a cura di Ranieri Gaetani d'Aragona e Armando Pepe
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Abbreviazioni
f. folio
r. recto
v. verso
Allegazioni varie per il Duca di Laurenzana contro la Duchessa di Sermoneta per la Terra di Piedimonte
- Biblioteca Nazionale di Napoli Vittorio Emanuele III, Sezione Manoscritti e rari, Manoscritto Brancacciano IV A3 «Piedimonte: Allegazioni varie per il Duca di Laurenzana contro la Duchessa di Sermoneta per la Terra di Piedimonte», carte 1r.-9v.
Nota del Curatore
Documento trascritto dall'erudito Ottaviano Melchiorri e consegnato in copia allo storiografo Bartolomeo Chioccarello (o Chioccarelli), databile al secondo decennio del XVII secolo. Donna Vittoria Caetani, duchessa di Sermoneta, pretendeva la dote di paraggio, ammontante a 12 mila ducati, dal duca di Laurenzana, e nuovo signore di Piedimonte, Don Francesco Caetani (o Gaetani) d'Aragona. Nel diritto feudale, la dote di paraggio era la quota dei beni che il primogenito, titolare esclusivo della successione del feudo, era obbligato a dare ai fratelli cadetti, per compensarli della loro esclusione nella successione stessa. Dal prezioso testo emergono particolari di eccezionale rilevanza, quali : (1) l'apparizione nella genealogia di casa Gaetani d'Aragona di Don Luigi, omonimo del gesuita, padre superiore dell'abbazia di Santa Maria di Pulsano, nel comune di Monte Sant'Angelo, in Capitanata (corrispondente all'attuale provincia di Foggia); (2) il governatore di Piedimonte, nominato dal feudatario con il consenso regio, prendeva possesso dell'incarico giurando davanti al duca e al "regimento" (il governo cittadino) nella chiesa del convento di San Domenico durante una solenne cerimonia.
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Essendo morto Don Scipione Caetano d’Aragona, ultimo possessore della Terra di Piedimonte, senza figli mascoli ai 21 d’agosto 1614 in Portici; et perciò essendo fatto il caso del fideicommisso del quondam Honorato Caetano seniore, Conte di Fundi, sopra detta Terra a beneficio delli discendenti mascoli de la linea mascolina d’esso testatore. Il signor Don Francesco Caetano d’Aragona, Duca di Laurenzano, come chiamato claro et aperto iure alla successione di detta Terra in vigore di detto testamento, qual ha forza di nova investitura in questo feudo, per essere descendente mascolo de linea masculina ipsius testatoris, anzi per trovarsi solo descendente mascolo de linea praedicta, e più prossimo in 4° gradu a detto Don Scipione Caetano ultimo, morto senza figli mascoli, ha presa la possessione di detta Terra di Piedimonte l’istesso giorno che morse Don Scipione, et ha fatto l’istanza in Camera [per] conservarsi in possessione d’essa, nella quale pacifice et quiete reperitur, et spedirseli l’investitura confermativa della sua possessione, offerendo pagare il relevio (fol. 1). Et per un’altra comparsa ha richiesto il Regio Fisco, quale per essere chiamato alla successione di detta Terra in casu deficientiae della linea masculina d’esso Duca, tiene formato interesse che lo diffenda, et facci manutenere in questa possessione et immicti in possessionem quatenus opus sit et non aliter (fol. 303). Atteso havendo la sera del giovedì 21 d’agosto havuta notitia della morte di Don Scipione nell’istesso istante, come chiamato
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alla successione di detta Terra, prese la corporale, vera et ligitima possessione di quella per atto pubblico in presenza del Governatore, seu Capitanio di essa, et di Scipione Stefano Annale, Giodice, seu Sindico, et di cinque altri del Regimento di detta Terra, et molti altri particolari nello Palazzo Ducale (fol. 3), quale possessione li fu confirmata la medesima notte un’hora avanti giorno del Venerdì dall’altro Sindico, et altri quattro del Regimento (fol. 3). Et dall’altri del Regimento in numero de diecesette, che fanno la maggior parte di esso, fu parimente ratificata et confirmata detta possessione all’istessa hora, o poco di poi (fol. 6, 7 e 11) per atti pubblici. Tutti questi atti furono fatti prima che il Dottore Marcello Lanfrancho, commissario destinato per il Collaterale ad sequestrare la possessione di detta Terra, facesse l’atto del Sequestro; atteso lo fe’ la mattina del venerdì a hore undeci, come si vede dalla sua relatione fatta a Sua Excellentia (fol. 224) nella quale dice che la mattina del venerdì con un’hora di notte li fu presentato l’ordine del Collaterale, et che trovò già il Duca nel Palazzo Ducale (fol. 224) et dall’atto pubblico del sequestro fatto a 22 d’agosto (fol. 226). Et ha fatto moltissimi atti possessivi prima dell’asserto sequestro. Confirmò il Governatore, seu Capitanio, che essercitava la giurisdittione (fol. 8). Creò l’erario per l’essattione dell’entrate baronali (fol. 14). Affittò il Molino Baronale per dui anni ad raggione di tomola 900 di grano l’anno. Essigì dall’Affittatore della Taverna una summa di quello che doveva (fol. 16). Confirmò li Capitoli della Università di Piedimonte (fol. 15). Et ne fe’ atto pubblico di detta Confirma con il Sindico, et Regimento della Università, signandoli di sua propria mano (fol. 289). Per gratia dell’acqua levata a Giovan Battista Giannucci solutis ducati 8 in posse Erarii (fol. 17) et l’Erario ricevé detti ducati 8 (fol. 18). Et fe’ gratia a Giovanni Battista della Baronia solutis ducati 6 in posse Erarii. Et con effetto furono pagati all’Erario. Per gratia a Berardino Simonello, trovato con la scoppetta di notte. Et a Francesco D’Ambrosio carcerato et inquisito de alcune ferite habita prius remissione partis (fol. 22). A Giovan Battista Giannucci similmente inquisito, solutis ducati 10 in posse Erarii (fol. 23), et con effetto li furno pagati (fol. 23). Confirmò li mastri della Chiesa di Santa Maria Occorrevole, quale confirmatione e a provisione del barone (fol. 24). Deputò Attilio Macaro per reconoscere li telarii di panni, et telette, conforme il solito (fol. 25). Et nell’atto della possessione fe’ gratia ad Alessandro Giaimo
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inquisito et carcerato in quella Corte, come dall’Instromento della possessione appare (folio 4°). Quali atti di possessione furono tutti fatti prima che il Signore Lanfrancho sequestrasse la possessione di detta Terra, come si vede dal Calendario delle Scritture, et cossì funda chiaramente la vera, corporale, et attuale possessione di detta Terra senza niuna contraddictione, et che per ogni raggione debbia essere confirmato et manutenuto in essa. Et per fundare che alla successione di detta Terra di Piedimonte siano solamente et debbiano essere ammessi li mascoli descendenti da mascoli ex recta linea di detto Conte di Fondi in vigore del detto suo Testamento, con l’Assenso di Re Ferrante primo, qual è sempre stato et sta al presente in suo robore et efficacia. Ricorda che detto Conte doppo havere isntituiti heredi Honorato Caetano, Conte di Traetto suo nipote ex filio in alcune Terre, et signanter nella Terra di Piedimonte (fol. 40), et Iacomo Maria similmente suo nepote in altre Terre nel suo Testamento che fe’ ai 19 di Gennaro 1489, bollato di Regio Assenso (fol. 38), ordinò un maiorato et perpetuo fideicommisso, in beneficio delli mascoli descendenti dalla suddetta linea, in defetto delli quali chiamò la maestà di Re Ferrante, primo Re di questo Regno, con peso di dotare di paraggio le figlie femmine che si trovassero a quel tempo (fol. 41), come dalle particole del Testamento, dei quali si dà copia a parte. Et porta come infinite volte, et sempre ch’è socceduto il caso, tanto il Collaterale quanto la Regia Camera, come il Sacro Consilio ha giudicato detta Terra di Piedimonte tenere questa natura, et spettar alli suddetti mascoli in vigore di detto fideicommisso. Cossì primieramente fu nell’Anno 1538 giudicato dal Collaterale Consilio nella causa fra Don Scipione Caetano et Don Ferrante Caetano, ove essendo stato per prima provisto che si desse l’Investitura a Don Scipione Caetano d’Aragona del Stato del Duca di Traietto suo avo, prout liquidabitur tempore exequutionis decreti (fol. 320), fu in causa liquidationis reservata super dicta petita Investitura provisto, che della città d’Altamura et altri feudi hereditarii se desse l’Investitura a Don Ferrante Caetano tamquam sibi debita ex causa fideicommissi et ultima depositionis quondam Comitis Fundorum (fol. 321), non obstante che il Duca di Traietto Honorato havesse nel suo Testamento instituito herede universale Don Scipione suo nepote, ut ex testamento . Et havendo Don Scipione reclamato da detta sententia, compromisero con Don Ferrante la sudetta causa de reclamatione et nell’Anno 1542 da Mario Sasso et Marino Freccia Regii Consiglieri, Francesco Antonio Villano Presidente della Reggia Camera, et Giovan Angelo Pisanello Arbitri eletti, fu confirmato detta sententia, et arbitrato che dovesse Don Scipione reclamante renunciare alla causa, et lite della sudetta reclamatione, et di più cedere a qualsivoglia ragione
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Che si potesse competere sopra la Terra de Piedimonte per causa del fideicommisso del detto quondam Conte di Fundi, per occasione delle successioni preterite, ch’era del Duca di Traetto suo Avo, come effetto cedé et renuntiò a detta reclamatione et raggione sudetta mediante il contratto che seguì per osservanza del laudo con Assenso Regio et cossì restonno estinte, tanto la causa, et istanza della Reclamatione, quanto le raggioni, che havessero potuto competere a Don Scipione in quella successione del Duca Honorato per causa di detto fideicommisso, Riserbando la raggione al detto Don Scipione, et suoi descendenti mascoli, de’ quali è hoggi solo esso Duca de Laurenzano, che li competeva, o potesse competerli in virtù del sudetto fideicommisso, Di manera che mancando li mascoli in infinitum del detto Don Ferrante, si dovesse osservare in omnibus et pro omnia il testamento et fideicommisso fatto per detto Conte de Fundi, come dal laudo et instromento che ne seguì appare (fol. 259), de quale se dà copia a parte. Secondo essendo morto detto Don Ferrante possessore di Piedimonte et pretendendo nell’Anno 1552 li suoi creditori doversi ponere nell’Inventario detta Terra, come feudo hereditario, et all’incontro pretendendo Don Giovanni Caetano suo figlio et possessore non venire in discussione Inventarii, ut pote subiectam fideicommisso Comitis Fundorum (fol. 56), fu per decreto del Sacro Consilio provisto Terram Pedemontis non venire in discussione Inventarii (fol. 58), et cossì chiaramente deciso
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non essere feudo hereditario ma soggetto a restitutione. Terzo, havendo Giovan Lonardo, Mondeo Ruffo ottenuto sentenza dal Sacro Consilio contro detto Don Giovanni, come herede di Don Ferrante suo padre (fol. 59). Volendo esso, et altri creditori di detto suo padre fare essequire sopra Piedemonte, detto Don Giovanni oppose non potersi essequire stante il fideicommisso (fol. 59), et per decreto del Sacro Consiglio fu provisto, quod stante fideiccommisso oblato, non exequatur super introitibus Terrae Pedemontis (fol. 61). Questi decreti chiaramente determinano il fideicommisso praedicto essere perpetuo in beneficio delli mascoli descendenti dal Conte, et non ristretto alli dui gradi di nepote, et pronepote del Testatore; Perché se questi solamente includesse Don Ferrante pronepote, come ultimo chiamato, haverebbe potuto alienare et obligare con Assenso il feudo di Piedimonte come hereditario, et non più soggetto ad restitutione; Per consequenza li suoi creditori giustamente haverebbono preteso contra Don Giovanni figlio, et herede doversi ponere Piedemonte nell’Inventario della heredità del padre, et eseguirsi nel feudo contra l’istesso possessore, ma essendo giudicato Terra Pedemontis non venire in discussione Inventarii nec exequendum super eius Introitibus, stante fideicommisso ablato, e ancora giudicato il fideiccommisso includere li mascoli descendenti dal Conte, ulterioris gradus, di nepote, et pronepote, come era Don Giovanni, essendo pronepote del Testatore. Quarto porta come Don Giovanni nell’Anno 1557 fe’ testamento
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Ove declarò che considerato l’ordine della casa sua, che li mascoli succedano, non havendo né figli né fratelli, perciò instituì suo herede Don Luigi Caetano suo nepote consobrino in quinto gradu in detta Terra (fol. 39). Quale non era in grado successibile, né per la Constitutione del Regno né per le gratie del capitolo, né poteva essere ammesso alla successione di detta Terra, se non in vigore del detto fideicommisso, et cossì ne prese la possessione. Et perché Don Giovanni una sorella utrinque coniuncta , chiamata Donna Vittoria Caetano, nacque differenza in Camera fra detta Donna Vittoria e Don Luigi, perché la sorella pretendea venire claro et aperto iure in vigore della Constitutione del Regno et della prima Investitura alla successione di detta Terra, et fe’ istanza in Camera manuteneri, et quatenus opus est immicti in possessionem Terrae praedicatae; et conmdenarsi Don Luigi predetto ad relassarli la possessione (fol. 26). Et per Don Luigi s’oppose che Piedemonte spettava ad lui vigore fideicommissi Comitis Fundorum (fol. 318) et che Donna Vittoria come femina era esclusa dalla successione di detta Terra (fol. 47). Concorse ancora in detta successione Don Cola Caetano, zio carnale di detto Don Giovanni, il quale presupponendo come prossimiore in grado a Don Loise dovere succedere in vigore del sudetto fideicommisso fu escluso come clerico beneficiato essendo Abbate dell’Abbatia de Santa Maria a Pulsano.
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Fu per decreto del Collaterale fatta Relatione per la Regia Camera con aggiunti del Consilio nell’Anno 1563, provisto Terram Pedemontis spectare ad Don Aloysium, et proinde esse investiendum salvo iure competenti Donnae Vittoriae super annuis Introitibus eisdem debitis super dicta Terra ch’era la sua dote de paraggio, et absolvatur idem Don Aloysius ab impetitione Donna Vittoriae Don Cola Caietani super impetitione praetensae successionis Terrae Pedemontis (fol. 485). Et che Don Loige ottenesse vigore fideicommissi, oltra le sudette comparse, repliche, et istanze, si vede dalla comparsa presentata in Camera per Donna Vittoria nell’anno 1568, nella quale, sapendo molto bene quello che era stato trattato, discusso et determinato, dimandando il suo paraggio, dechiarò che Don Luigi vigore sententiae ultimo loco latae per Regiam Cameram successit vigore fideicommissi. Intanto che chiaramente appare detta Terra de Piedemonte havere questa natura, che vi succedano li mascoli, et cossì essere stato sempre osservato dopo il testamento del Conte di Fondi, Perciò esso Duca claro et aperto iure essere chiamato alla successione d’essa et havendo già presa la possessione deve essere manutenuto in essa, poiché è figlio primogenito di Don Alfonso Caetano d’Aragona, ut preambulo (fol. 29); et Don Alfonso era fratello carnale utrinque di Don Loigi predetto, ut ex preambulo (fol. 28); et cossì viene ad essere in quarto gradu con Don Scipione ultimo
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Morto, anzi lui solo è unico masculo descendente ex linea masculina del detto Conte Testatore; et l’istesso Don Scipione nel suo asserto Testamento chiama Don Alfonso suo zio. Non obstante la pretensione di detta Signora Donna Camilla Caetano, Duchessa di Sermoneta, sorella di Don Scipione, atteso a lei, per nisciuno termine di raggione può competere rimedio dell’Immissione in vigore del Testamento di detto Don Scipione, poiché per essere femina viene ad essere chiaramente et apertis verbis esclusa dalla Investitura di questo feudo, come si è mostrato sopra, et è stato per sentenza della Reggia Camera fatta Relatione in Collaterale, dechiarato in persona di Donna Vittoria Caetano sorella utrinque di Don Giovanni, la quale per morte di detto suo fratello senza figli mascoli pretese succederli, et nondimeno fu per detta sentenza esclusa et conceduta l’Investitura a Don Luigi Caetano, come chiamato in vigore del Testamento, et fideicommisso del detto Conte di Fondi, etiam in possessorio, come dalli decreti (fol. 26). Né può fundarsi nel Testamento di Don Scipione, per difetto di potestà di detto Testatore, il quale tanto nel principio dell’acqusito di questo feudo, quanto dipoi, ha sempre dechiarato haverlo posseduto, et possederlo come feudo ex pacto, et soggetto al già referito fideicommisso del detto Conte di Fondi, alla quale dechiaratione, come sua herede, è obligata a stare Donna Camilla. Et a fondare questo si porta, come a tempo, che Don Scipione
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Succedè a questa Terra per morte di Don Luyse suo padre, denunciò in Camera la morte di suo padre, et denunciò tenere Piedemonte vigore fideicommissi (fol. 30); come quando si fe’ dechiarare herede per geminate comparse, dechiarò volere questa Terra vigore fideicommissi (fol. 32); et in actu auditionis si protestò che intendeva ritenere detta Terra, come spettante ad esso ex persona propria, et uti vocatus vigore fideicommissi (fol. 33), et in acutu auditionis descrisse in Inventario detta Terra come spettante ad esso ex persona propria come feudo ex pacto et providentia et vigore fideicommissi (fol. 81) et proprie (fol. 87). Porta che, havendo nell’anno 1614 detto Don Scipione stipulata Conventione con l’Università di detta Terra, dechiarò esserli pervenuta vigore antiqui fideicommissi (fol. 170). Il medesimo oppose Don Scipione in Consilio all’istessa Donna Camilla nell’Anno 1593 tanto in vita di Don Luigi padre, quando Donna Camilla pretese alcuni crediti sopra Piedimonte, dicendo volere essere inteso in questo giudizio, mentre che vigore notoriissimi fideicommissi detta Terra spectava ad esso (fol. 34), et lui medesimo all’hora presentò il Testamento, et fideicommisso predetto, quanto doppo la morte, atteso contra la medesima, ed altre pretensioni di Donna Camilla, Don Scipione non solo disse et confessò Piedimonte essere soggetto al fideicommisso, ma che doveva essere inteso il Duca de Laurenzano, come chiamato alla successione di detta Terra (fol. 63).
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Anzi l’istessa Donna Camilla ha confessato detta Terra essere soggetta al fideicommisso, et a lei, come femina doverseli il paraggio, vigore Testamenti Fundorum Comitis, atteso havendo nell’anno 1593 dimandato condemnarsi Don Luigi padre al paraggio promessoli di ducati dodecimila sopra Piedemonte (fol. 417). Presentò li capitoli matrimoniali, nelli quali fra l’altre doti li furo promessi detti docati dodecimillia eidem competentens pro eius paraggio super Terra Pedemontis (eodem fol.), et presentò il decreto della Camera dell’anno 1563, col quale fu declarato spettare Piedemonte a Don Luigi, esclusa Donna Vittoria con la riserva delle sue raggioni per il suo paraggio (fol. 418), volendo mostrare che mentre a Donna Vittoria sorella de Don Giovanni, che fu esclusa da Piedemonte, furono reservate le raggioni del paraggio a lei, come sorella de Don Scipione, et dimandando essere inteso per il suo interesse in detta lite, poiché vigore notoriissimi fideicommissi detta Terra spettava a lui (fol. 418). Donna Camilla replicò che era notorio omnino doverselli il paraggio sopra Piedemonte con le seguenti parole: Quia ipsa Donna Camilla est de descendentibus quondam Honorati Caietani Fundorum Comitis qui mandavit descendentes foeminas dotari de paraggio. Cossì Donna Camilla non dimanda il paraggio per il feudo de Piedemonte in virtù della Constitutione del Regno, che obliga
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il fratello a dotare de paraggio la sorella esclusa dalla successione, Ma in virtù della dispositione del Conte di Fondi, la quale altra non è che il suo testamento, et fideicommisso esclusivo delle femine perpetuamente in beneficio delli mascoli ex recta ipsius linea, con peso di dotarle de paraggio. Dunque dimandando il paraggio da Don Scipione fratello, come descendente femina dal Conte, conforme l’ordine suo, che il testamento lo dimanda, come esclusa dalla successione del feudo per il testamento, et fideicommisso, conseguentemente confessa il fideicommisso durare nella persona di Don Scipione ultimo possessore. Né può pretendere immissione in possessionem, mentre come femina è esclusa dalla successione di detta Terra per il Testamento del detto quondam Honorato Caetano Conte di Fondi, bollato di Regio Assenso, quale ha forza di nova investitura in questo feudo, conforme alle decisioni del Sacro Consilio, et della Regia Camera, per le quali nell’istessi casi è stata denegata l’Immissione in possessionem all’herede scritto in Testamento, et è stata conceduta la possessione o confirmata al successor, chiamato dall’Investitura, ancora che non fosse stato instituito herede, delle quali per mo’ se ne portano tre, due del Sacro Consilio, et confirmate in causa declamationis, nella causa di Don Tomaso Moles con Marc’Antonio Moles (fol. 324), et sequentibus, et proprie (fol. 331), et nella causa de Laudomia Como, con Lucretia Como, (fol. 332), et proprie (fol. 337)
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et un’altra della Regia Camera, nella causa di Giovanni Andrea Pignatello con Beatrice Pignatello (fol. 136 et fol. 339). Et quando Donna Camilla volesse fundarsi nella pretensa possessione presa in suo nome di detta Terra, Avertasi, che gli atti possessivi, che porta, sono figurati, et non veri, né legittimi cum reverencia. Non sono veri, ma imaginari, perché tutti detti pretensi atti sono fatti da detto procuratore, solo, senz’atto pubblico, senza intervento di officiali della Terra, et delli huomini del Regimento, in modo che ha possuto farseli da per lui, a sua posta, et dentro una Camera, con ponervi la giornata che l’ha piaciuto, et questo maggiormente lo dimostra, che in nessuno d’essi ci è specificatione de hora. Dalli 21 d’Agosto porta havere fatto il locotenente in Piedemonte, et il Giodice delle seconde cause, et il fiscale, una gratia di certo resto d’esilio a Luigi de Clavellis, et un’altra de asportatione d’arme a Giacomo Modesto: questi sono li pretensi atti fatti dal procuratore di Donna Camilla, qual dice esserne avanti il sequestro fatto dal signore Lanfranco. Ma nessuno di questi tiene atto pubblico, né Intervento de persone del Regimento, né altra sollemnità, perciò non provano, anzi che siano imaginarii si chiarisce per più mezzi. Primo, detto Vicario hebbe notitia della morte di detto Don Scipione
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ad un’hora e mezza di notte, come per fede (fol. 302). Come dunque, volendo fare atto possessivo, non congregò la Università, o parte di essa, o gli officiali, che erano in detta Terra, o non fece atto tale che vi avesse possuto intervenire et notare giodice et testimonii; se havesse fatto atto di possessione, haveria trovato alcuno del Regimento, richiesto lo Officiale, serrate et aperte le porte della Casa della Corte con atto pubblico; questo dà ad intendere che li atti portati non siano veri. Secondo si vede apertamente, atteso introdurre il luocotenente fare decreto a 22 d’agosto ad istanza de Bartolomeo Petraleone contra uno suo debitore che ducatur ante praesentiam (fol. 204); et tuttavia detto Bartolomeo fa fede mai essere comparso avanti detto luocotenente, né vicario, ma havere chiamato detto suo debitore avanti il signore Lanfranchi nel detto dì, et poi essersi concordato con lui; et fatto instromento, et si porta la fede di detto instromento de concordia delli 22 d’Agosto (fol. 293 et 294). Forse il signor Lanfranchi recevé l’ordine del sequestro un’hora avanti il giorno del 22 d’Agosto, come lui ne fa fede a Sua Eccellentia (fol. 224); et immediatamente a undeci hore fe’ l’atto del sequestro, nomine regio (fol. 226); quando voleva questo creditore chiamare avanti il luocotenente il suo debitore, bisognava che questo atto giudiciale fosse fatto di notte, che non è credibile.
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Terzo, Donna Camilla et Don Filippo Caetano suo marito sono stati quelli che dal Collaterale hanno procurato ordine, che la possessione di detta Terra se sequestrasse nomine Regio, come fa fede lo scrivano di mandamento Gioan Antonio Giselmo (fol. 292); et apparisce dalla fede fatta dal signore Lanfranco, il quale dice essergli stato exhibito detto ordine da Felice Siliceo, vicario di Capua, procuratore di Donna Camilla (fol. 291). Dunque, mentre essi havevano procurato il sequestro, et era in potere del procuratore, quale pretende havere fatti gli atti possessivi, et esso medesimo li exbibì al signore Lanfranco, come poteva fare atti di possessione che fossero legittimi, et validi; et se l’havesse fatti prima, non haverebbe presentato il sequestro, ma domandato più tosto conservarsi nella sua possessione. Delli altri atti fatti doppo il sequestro, senza continuare li atti di vera possessione prima del sequestro, non se ne può tenere raggione, né consideratione alcuna, né occorre replicarci; et cossì resta chiarito che non ci è possessione alcuna. Ma perché la signora Donna Camilla ha preteso con alcune fedi dare qualche ombra alli atti chiari e legittimi di possessione fatti dal Duca, perciò a corroboratione d’essi ha il Duca portato le seguenti scritture. Dice Donna Camilla che la carceratione d’Alessandro Giaimo non fu vera, et porta fede de uno Antonio Tartaglia, asserto carceriero, che ai 21 d’Agosto non fu carcerato volendo inferire
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Che la gratia fattali, et l’escarceratione non fosse vera. Però questo sta ben chiarito, che fu inquisito, et fu carcerato in una camera del Palazzo, trovato in quello istante dal fiscale, et hebbe la gratia dal Duca, che fosse inquisito et habilitato de tenendo Terram loco carceris, et se ne porta il decreto della habilitatione et della pleggiaria (fol. 275) et lettera di Don Scipione Caetano, che questo processo venisse in Napoli (fol. 277), et l’altra che l’haveva già visto il dottore Marciano, et che quando tornava a Piedemonte l’haveria portato (fol. 280), et che veramente fosse stato carcerato et havesse in actu possessionis la gratia dal Duca; ne fa fede Ascanio de Marcellis, il quale dice che essendo venuto Alessandro Giaimo con altri cittadini nel Palazzo Ducale, al tempo che il Duca voleva fare l’atto della possessione, perché lui teneva commissione di fiscale fattali dal Duca, carcerò detto Alessandro in una camera del Palazzo, et a preghiere d’un suo zio li fe’ la gratia (fol. 271), et ne fa fede il Governatore di detta Terra, postovi da Don Scipione (fol. 223), et l’Erario di detta Terra, fatto da Don Scipione (fol. 224), et molti particolari (fol. 272). Dice che le parlamenti et le possessioni solite darsi alli Governatori si fanno ordinariamente dentro il Monasterio di San Domenico, et che si fa con sedici dello Governo; Però il Duca replica che questa fede non è vera, et per scritture pubbliche appare tutto il contrario, poiché sono portati più parlamenti, et Conclusioni fatte
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non solo nel Palazzo Ducale nell’Anno 1602 (fol. 260, 262 et 263), ma in altri luochi della Terra (fol. 267, 269, 282). Anzi ha portato fede, come altre volte si sono fatte conclusioni di negotii publici, con pigliare li voti delle persone del Regimento, et cittadini, in scriptis, per le piazze, et hanno havuto il loro debito effetto (fol. 287) et basta che ci sia la maggiore parte delli huomini del Governo.
Cossì resta ben chiarito che il Duca venga claro et aperto iure alla successione di detto feudo, che ne habbia già preso la vera, attuale, et legitima possessione. Et perciò doversi confermare et manutenersi in essa, et quatenus opus est immettersi.
Riferimenti bibliografici
- Ranieri Maria Gaetani, Gens Caietana. La storia della famiglia Gaetani (730-2000), Tipografia Bandista, Piedimonte Matese 2005.
- Dante Bruno Marrocco, Piedimonte Matese: storia e attualita, Edizioni A.S.M.V., Piedimonte Matese 1999 (1961).
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[Plinius Sen., "Nat. Hist." III, 60]
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