sé, e farci l'industria che [da cui] ne ricaverà ottimo ritratto [risultato]. Vi sono anche terraggi [terreni] di grano e farro e un poco di riso; questi terraggi, in mano a [un] Padrone che ne habbia cura, credo possino rendere da vantaggio. Ho anche dedotto dalle entrate de' mulini e scafe quello che si può spendere in circa [ogni] anno, acciocché l'entrata si vegga netta il più che si può. Come si vedrà in detta lista di entrate vi è la Portolania e Zeccha [Zecca] per 200 ducati l'anno; [di] quest'entrata oggi il Principe non è in possesso, perché se l'è presa la Corte [Regia], sebbene quando il Principe comprò [il feudo] dal Conte di Caiazzo li fu promesso in specie detta Portolania e Zeccha. Però questa [cosa] a Vossignoria non havrà a dar noia, perché o ci daranno questa entrata libera e chiara o pagheranno quel manco che si riporta. Li altri corpi d'entrata sono in essere e non hanno difficoltà, e quello che si ricaverà da essi sarà [ad] utile, o danno, del compratore. Paga la città di Caiazzo ducati 2300 di [oneri e/o pagamenti] fiscali, ché questi medesimamente sono stati dal Re venduti [devoluti] a diversi, e volendo [Vossignoria] li potrà havere nell'istesso modo detto di supra. Con il contratto che Vossignoria à [ha] della compera che fece il Principe [di Conca] vedrà ogni altro particolare che li piacesse. Si può eligere un Erario, cittadino della [stessa] terra, il quale è obbligato a pigliare il peso di vendere le entrate, le quali stanno a carico e rischio suo. Vi sono anche le Baronie di Dugenta, Arcole e Torello; in queste oggi non ci sono vassalli ché l'aria non è buona e non hanno avuto un Padrone che le habbia protette. Questi luoghi sono vicini a Caiazzo miglia 4 in circa. Ci sarebbe da farci un scafetta nuova, ché su un certo luogo sul fiume [Volturno] si passa dal territorio di Caiazzo a quello di Dugenta, la quale è vicina a Santa Maria di Capua miglia 9. Il territorio di esse è grandissimo, [parte] ne è del Barone e parte di altri particolari [proprietari] e chiese. Il Barone il suo [terreno] lo può seminare e su quello di altri può far pascere li sua animali, quando loro [i proprietari] non seminano. Come Vossignoria havrà visto lo [il feudo di Dugenta] comperò il Principe dal Duca di Sant'Agata, dal contratto del quale [acquisto] Vossignoria vedrà ogni chiarezza; e anco di [terreno] poi [il Principe] ne à [ha] comprato da Giovanni Ferrante de Stefanellis [per] moia [moggia] 450. in circa. Quello che è proprio del Padrone saranno terre lavorative per moia [moggia] 1300 in circa e di bosco 200 in circa; e perché Vossignoria sappia cosa è un moio [moggio], le dico che in un moio [moggio] quasi si semina un tomolo di grano, che sono staia due di cotesta misura; le terre delli altri particolari giudicano che siano molte [di] più, e di queste facilmente Vossignoria ne havrà buona parte con sua comodità et a prezzo molto basso; intanto con le sue pecore si goderà l'erbaggio. Questo luogo [Dugenta e gli altri feudi] à [ha] bisogno d'aiuto, e qualche altra cosa, per tirarci la gente a lavorare et abitare, e sento da tutti che sia cosa da farci gran profitto. Il Principe, con essi luoghi, ci à [ha] da dare tutto il bestiame che ebbe dal Duca di Sant'Agata quando lo comprò, e mancandoci qualcosa lo à [ha] da rifare in danari. Oggi quel che ne cava il Principe è due taverne che stanno affittate, con incluse moia [moggia] 40 di terra. Se il Principe non ne cavò molto fu per il suo malgoverno. Dalle 3000 pecore [acquisite contestualmente dal marchese Corsi] si possono calcolare almeno 1200 ducati l'anno di rendita. Ci sono le taverne e la bagliva che oggi rendono poco, ma che in buona mano facilmente renderebbero di più, ché bisogna raccomodare la taverna; e anche dal bosco si può ricavare un buon ritratto [risultato]. Ciascuno di questi territori è giudicato un tesoro nascosto e pure io li ritengo un'ottima compera, ricordandomi di quel proverbio che dice "cosa fatta è terra disfatta", e con li guadagni diverrà ogni cosa buona.

A tergo del documento c'è un'annotazione vergata di proprio pugno dal marchese Bardo Corsi:
"Relatione di Caiazzo e Dugenta fatta dal signor Benedetto Biffoli doppo che fu stato in quel luogo, prima che io li comprassi".

2) ASFi, AGCS, filza 149 "Caiazzo I. Documenti relativi alle compre di detti Beni. Privilegi e grazie domandate circa il possesso dei medesimi. Busta di documenti relativi", inserto 1 "Relazioni, note d'entrate su della città di Caiazzo e sue ville, e delle terre di Dugenta, Arcole e Torello, prima dell'acquisto fattone dal signor Bardo Corsi; sono in numero di 10 originali quasi tutti con intitolazione, postille ecc. di mano di esso Bardo".

prima metà del XVII secolo

La città di Caiazzo anticamente fu posseduta da' signori Sanseverini, primi in questo Regno; dopo per mezzo della contessa Maddalena, figlia del signor Sanseverino e della signora Hippolita Cibo [o Cybo], heredi del contado di detta città, pervenne in lo dominio dei signori de'Rossi, del conte di San Secondo, l'ultimo che fu il conte Hercole de'Rossi; [il quale], come dissoluto la vendé al signor Principe di Conca, di felice memoria, per cento e dieci, e più milia [mila] ducati; la quale [città di Caiazzo] fu tenuta, e stimata, da quel signore, come cosa carissima, e dove disegnò tener sua casa continuamente, dovendo uscir da Napoli. Vi edificò un palazzo, con haverci speso molte migliaia di ducati, et per [i] 18 anni che [la città e/o il feudo di Caiazzo] fu in suo dominio, sebbene fu affittata per tre milia [mila] e cinquecento ducati l'anno, stimò et honorò questa città, come la più cara e bella cosa che avesse in tutto il suo dominio. Della continenza, bontà dell'aria, territorio, frutti, et ampiezza di boschi, e cacce d'ogni sorte, et vicinanza presso Napoli de 24 miglia- e otto sopra Capua- già deve Vossignoria stare informata a quest'hora; perciò lascio questa parte, et riaggiornerò. Delli vassalli, ché per non essere stato il padrone sopra [di loro] molti anni sono, molti di essi son divenuti temerari, et insolenti, et poco on niente timorosi della giustizia; et questo particolarmente perché alcuni delli Governatori, che pro tempore vi sono stati, poco ha curato di voler fare la giustizia nelli delitti occorsi, ancorché gravi, perché han procurato di far il fatto loro, mediante danari, poco stimando il servizio di Dio, la riputazione del Barone, et il buon reggimento de' poveri sudditi, dal qual mancamento et negletto [negligenza] della giustizia, ne son nati ogni giorno maggiori disordini; et forse, per giusto giudizio divino, per il negletto [trascuratezza] dell'autorità del Barone, bisognò che una volta il signor Principe di Conca strapazzasse questi tali tristi con duro carcere a più anni. Come ho detto, li Governatori, mirando solamente al loro utile, han pretermesso molte cose in disservitio del Padrone. Che sebbene è vero che li proventi son della città [di Caiazzo], la quale perciò se [si] stima una Repubblica in decimo sesto [sedicesimo], e le pene pecuniarie che nascono dalle disobbedienze e delitti vanno in beneficio della città, come padrona delli proventi per sentenza havuta da…. anni [or] sono, dal Sacro [Regio] Consiglio, al tempo del conte Giulio de' Rossi, e delle esationi [esazioni] se n'è stata e sta in pacifica possessione- e con questa conditione fu venduta e comprata- nulladimeno, quando il Barone vuole, et ha il suo Governatore veramente fedele, nelli delitti che occorrono li [gli] ordina che amministri la giustitia retta, la quale nessuno in effetto la vuole per dinanzi la casa sua. Alli delinquenti, et nelli casi dove li deve componere, habita prius partis remissione, sta al Governatore di componere il quanto, ché li eletti ce devono intervenire solamente per far il fisco et ché la città non resti defraudata, ché qua la cosa è passata in male uso, perché non si fanno compositioni mai per il suo verso [per il verso giusto]; et se pur se ne fa alcuna, [di composizione e/o causa], dove se [si] meritasse pena di quantità grande, perché il Governatore ha ricevuto il fatto suo non se [si] cura d'altro; et di qua nasce che gli eletti se [si] stimano loro superiori al Governatore, et il Barone [così] haver poca autorità con loro e con li vassalli; ma quando le compositioni si componessero proportionatamente, et conformi alli delitti, forse ognuno ce pensaria [penserebbe], e staria [starebbe] sempre su la sua, [pur] di non haver la disgratia del Barone, et disservirlo [rendergli un cattivo servizio] o disgustarlo in le cose di suo servitio e satisfatione; et su questo deve mirar grandemente il Padrone, quando manda il suo offitiale, che dovrà esser sempre fedele, intendente et non interessato, che per danari; quando occorresse al Barone, far mandar in galera, o condannar conforme alla giustizia, chi delinquesse; non si facesse maschera con li proventi, et s'intendesse con li eletti, con far copositioni basse et vergognose, et così lassar passar li delitti impuniti; però bisogna far le compositioni giuste, et castigar li tristi, perché così ne nasce poi col servitio, et beneficio commune, anco la riputatione et cognitione dell'auctorità del Barone, et del vero valore, e peso del privilegio delli proventi; il quale, come ho detto, è sempre contro li delinquenti, quando vuole il Padrone. Hor, stante questo disordine delle compositioni basse, ci sono alcuni cittadini seditiosi, quali vanno sempre sollevando l'ignoranti a voler litigare col Barone, o con altri, senza che prima s'habbia sana consulta della raggione; et questo, oltre per la malignità di parer Patres Patriae, anco per il loro proprio interesse, già che le liti si agitano nelli Regii Tribunali. Et questi tali se fanno far eletti per andar loro in Napoli a tanto il giorno, o vi mandano loro parenti, et vanno così cercando le liti come il male li medici, senza mai voler arrivare alle sentenze, come appunto ha fatto l'altro giorno, nel dover prestare il debito giuramento del ligio homagio [omaggio], che per nutrir questa pratica, quanto han possuto [potuto], contraddicendo ad una cosa tanto giusta, vi hanno speso nell'andar e ritornar da Napoli, mandar corrieri, cavalli, et giornate de' commissarii et altre persone vocate in Napoli, più di centocinquanta ducati, che poi al dare di loro conti, fan passare queste spese, così mal fatte, in altre partite, et sotto colori d'altre occorrenze della Città. Al che il Barone, come padrone e primo cittadino, deve molto bene haver l'occhio con operar che ogn'anno si veggano li conti dell'Università, con far che v'intervengasi [intervenga] un huomo [uomo] suo, a ciò non s'imbrogliano le carte, come s' fatto sempre, et hoggi più che mai se fa. Et qualche volta compliria [converrebbe] far passar questi conti per [i] Razionali di Summaria [Sommaria], come s'è fatto molte volte ad istanza di qualche buon cittadino, con far osservar le Regie Pragmatiche su questo particolar di conti d'Università e così non se [si] procurarà mai nessuno l'elettato per suo proprio guadagno, togliendosi il modo di spender del pubblico per commodo privato. È degno anco di consideratione che il più delle volte gli eletti tengono le parti con li fornari, bottegari, e macellatori e altre sorte de genti, et non se mira a mille frodi, et mancamenti notorii che da tali se fanno et si permettono, et se alcuno ne facesse resentimento contro di questi, l'istessi eletti le favoriscono essendo interessati; et ciò pubblicamente già che quelli che vi han da mirare, come [siccome] son giudici annali e catapani son dependenti e creati da loro, et per questo non se ne può haver giustizia, tal che nasce mancamento grande alli poveri bisognosi et al pubblico, in materia dell'abbundantia. Però deve il Barone ordinare al suo offitiale che, quando se [si] manca d'attendere e di ben governare su queste materie, publichi [pubblichi] dalli officiali della Città a chi sta commesso il carico; Vi ponga la mano lui con castigar gli eletti, et dependenti, che consentiscono a tali frodi, le quali son passate in tanto abuso per la protettione che ne sogliono tenere li eletti, come s'è detto, che spesse volte la povera gente patisce grandemente, così nel comprare come nel vendere, per il vitto quotidiano, con disservitio de Dio, male esempio de' buoni e et negletto del Governatore che vi tiene il Barone.
Quando vengono alloggiamenti de' soldati ordinarii, o extra, le patenti del Signor Viceré ordinano, così al Governatore come a gli eletti, che alloggiano per facultà li cittadini. Il Governatore, per che tal negotio è senza lucro, e di fastidio, non vi s'intriga, lasciando fare a gli eletti, e questi fan poi pagare et alloggiare a li poveri. Ché quando vi assistesse il Governatore al fare del repartimento, informato o informandosi delle facultà, e potere di ciascuno, non sarriano [sarebbero] così facilmente gravati li poveri; perché li eletti, che si veggono senza superiori, fanno a modo loro, li parenti franchi, et li amici, et adherenti ancora, dal che nasce una rovina grande, poiché li ricchi ne passano franchi, et viene solo provata la povertà, et plebe, la quale poi per evitar questo aggravio et detractio [detrazione] d'alloggiamenti et contributioni è sempre pronta in consentire alli publici [pubblici] parlamenti a quanto propongono o dimandano li eletti, li quali non cercano altro che sempre imponere li pagamenti e trovar modo d'attaccar liti col Barone, col Vescovo o con altri, e così far mala mercantia d'andare innanzi et indietro sotto pretesto di servitio pubblico et da Napoli et da Roma, o trovar altro colore per ingannar la gente minuta, et arrivare al fatto loro proprio.
Conviene anco breve, vera et fidel cognitione di questi vassalli, come de loro conditioni, virtù, o mancamento, et chi sia affetionato al Barone, o no, come se [si] son mostrati molti nelle piazze publiche [pubbliche] in questo atto di prestar giuramento, dove han contraddetto così apertamente ad una cosa giusta e debita molti di essi; et per ciò si deve dare ordine espresso a tutti i suoi ministri che nelle occasioni che ogni giorno si rappresentano di tali maligni e tristi se ne tenghi quel conto che si conviene senza mai mirarli e, potendo, se gli facci la giustizia retta, et così all'incontro [al contrario] se debbiano [si debbano] favorire li vassalli seguaci, fedeli et amorevoli in tutte le occorrenze del Barone, che così osservando l'officiale ognuno pensarà [penserà] servire il Padrone, e non saranno li maligni e litigiosi di nullo potere, perderanno il seguito della plebe, non potendo essere più gravati da questi tali; staranno con maggior decoro il Governatore e li buoni servitori, et affettionati vassalli. Et per l'avvenire, stante questo buon ordine, di dovere, e per raggione dovrà il Popolo nominare li affettionati del Barone, et quelli che non vogliono liti ma procurano la quiete et il buon governo, accertando Vossignoria per conchiusion del tutto che osservandosi li ordini suddetti senza dubbio ogni giorno acquisterà più iurisdictione et vassallaggio obediente, et ogn'uno sarà timoroso della giustitia et procurerà con buon opere haver la gratia del Signor Iddio, e del Padrone, che l'ha dato Sua Maestà Divina.
Con che bacio a Vossignoria Illustrissima la sua mano et gli prego dal Signor Dio prosperità continua.

3) ASFi, AGCS, filza 149 "Caiazzo I. Documenti relativi alle compre di detti Beni. Privilegi e grazie domandate circa il possesso dei medesimi. Busta di documenti relativi", inserto 1, "Relazioni, note d'entrate su della città di Caiazzo e sue ville, e delle terre di Dugenta, Arcole e Torello, prima dell'acquisto fattone dal signor Bardo Corsi; sono in numero di 10 originali quasi tutti con intitolazione, postille ecc. di mano di esso Bardo".

1615 circa

La città di Caiazzo è posta in Terra di Lavoro, 24 miglia discosta da Napoli, 24 da Benevento e 8 da Capua; è posta su di un colle assai fertile, ha quattro belle uscite, ed è di aere molto buono; consta di fuochi (nuclei familiari) 600 circa e ha 2500 abitatori. Il territorio, e il contado, vicino alla città è coltivato: consiste nella maggior parte in vigne, che fanno vini buoni e crudi; in oliveti, che producono oli così buoni e dolci, stimati pari a quelli venafrani, che loda tanto Orazio. Vi sono frutti così d’estate come d’inverno, non solamente bastanti per la città ma da darne fuori. Il territorio del contado è, per la maggior parte, lavorativo e dà grani in grande quantità; vi sono alcune selve fruttifere di ghiande, e inoltre vigne e oliveti. Questo territorio del contado viene coltivato dagli abitatori di sette ville che stanno per esso disperse; una delle quali verso Capua, che è la maggiore di tutte, si chiama la Piana: consta di 300 abitatori in circa, e il suo territorio è per la maggior parte arativo. Un altro villaggio si chiama Li Vascelli e San Silvestro, che è di sette o otto case in circa e, per il più, è boscoso il suo territorio, ma vi sono fichi eccellentissimi. Nella contrada di Sant’Angelo e tutti i Santi, dove sono due case abitate solamente, vi sono ghiande e una grande quantità d’arbori vitati e castagne. La villa di San Giovanni e Paolo, che sta in un colle soprastante alla città, consta di case 40 e abitatori 200, ha territorio vignato, olivato e, per parte, boscoso; e queste genti esercitano l’arte del campo per lo più. Verso Bucciano vi è un’altra villa di sette o otto case, dove vi è un gran territorio da lavorare. La Frustella, dove vi sono tre o quattro case, ha un territorio olivato. Li Sparani, altra villa di 20 e più case, ha territorio lavorativo, arbustato (arborato) con viti. Per la maggior parte di tutto il contado passa il fiume Volturno. Nella città non vi è distinzione di nobiltà, ma tutti indifferentemente entrano nel governo e nell’amministrazione pubblica. Vi sono otto dottori di legge fra preti e laici; e due o tre di medicina, cinque o sei notari, e molti altri che vivono del loro senza fare esercizio; il resto si applica nell’arte del campo o in altre mercanzie e nell’allevare maiali per l’esuberanza di ghiande; si applicano molti nel far vasi di terracotta, che vendono per i dintorni. Eppure v’è stato un tempo in cui da questa citta sono venuti al mondo cinque alti prelati: l’arcivescovo di Nazareth Fabio Mirto Frangipani, l’arcivescovo di Salerno Mario Bolognini, il vescovo di Caiazzo Ottavio Mirto Frangipani, che fu arcivescovo di Taranto e nunzio in Fiandra, il vescovo di Cariati Tarquinio Prisco e il vescovo di Alessano Orazio Rapari. Non vi sono ricchezze degne di considerazione, poiché non esiste un uomo che superi la disponibilità di diecimila scudi, e vi è gente che vive in povertà. Nel contado sono tutti poveri; nella villa della Piana sono solamente quelli di Casa Marocco che possiedono qualche migliaio di scudi di valsente. Le acque della città non sono buone; vi è solamente una cisterna grande nella piazza, che è cosa magnifica, e alcuni pozzi in poche case private. Fuori della città, un quarto di miglio discosto, vi è il fonte della Fistola, d’acqua assai buona e perpetua, ma non conducibile alla città perché sta al basso; a un tiro di pietra discosto pure dalla città vi è un altro fonte, quello dei Galloni, che ha acqua buona, ma è secco d’estate. Da quanto si è detto appare che grano, olio e vino la città abbia a sufficienza, e se d’estate dovesse mancare un po’ di vino, ha comodità di provvedersene dai luoghi vicini. Carne porcina ne ha in tant’abbondanza che ne manda gran copia in Napoli, e tutti ne tengono salata nelle case loro; le altre carni sono buone e sufficienti; vi è gran copia di animali selvatici, volatili e quadrupedi, né mancano pollami. Rare volte il pesce giunge dal mare, per essere la città discosta dalla marina 24 miglia; ve n’è, e buono, di fiume; in posti sei o sette miglia vicini vi è una grande quantità di trote, di cui molte sono tanto grosse che pesano 12 libbre. Vi è dovizia grande di prugnoli, di asparagi, tartufi e funghi nelle loro stagioni. Ha formaggi solamente paesani, non cattivi, e a sufficienza, né mancano nella loro stagione i latticini. Patisce un po’ d’erbaggi in estate ma ne vengono dai luoghi vicini quotidianamente e a sufficienza. Insomma, per lo vivere si sta bene, la legna si dà a buon mercato, e vi sono fieni assai. Gli abitatori, quando si sentono gravati dai padroni, per la vicinanza di Napoli ricorrono in Vicaria e alla Camera Regia. Non vi sono uomini molto scandalosi o facinorosi per natura. Preti vi sono in gran numero poiché in tutto passano i 120. Vi è la cattedrale con 24 persone, un arcidiacono, due primiceri, sei canonici preti, quattro diaconi, e otto canonici suddiaconi, un accolito e due lettori. Vi è la chiesa della Santissima Annunziata, patronale della città, dove, come in collegiata, servono in 12 tra preti, frati e clerici. Vi sono ancora tre chiese parrocchiali e tre monasteri di Frati Conventuali, che sono in 6, Cappuccini nel numero di 12, e Zoccolanti riformati, che sono 14. Nel contado vi è un sacerdote solamente nella Piana. A Caiazzo vi è una scuola a modo di seminario. Il clero è quieto, serve la Chiesa e non è scandaloso. Il vescovo è il signor Don Horatio Acquaviva d’Aragona, fratello carnale del signor Cardinale Ottavio d’Acquaviva, ultimamente morto, del Duca Geronimo d’Atri, del Conte di Conversano, e del Beato Rodolfo, gesuita martirizzato in Goa per la fede. Sarà d’età di 60 anni circa, e dicono che suole patire d’apoplessia. Questo prelato è stato sempre in discordia con i baroni, con la città, con il clero e con la Corte Regia. Fu fatto vescovo nel primo anno del pontificato di papa Clemente VIII senza esame, preso dalla Congregazione dei Cistercensi dove, per dispensa di papa Gregorio XIII, passò dall’abito dei Cappuccini, che aveva portato per molti anni. Prima di essere cappuccino fu colonnello dei soldati veneziani. Otto mesi dopo aver preso possesso della sua Chiesa ebbe dalla Sacra Congregazione del Concilio di Roma un Vicario Apostolico e con questi fu governata quella Chiesa sino al secondo anno del pontificato di Nostro Signore il papa, quando la buona memoria del Cardinale d’Acquaviva, per levarlo da Napoli, lo fece restituire nella sua giurisdizione nell’agosto 1607 e d’allora in qua sono stati molte volte laici e preti a querelarsi di lui in Roma, in maniera che gli animi ancora stanno per tutte le parti alterati, e Monsignore sta sempre in contrasto. Modo di privarlo del vescovato io non lo vedo, essendo di una casa così nobile. Ha questo prelato un animo molto grande e spende tanto volentieri; e si riduce alle volte non solamente a non aver da vivere, ma nemmeno d’aver lume la sera in casa. Di suo non ha un mobile al mondo, sta molto scarso di vestiti e i suoi parenti non s’interessano di lui. Nella compra di Caiazzo vanno anche le Castella: Alvignanello è un luogo di 12 o 15 fuochi, aere cattivo, gente poverissima; il territorio è per la maggior parte boscoso e dà grani molto cattivi. Di simile qualità è Campagnano, sebbene abbia cinque o sei case di più. Squille ha 20 case, un territorio assai grande, boscoso e arativo, ma più coltivato degli altri, e con grani di miglior qualità per essere più vicino a Caiazzo. Raiano (Ruviano), che è nella diocesi di Caiazzo, è un villaggio di 40 fuochi, territorio boscoso e arativo, e d’aere poco buono. Vicino a questo castello vi è una barca del barone (feudatario), che passa sul Volturno; un’altra è sotto la villa della Frustella nel contado di Caiazzo, e un’altra ancora sta presso il mulino baronale (di Pietramala) vicino a Capua, e fuori del territorio di Caiazzo, ma sotto la giurisdizione del padrone della città. Caiazzo e il suo distretto confinano da una parte con la baronia di Alvignano, del Principe di Caserta, e con la baronia di Formicola, del signor Duca di Maddaloni, e la baronia di Raiano. Da un’altra parte c’è il fiume Volturno e di là la baronia di Morrone (Castelmorrone), e Dugenta, del signor Principe di Conca, la baronia di Limatola dei signori Gambacorta. Capi popolo sogliono essere il dottore in legge Giovanni Lorenzo Gentile, il medico Pompeo Lampiero, che vogliono sempre dominare. Giovanni Battista Alberti e Paolo di Novello, medico, fanno i repubblicani. Alfonso d’Alois, napoletano e abitante in Caiazzo, ho inteso faccia il duca in modo che gli dicano Sua Altezza. Bisognerebbe tenere tutti questi un po’ mortificati perché con un minimo d’ardire sarebbero inquieti. Nel resto in tutti questi regna gran doppiezza e bisogna star sempre avvertiti.

A tergo del documento c'è un'annotazione: Relazione di Caiazzo fatta da Giovanni Francesco Feronia, che già stette Vicario in detta città.
[Evidentemente la relazione era per il marchese Bardo Corsi]

[da 8076]

4) ASFi, AGCS, filza 53 "Carteggio da Caiazzo", inserto 5.

8 luglio 1655

Illustrissimo signore e mio Padrone colendissimo Marchese Antonio Corsi,
Dopo la mia ultima lettera, di nuovo non ho da aggiungere a Vostra Signoria Illustrissima solo che giovedì 29 del passato giorno di San Pietro nella taverna di Dugenta fu ucciso Francesco Gambacorta, quello col quale abbiamo la lite di Melizzano, da Don Tomaso Carafa, che stava pranzando in detta taverna con la moglie del Principe di Frasso, morto molti mesi or sono; il detto Don Tomaso, essendo stato provocato da Francesco Gambacorta- il quale gli andava anche addosso con l’archibugio a cane calato- cacciò mano alla spada e gli diede una stoccata, che subito lo fece cadere in terra morto; e nell’istesso tempo della stoccata, mentre cascava, Francesco sparò con l’archibugio e diede tre botte nel braccio destro di Don Tomaso, che sta ancora lui moribondo; il detto Francesco portava una squadra di venti uomini, e si dovette sparare tanto poiché al morto si trovò un’archibugiata al petto, che gli aveva trapassato il giubbone e il corpetto senza offendergli la persona. Per tal causa sono andati carcerati a Maddaloni e a Napoli il capitano di Dugenta, il mastro d’atti e i tavernieri. Sicché, per tal causa potrebbe sospendersi per qualche tempo la lite di Melizzano; però, la moglie del detto signor Francesco, che ha una figlia, non tirerà avanti il giudizio- a questo ci vuol tempo ancora- prima che ne sia dichiarata tutrice. Questo è quanto posso dire a Vostra Signoria Illustrissima, alla quale fo riverenza.
Da Caiazzo, l’8 di Luglio 1655

[da 4686]

5) ASFi, AGCS, filza 160 "Caiazzo XII. Amministrazione economica", inserto 12 “Relazione della città e Stato di Caiazzo fatta da me Giovanni Farsi l’anno 1689 che fui a farne visita”.

1689

[da foto (2687) 2723 a ]

[al marchese Giovanni IV Corsi, 1666-1729]

Illustrissimo Signore,
La città di Caiazzo, dove mi son portato di comandamento di Vostra Signoria Illustrissima, è posta in altissimo colle, godendosene la sua principale vista dalla città di Capua, distante da questa miglia otto, e da Napoli ventiquattro; è circondata da mura con molte torri et il giro di essa batte a poco più di un miglio; vi sono quattro porte chiamate: Porta Vetere, S. Pietro, Anzia e Porta Pace, sopra ciascheduna delle quali tanto da fuori, che di dentro, sono dipinte a fresco tre Arme, cioè di Spagna, di V.S. Illustrissima, e della medesima Città; in questa sono otto chiese: la prima, la Cattedrale, col titolo di Santa Maria Maddalena, dove, oltre quel Vescovo, che presentemente è Monsignor Giacomo Villani, da Rimini, vi uffiziano ventidue canonici, fra i quali vi si comprendono un arcidiacono, e due primicerii, godendo ciascheduno competente entrata, secondo la diversità de' loro canonicati; non usano questi cappa, mozzetta, o rocchetto ma semplicemente la cotta, et al braccio una pelle di vaio foderata di taffettà pavonazzo, toltone le suddette tre dignità che l'hanno pure di vaio con fodera di taffettà cremisi; tutti assistono giornalmente ai cori senza alcuna vacanza ma non però hanno precisa obligazione di celebrarvi ogni mattina la messa; il disegno di questa [cattedrale] è assai antico, distinto, con tutto ciò, in tre navate; alle due laterali è la volta, l'altra di mezzo è a tetto, e credesi non possi esser anco questa capace della volta mediante la fiacchezza delle mura; pensa però Monsignor Vescovo farci con qualche tempo la soffitta, havendo per questo già pronto buona parte del legname; solo in questa è il fonte battesimale, et in tempo di Quaresima si usa la predica, quando da un Cappuccino e quando da Riformato, a che provvede la Città per recognizione la somma di scudi ventiquattro, compreso il vitto. La sacrestia, rispetto ai paramenti vescovali, è benissimo provvista; per quelli che servano [servono] per i canonici ne sta mediocremente. Vi sono quantità di reliquie, et in specie il braccio destro di San Luca, et un pezzo di osso di Santo Stefano, già Vescovo di detta Città, la quale l'anno scorso per maggior venerazione di essa reliquia gli ha fatto fabbricare un busto d'argento, dicono di valore di scudi settecento in circa; non vi sono altri argenti, che un calice con sua patena, et un incensiere con sua navicella.
Congiunto a detta chiesa, da una parte è la casa di Monsignor Vescovo, detta da quei cittadini "il Palazzo Vescovale", habitata dal medesimo e sua famiglia, che consiste [:] in due preti, uno in carica di vicario, l'altro di mastrodatti [cancelliere], che supplisce anco di segretario, due staffieri, et un cuoco. L'entrata di questo Prelato in oggi si calcula che batta circa ad un migliaio di scudi, provenienti da grani, e biade, decime, e dall'affitto d'un molino di rendita al presente scudi quattrocento in circa; dall'altra parte vi è il Seminario, a spese di che sono provvisionati due maestri, uno leggendo Lingua Latina, l'altro insegnando il Canto fermo a dodici giovanetti, quali in oggi vestono a proprie spese con sottanella pavonazza, come è solito delli altri Seminarii; non sono però spesati, ma terminate le scuole, e funzioni della chiesa, dove servano [servono] per clerici, se ne vanno ai pasti, e riposo alle case loro. La seconda chiesa, che si chiama della Città, col titolo della Santissima Annunziata, è uffiziata di sole messe da diversi preti; ha in contro uno spedaletto, che a proprie spese serve di alloggio a poveri passeggeri, e di più, fa allevare e condurre fino all'età di sette anni tutti quei figlioli lassativi da persone incognite di nottetempo, che sono dell'istessa sorte che noi chiamiamo col nome di Innocenti. Alla terza, col titolo della Santissima Concezione, vi sono le Monache dell'ordine di San Francesco, in oggi al numero di trenta, e sono la maggior parte forestiere, la dote delle quali per le velate è di scudi trecento, per le servigiali di soli scudi cento; queste sono governate da due preti, uno in qualità di cappellano e confessore, l'altro pure di cappellano e procuratore, vigilando questo agli effetti delle medesime, che sono dei migliori di quel territorio. Alla quarta, col titolo di San Francesco de' minori Conventuali, sono da uno in tre frati; vi è un piccol conventino, però malissimo in ordine, minacciando da ogni parte rovina; gode annua entrata di scudi centotrenta in circa, ma perché questa non è bastante per lor mantenimento, van cercando talvolta limosina per la Città suo territorio. La quinta è col titolo di San Niccola [Nicola], dove, eccettuate le feste comandate, non vi si celebra; in questa vi si aduna altra Confraternita del Santissimo Rosario.
La sesta, col titolo di San Pietro, è uffiziata da un solo prete solo le feste, e pure in questa vi si aduna altra Confraternita della Madonna del Carmine. Le due ultime, col titolo una di Sant'Antonino Arcivescovo di Firenze, [l'altra] di San Biagio, eccettuati i giorni della lor festa, stanno continuamente chiuse. Di dette otto chiese ve ne sono tre parrocchiali, cioè la Cattedrale, dove nei giorni festivi si insegna la dottrina Cristiana, San Nicola, a che sono sottoposti i ministri di Vossignoria Illustrissima, e San Pietro.
Poche Case [famiglie] son quelle che stimansi con qualche comodità, et almeno per di fuora mostrino buona apparenza, e posso dire a Vossignoria non esservene che dua [due], una di Don Emilio Melchiorri, l'altra dei Mazziotti, le restanti malissimo in ordine e da non farne che pochissimo conto; et appresso noterò quei cittadini che possino dirsi comodi, vivendo di loro entrate, che annualmente sono nell'infrascritte somme: [a] Luigi e Domenico Mazziotti, scudi 250; [b] Carlo Ferruccio, scudi 250; [c] Onofrio Melchiorri, scudi 200; [d] Don Emilio Melchiorri, scudi 200; [e] Gaetano Forgione, scudi 200; [f] Marzio Forgione, scudi 200; [g] Don Fabio Fusco, scudi 150; [h] Notar Giulio Cesare Marrocco,
scudi 150; [i] Bartolomeo Manzelli, scudi 100; [l] Egidio Manzelli, scudi 100. Vi sono altri che godono cinquanta o poco più di scudi d'entrata, ma per lo più sono bisognosissimi, passandosela sull'industria del campo; non vi si vedono botteghe, salvo che due spezierie, un fondaco, e pochi artisti [artigiani].
Consta presentemente la Città di numero 250 fuochi [nuclei famigliari] che, calculato per ogni fuoco sei persone, fanno in tutto il numero di 1500. Pochissimi son quelli che possino dirsi ben'affetti alla Casa di Vossignoria Illustrissima, salvo che i due Forgione, i Fuschi, e Vincenzio Alberti; degli altri, et in particolare dei Mazziotti, non è da fidarsene, sendosi [essendo], per quello [che] ho inteso, nell'occorrenza, di dar minima sodisfazione.
Possiede la Città cinque copri d'entrate, che sono gli appresso [:]
[a] La buonatenenza [imposta fondiaria, che fin verso la metà del secolo XVII e oltre, i feudatari del Regno di Napoli pagavano all'università per i loro beni non feudali], di annui scudi 200- compresi li scudi 65, che gli bonifica Vossignoria Illustrissima delli scudi 130 che dovrebbe- restandone defalcata la metà in riguardo di Monsignor Illustrissimo [il Vescovo] che, come ecclesiastico, non è tenuto a tal peso..[rende].. scudi 200. [b] La gabella della carne, e vuol dire che ogni bestia che vi si macella deve un tanto per capo, [è] affittata per scudi 70. [c] Il carlino a tumolo, e vuol dire che ciascheduno che spiana grano per vendere paga un carlino per ogni tumolo di farina, [è] affittata per scudi 90. La gabella del dazio, sopra l'introduzione di ogni sorta di commestibile, [è] affittata per scudi 55. [d] La gabella del vino, contenente la proibizione del vendere a minuto, [è] affittata per scudi 125. Ascende in tutto in annui scudi 532 [542].
Vi sono i proventi- o vogliam dire condennazioni- ma di questi non se ne puol sapere il proprio; tassandoli a loro capriccio si crede però che battin a poche decine di scudi.
Risiede in detta Città un Governatore, che annualmente si elegge da Vossignoria Illustrissima; [il Governatore,] prima di esercitare il suo uffizio dà il mallevadore de bene et recte administrando, et, approvato dagli eletti, viene da essi ammesso alla carica, che è di riconoscere ogni causa, sì civile come criminale, decretando però con il voto del Consultore, pigliandosi questo per tal decreto il suo diritto giusto la pannetta [pandetta], o tariffa tassata dal Sacro Consiglio tenendola affissa al suo banco; et oltre tali diritti li [gli] viene assegnata dall'istessa Città [una somma di] annui scudi settantadua, e casa per suo uso, accanto alla quale sono le carcere [carceri], a cura delle quali e per servizio della corte di esso Governatore sta un famiglio, a chi è assegnata annua provvisione di scudi diciotto. Vi è il Consultore, pure eletto da Vossignoria Illustrissima, la di cui carica non è altro che dare il suo voto ogniqualvolta che il Governatore fa i decreti, e per ciascheduno di essi ritrae due soli carlini; ma dandosi il caso che detto Governatore fusse dottore, il Consultore non vi ha luogo, e non è necessaria la provvista di questa carica.
Segue l'istessa elezione pure del Mastrodatti, [il] quale, per esercitare tal carica, paga a Vossignoria Illustrissima annui scudi centoquaranta; questo [mastrodatti] riceve scritture, esamina testimonii in cause tanto civili che criminali, che consegna doppo [dopo] al Governatore; e dei diritti, che detto mastrodatti ne esige, pone in una cassetta, spartendoli in capo al mese col medesimo Governatore; [il] quale [mastrodatti], con l'annua provvisione costituitali [costituitagli] dalla Città, ne ritrae scudi dugento l'anno in circa. Le suddette tre cariche devono essere esercitate da forestieri, il primo e l'ultimo con una continua assistenza, l'altro è dispensato, portandovisi solo quando il bisogno lo richieda. Sono ogn'anno costituiti dal popolo, a voce, quattro Eletti, che sovrintendono a tutte le occorrenze della Città, eleggono i Giudici- dai quali si decidono le cause della Bagliva-, deputano i Catapani- che sono quelli che danno i prezzi ad ogni sorta di commestibile-, danno il possesso al Governatore, costituendoli [costituendogli] due Sindaci; per il rendimento del suo uffizio fanno grazie, tassano i proventi e distribuiscono cedole, con le quali esigono il danaro che serve per satisfare alla Regia Corte, alla Squadra di Campagna, a Vossignoria Illustrisssima in conto della Zecca e Portulania, et ad ogni altro aggravio ordinario o straordinario attenente alla Città; da che vengono deputati per un anno, confermandoli poi per altri susseguenti, se così piace al popolo; hanno un Cancelliere, che tiene registrato tutto ciò che da essi alla giornata viene risoluto, sì come dal popolo ogni volta è chiamato questo in Consiglio, che dicono col nome di Parlamento; et al detto Cancelliere per sua provvisione sono assegnati annui scudi diciotto.
Paga ogn'anno la Città a Vossignoria Illustrissima scudi 148 per l'affitto che tiene della Zecca e Portulania- intendendosi per la prima il sigillo dei pesi e misure di ogni sorta, per l'altra il risarcimento delle strade, il mantenimento di esse da ogni sorta di immondizia- e dalla pratica de' maiali.
Nella piazza della Cattedrale è un loggiato, che quei cittadini chiamano col nome di seggio, servendo per lor passeggio, e sopra questo è un oriuolo [orologio], che suona continuamente l'ore; e per mantenimento di esso vi ha fatto la Città un'annua assegna di scudi dodici.
Habitano i Ministri di Vossignoria Illustrissima nel castello, che sovrasta alla Città poco lontano dall'habitato; questo [castello] è circondato da muraglie con merli, e quattro belle e forti torri, con altra [torre] simile in isola, dentro della quale sono le carcere [carceri]; vi è la cappella col titolo di Santa Maria in Castello, nella quale si celebra ogni festa comandata dell'anno, e dal Reverendo P. [Padre] Pietro Martini, odierno rettore, si godono l'entrate di essa, affittate presentemente per annui scudi venticinque. La casa è comodissima di stanze, non solo per uso dei ministri, ma per la famiglia ancora vi sono molte altre stanze da riporre vettovaglie d'ogni sorta, cantine, stalle et un orto murato. In Città non vi è habitazione, vi è solo un salone terreno, rimastovi quando abbruciò il Palazzo l'anno 1665, tenendolo in oggi ad uso di granaro, ponendovisi solo quello che si cava di mano in mano dalle fosse situate in più luoghi per la Città, e che si vende a minuto e si va somministrando per soccorso ai massari. E' stato sempre solito, e si continua al presente, vendersi i grani ai vaticali, venendo questi a pigliarli sul luogo, non mettendo conto portarli ai mercati di Caserta o Matalona [Maddaloni], distanti dalla Città il primo miglia otto, l'altro sedici; ne meno tornerebbe [utile] condurli all'imbarco per inviarli a Livorno, sendo [essendo] troppo lontano il luogo d'imbarco, che si chiama Castel Volturno, non solo per la distanza dalla Città di miglia venti, ma anco per la spesa che vi sarebbe troppo rigorosa, di dua [due] carlini per tumulo, non potendosi questa scansare per le pessime strade, incapaci di potervi camminare col carro.
Fuori di Porta Vetere vi è una cappella, col titolo di Santa Verdiana, fatta fabbricare dal già Diamante Ardimanni a sue proprie spese, con arme [stemma] però, sopra di essa, di marmo di Vossignoria Illustrissima; e perché il medesimo Ardimanni vi volse una messa ogni festa comandata, donò scudi cento al Capitolo [della Cattedrale] di Caiazzo, e quei canonici hanno fatto soddisfare, e soddisfanno presentemente a tal obligo con ogni puntualità.
In contro alla cappella di là nominata è la Taverna, affittata presentemente in annui scudi dugento. Poco distante, a mano dritta, sul poggio, è il Convento dei Padri Riformati di San Francesco, col titolo della Madonna delle Grazie, nel quale sono presentemente quattordici frati; et a mano manca, poco lontano, è un altro Convento dei Padri Cappuccini, col titolo dello Spirito Santo, dove in oggi sono al numero di dodici frati. Lontano poco più di un miglio è una bella pianura, detta Camporalunga, con moia [moggia] centoquarantasei, terra tutta coltivata, et aia lastricata, e con i dua massari a chi sono state consegnate dette terre; con uno si sparte di cinque le dua, con l'altro il terzo.
Appresso è il casale della Piana [Piana di Monte Verna], presentemente di sessantatré fuochi; vi è una chiesa, uffiziata da un arciprete, intitolata Lo Spirito Santo.
L'Università tiene in affitto la fida della Padula e Bagliva per annui scudi cinquantacinque, intendendosi per la fida l'erba della stessa Padula, per la Bagliva i danni dati dai bestiami o dai particolari. Vi è una masseria, o casa da lavoratore, con due aie lastricate, vicino alle quali sono moia [moggia] 563 di terra, che [della quale] 409 coltivata e 155 boscata; e da due anni in qua ne è di questa ridotta a coltura sopra moia [moggia] 90.
Vi sono tre prati di moia [moggia] 30, che uno è affittato con parte di detta terra sboscata per tumola venticinque [di] grano l'anno; uno intendesi col fitto della Taverna fuori di Porta Vetere, l'altro serve per uso dei due cavalli di casa. Sopra la montagna di detto casale [Piana di Monte Verna] è fondata la Badia di Santa Croce, le di cui entrate, affittate per annui scudi 54, [ne] gode il signor Abate Corsi. Vi era una piccola chiesa, ma ora è in tutto rovinata.
Tre miglia lontano da detto Casale è il molino di Pietramala, affittato per annui scudi 540; a [con] questo confina il signor Principe di Colubrano, Don Domenico Caraffa [Domenico Carafa della Stadera, IV Principe di Colubrano], e per un pezzetto di terra inculta, di circa un moio [moggio], se li [gli] pagano annui scudi cinque.
Appresso è la scafa, quale è in comune fra Vossignoria Illustrissima e la Badia di Sant'Angiolo [in Formis], le di cui entrate gode al presente il signor Cardinale Raggi [molto verosimilmente Lorenzo Raggi, anche se era deceduto il 14 gennaio 1687, due anni prima della relazione]; e detto passo, con una piccola taverna, ivi contigua, sta affittata per scudi 290 l'anno.
Fuori di Porta San Pietro sta un oliveto di moia 12, ma con pochi olivi; del grano o biade che vi si raccolgono sparte il terzo, dell'olio la metà. Appresso è l'orto della Fontana, di moia tre, affittato per scudi otto e mezzo, e poco lontano è la scafa di Cesarano, che è lontana un miglio dalla Città, affittata per scudi 65; e perché si appoggia detta scafa ad un pezzo di terra in oggi posseduta dal primicerio Don Giovanni d'Ettorre, per tal appoggio se li [gli] pagano annui carlini dieci.
Mezzo miglio lontano da questa è il casale di Cesarano, che consta di soli dieci fuochi, con chiesa uffiziata da un arciprete; vi sono sole moia 25 di terre, dette "i Limata Paoli", e del grano o biade, che annualmente vi si raccolgono, si sparte il terzo. Fuori di Porta Anzia è un oliveto di moia dieci, che [in cui si] sparte il terzo del grano o biade che vi si raccolgono, dell'olio la metà. Vi sono buona quantità di olivi e, di più nei vani mancanti, moltissimi piantoni.
Un miglio lontano dal detto oliveto è il casale di San Giovanni e Paolo, al presente di 30 fuochi, con una chiesa uffiziata da un arciprete. Vicino a questo [casale] è la selva detta "di Palazzo", da una parte della quale sono due pezzetti di terre coltivate, vulgarmente dette "Le Cese", affittate in annui scudi 5; e poco meno d'un altro miglio lontano da queste sono moia trentacinque [di] terre coltivate, che [in cui si] spartono il terzo, et un bosco di poche moia, detto "Le Serole".
Appresso è il castello di Raiano [Ruviano], che consta di quaranta fuochi, con chiesa intitolata [a] San Leone, uffiziata da un arciprete. Vi è una casa, [che] serve per uso del fattore, quando porti il caso andarvi per qualche occorrenza, stando per altro questo [fattore] di continuo in Caiazzo, e vi sono molte stanze per riporre biade che si raccolgono in detto luogo. Vi sono moia trecento [di] terre coltivate e lavorate da due massari e diversi personali; di queste [moggia] se ne sparte il terzo, e [inoltre ci sono] moia ottanta, dette "la Fiumara"o "Marroccaro", ma queste [sono] poco buone per esser sottoposte al fiume, pure queste spartono il terzo. Vi è una vigna di circa moia quattordici, compreso un piccol canneto per uso della medesima, e perché questa si fa [lavora] in demanio, il vino che vi si raccoglie spetta tutto alla Casa [al feudatario, cioè alla famiglia Corsi]; e di alcuni pezzetti di terra, lavorati da diversi personali, sparte il terzo. Vi è un molino, affittato per scudi cinquantatré, e la scafa per scudi centosettanta.
Appresso è la selva detta di "San Martino", e moia cinquanta [di] terre coltivate; e queste sono affittate per tumola [tomoli] 25 [di] grano e tumola 15 di grandindia [gran d'India]. Dal detto castello tiene Vossignoria Illustrissima in affitto una selva per annui scudi trenta, o di più. Li paga la Buonatenenza in scudi sedici. Dei proventi però piccoli, ella [la Buonatenenza] [può] disporne come le piace.
Due miglia lontano da questo è il castello d'Alvignanello, che consta di soli cinque fuochi, con chiesa uffiziata da un arciprete. Vi sono sole due moia di terre, lavorate da un personale, con chi [il quale] si sparte il terzo. L'Università di questo castello paga ogn'anno scudi dieci per l'affitto che tiene della Bagliva; et all'in contro se li [le] pagano annui scudi cinquanta per il fitto che tiene d'una selva di proprietà di detta Università.
Segue il castello di Campagnano, distante un miglio dal suddetto; consta di 20 fuochi, con chiesa simile alla suddetta. Vi sono moia 25 [di] terre lavorate da un massaro, con chi [il quale] si sparte il terzo, et altre moia trenta in mezzo ad un bosco, detto "Prosciano", quali [moggia] sono state sboscate, e si sboscano di presente dai medesimi che l'hanno pigliate a censo non concordato; per anco ciò [anche se si] che devino [ si devono] pagare annualmente per non sapersi [nonostante non si sappia] ancora precisamente quante moia siano. L'Università di detto castello paga scudi undici e mezzo l'anno, quale affitto che tiene della Bagliva.
Doppo [dopo] due miglia è il castello di Squille, che consta di soli dodici fuochi, e chiesa uffiziata da un arciprete. Vi sono moia dodici [di] terre coltivate, affittate per tumola sette [a] grano. L'Università paga annualmente scudi dieci il fitto della Bagliva; nella iurisdizione della medesima sono le due selve, di "Sant'Angiolo" e "Selva nuova", e nella propria del detto castello vi è un terzo spettante a Vossignoria Illustrissima, con più moia cento di padroncelli [pezzi di terra boscosa] havuti in vendita anni [or] sono da Diana Manzelli.
Si dice comunemente che i suddetti tre castelli concordassero ab antiquo di non ricevere da Vossignoria Illustrissima la Buona Tenenza per le terre che vi possiede, e che all'in contro rimanessero i sudditi liberi dai proventi; e così si seguita di presente. E' ben vero che quando i medesimi errano si castigano nella persona con esilio, carcere e simile, ma non in pena pecuniaria.
Lontano da Squille quasi un miglio è il castello di Dugenta, nel quale oltre l'abitazione che serve per quel Capitano, vi sono altre quattro casette, due affittate in annui scudi 4: una serve per uso di un massaro, nell'altra risiede il mastrodatti, che-, con la mastrodattia, fida, erbaggio e stratonica2-,paga annualmente scudi 240. Vi è una piccola chiesa, col titolo di Sant'Andrea, uffiziata da un arciprete con casa per la sua habitazione; appresso è la taverna, che con il passo, e moia quattordici [di] terre contigue, sta affittata in annui scudi 340.
Vicino a detto castello sono sette buone masserie, in tutto di moia novecento, che [di cui] 534 lavorate da cinque massari, delle quali [moggia] con chi si sparte il terzo, e con altri di sette le dua [due], e moia 366, affittate a diversi, ritraendosene annualmente tumola 340 [di] grano.
Poco lontano da detto castello vi è una casetta, dove si conosce esservi stato un molino, quale, rifacendosi, potrebbe rendere un annuo fitto di scudi quaranta, oltre a quello che crescerebbe la taverna e la vendita dei grani per la comodità prossima di macinare. E' vero però che per rifare il muro del margone [bacino in cui si raccoglie l'acqua che deve servire ad alimentare un mulino], quale, doppo [dopo] fatto, non so assicurarmi quanto tempo [possa] reggersi, ripulitura del condotto, macine, et altri arnesi, stimo, col parere dei professori condotti sul luogo, che ci vorrebbe una spesa almeno di scudi quattrocento. In faccia a detta casetta sono moia dieci di terre sboscate da quattro anni in qua, che prima erano padule; moia 30 sono state sboscate al Frasso [attualmente Frasso Telesino]; e moia quattordici in Terenzano, luoghi contigui alle suddette; e tutte per ora spartono la metà. In detti luoghi sono due pezzi di bosco, di dugento moia in circa, che pensano i ministri ridurne in breve buona parte a coltura, mentre ne habbino da Vossignoria Illustrissima l'approvazione.
Sono censuate moia 492 [di] terre poste parte in Dugenta, parte in Cercula e Torello, e parte in quel di Melizzano, dalle quali se ne ritrae annualmente tumola 300 [di] grano e scudi ventisette in contanti; et oltre ai detti censi, che sono antichi, ve ne sono altri fatti di nuovo, in luoghi detti "Bosco cupo", "Perazze", e "Melizzano", di che [delle quali] non dico la misura, perché non sono terminati di sboscare, stimandosi che possino essere circa moia 150; altre restatevi in forma di bosco, che per non esser abili a seminarsi, non posso dirne l'entrata certa, credesi però che arriverà circa a annui scudi dugento.
I due castelli [di] Cercula e Toriello [Torello] sono affatto rovinati, resta però ancora in Toriello in piedi una casetta, che neanche se ne ritrae cosa alcuna.
Poco distante ai [dai] medesimi è la Terra di Melizzano, diocesi di Telese; consta presentemente di cinquanta fuochi, vi è una chiesa col titolo di San Pietro, uffiziata da un arciprete, con altre cappelle, pure uffiziate da diversi sacerdoti della medesima Terra. A chi [all'Università di Melizzano] Vossignoria Illustrissima paga annui scudi dieci per la Buonatenenza, e dei proventi, puol'ella disporne come più le piace; non vi è mastrodatti, portandovisi quello di Dugenta sempre quando il bisogno lo richieda. Vi è un piccol molino, affittato al presente per tumola 40 [di] grano, et un orto di circa un moio, pure affittato per scudi cinque. Sopra la medesima Terra, in cima alla montagna, è la Badia di Santa Maria del Roseto, lontana da questa circa tre miglia; le sue entrate sono godute in oggi dal suddetto Canonico Corsi, affittate al presente per annui scudi sessanta; vi è una cappella nella quale ogni giorno festivo dell'anno vi si celebra la Santa Messa.
Appresso dirò i confinanti tanto di Caiazzo quanto degli altri castelli, e sono gli appresso:
Dello Stato di Caiazzo:
il signore Don Domenico Caraffa [Carafa], Principe di Colubrano;
il signore Don Carlo Gaetano [Gaetani], Barone d'Alvignano, zio del Duca di Laurenzana.
Con questi vi posson essere litigi, per non esservi il fiume Volturno che divida li Stati.
Del castello di Raiano [Ruviano]:
il suddetto signore Don Carlo Gaetano [Gaetani];
e di là dal fiume, il signor Duca di Laurenazana, nipote del suddetto;
il signor avvocato Don Ciccio [de] Martino, Barone di Faicchio;
il signor Giuseppe Paolella, Barone di Puglianello;
il signor Don Francesco Caracciolo, Marchese di Grottola;
li signori Antellis, Baroni di Marafi.
Del castello di Dugenta:
il signor Gambacorta, Duca di Limatola;
il signor Grimaldi, Duca di Telese;
e la signora Cossa, Duchessa di Sant'Agata [dei Goti].
Vi sarebbe da dire il Barone confinante mediante la Terra di Frascio [Frasso Telesino]; ma perché questa è in vendita, e diversi sono i pretensori, non si puol per anco penetrare chi possi [possa] esserne il compratore.

[2757]

6) ASFi, AGCS, filza 160 "Caiazzo XII. Amministrazione economica", inserto 26 “Osservazioni sopra il feudo di Caiazzo. Dimostrazioni di dieci anni, estratte dai libri veglianti, sui seguenti beni: Fattoria di Caiazzo, Fattoria di Raiano, Oliveti vecchi della Casa, Fieno di Padula, Frutto delle Selve per l’industria della Casa, Frutto delle Selve vendute, Industria delle giumente, Industria dei neri, Industria delle vaccine, Esazione dei debitori attrassati, dimostrazioni dei proventi”.

Intorno alla metà del XVIII secolo

[L’agente feudale Domenico Antonio Pasquinucci al marchese Giovanni V Corsi, 1721- 1781. Il marchese Giovanni V Corsi nacque a Firenze nel 1721, sposò Maria Maddalena de’ Medici, ricoprì la carica di Cacciatore di Sua Altezza Reale il Granduca di Toscana, morì a Firenze nel 1781. Cfr. Giulio Guicciardini Corsi Salviati, La villa Corsi a Sesto, Firenze, Olschki 1937]

[…] Coltivazione dei gelsi.
Pare che sia arrivata a un termine che si possa pensare e discutere a tavolino, se sia interesse di sospendere piuttosto che proseguirne le piantate, poiché avendone assicurate circa tremila piante in diversi territori del Feudo, quando queste daranno il proprio frutto, non si mette in dubbio che costituiranno un buon capitale per la Casa del padrone. Vi è da considerare la quantità delle persone, che sarebbero necessarie all’assistenza dei bachi, le quali non si trovano così facilmente da potersene fidare con tutta sicurezza, sicché invece di profitto s’abbia a rischiare di trovarsi nello scapito.
Coltivazione degli olivi.
Questa sola si trova utilissima per la ragione del gran credito che ha preso l’olio del Feudo. Si è deciso di proseguire la piantata della Selvetella, dove vi è da rimettere una buona quantità di piante perse, e vi sono ancora quaranta moggia di terreno da diboscare. Vi sono moltissimi territori nella Fattoria di Raiano capaci di questa coltivazione, dove piantare ogni anno 500 ulivi. A Le Serole vi è un terreno, dove provano meravigliosamente gli ovoli [piccole piante] all’uso della Toscana. Si è lasciato per ricordo che ogni anno se ne mettano sotto terra sette o ottocento pezzi che si è stabilito di piantare. Vi è il vantaggio e la sicurezza che l’olio riesce di somma perfezione, che ha un credito indicibile e che il frutto si ottiene con pochissima fatica; sicché per questi ed altri riflessi non pare si possa mettere in dubbio che questa coltura vada proseguita con impegno, assegnando ogni anno una quantità di piante e un terreno dei migliori per continuarne la piantata.
Industria dei [maiali] neri.
Pare sicuramente la migliore e la più proficua di tutte le altre. Ogni anno si aspetta il carnevale per cogliere una vendita vantaggiosa, ma in pratica succede per lo più tutto il contrario, ora per un motivo ora per l’altro, e dopo aver consumato una quantità notevolissima di grano indio (mais) per ingrassare gli animali, ci troviamo esposti a qualche scapito nei prezzi. Si faccia dunque un serio e ben ponderato esame se, attese le circostanze dei tempi presenti, in cui sono ricresciute per il Regno simili industrie, e attesa la mancanza d’una certa accortezza, che sarebbe necessaria nei subalterni per sapersene disfare a tempo, mi pare meglio vendere i maiali appena spoppati, mettendo a calcolo le esorbitanti spese che ci vogliono per il mantenimento di tanti guardiani e per le altre persone stipendiate e spesate. Col risparmio di queste e con l’altro di poter vendere il grano indio e il frutto delle selve può venire alla Casa un maggior profitto.
Fattori del feudo.
Non vi è dubbio che per il buon governo della campagna, industrie e altro, i fattori sono il braccio destro del ministro, ma non vi è altresì cosa più falsa che per la più vantaggiosa direzione dei suddetti interessi sia necessario, o almeno profittevole, d’avere i detti fattori toscani. Che i nostri possano essere più galantuomini dei regnicoli è difficile a provarsi; che siano più esperti e più capaci di un buon regolamento, questo non è da ammettere perché il toscano esperto qua nel Regno diventa novizio e ha bisogno di far nuova pratica. […]

7) ASFi, AGCS, filza 160 "Caiazzo XII. Amministrazione economica", inserto 5 “Metodo che si usa in Caiazzo per la raccolta delle ulive”.

Intorno alla metà del XVIII secolo

[L’agente feudale Domenico Antonio Pasquinucci al marchese Giovanni V Corsi]

Quando le ulive sono giunte a un punto di maturità e incominciano a cadere, il che succede dopo la metà di novembre, il proprietario dell’uliveto prende quella quantità di uomini e donne che crede sufficiente per la raccolta. Gli uomini portano tutti una scala lunga assai, e stretta secondo il modello, con scalini molto rari e con le due aste che posano in terra, lunghe dalla parte di sotto dopo l’ultimo scalino e appuntite, per poterle fare entrare almeno un palmo nella terra, per liberarsi dal pericolo di una caduta e per non gravar tanto sui rami dell’ulivo. La scala si fa di castagno sottile, per lo più riunita nella cima, e gli scalini non sono sovrapposti e incastrati; ma, per mezzo di un buco, fatti entrare nelle due aste che compongono la scala. Messe le scale al loro posto e saliti gli uomini in numero almeno di due su ogni ulivo, brucano le ulive con le mani, facendole cadere in terra, e per quelle che non scendono giù, tengono una pertica sottile e lunga, con un uncino di legno, e torcono i rami per avvicinarle; e se non possono fare ciò, battono quei rami con la pertica, prendendola in mano dalla parte dell’uncino, e fanno cadere le ulive. Sotto l’ulivo si spandono dei lenzuoli di tela grossissima, e le donne pensano a levare le fronde che cadono e a raccogliere le ulive che vanno fuori dai lenzuoli. Raccolte le ulive, si portano al frantoio, e per far l’olio si macinano senza riscaldarle, e la pasta che sorte dalle macine si getta in una gran pila di pietra viva e si lascia stare una mezza giornata. Tutto l’olio che nel depositarsi rifiorisce [torna in superficie], si toglie e si chiama qui olio vergine. La pasta che rimane si pone nelle gabbie e si stringe sotto il torchio. In ultimo si aggiunge dell’acqua per far uscire l’olio interamente.
La scala si fa di castagno sottile, per lo più nella cima riunita, e gli scalini non sono soprapposti, e incastrati, ma bensì, per mezzo di un buco, fatti entrare nelle due aste che compongono la scala medesima.

Riferimenti bibliografici

  • Giulio Guicciardini Corsi Salviati, La villa Corsi a Sesto, Firenze, Olschki 1937.
  • Nicola Santacroce, Istituzioni e società a Caiazzo in età moderna,Caserta, Centro studi Francesco Daniele 2005.

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Hinc felix illa Campania est, ab hoc sinu incipiunt vitiferi colles et temulentia nobilis suco per omnis terras incluto, atque (ut vetere dixere) summum Liberi Patris cum Cerere certamen. Hinc Setini et Caecubi protenduntur agri. His iunguntur Falerni, Caleni. Dein consurgunt Massici, Gaurani, Surrentinique montes. Ibi Leburini campi sternuntur et in delicias alicae politur messis. Haec litora fontibus calidis rigantur, praeterque cetera in toto mari conchylio et pisce nobili adnotantur. Nusquam generosior oleae liquor est, hoc quoque certamen humanae voluptatis. Tenuere Osci, Graeci, Umbri, Tusci, Campani.
[Plinius Sen., "Nat. Hist." III, 60]

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