A cura di Armando Pepe
Pagina principale di riferimento: Le origini del fascismo in Terra di Lavoro. Fonti
Fonti
- Archivio Centrale dello Stato (ACS), Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Generali Riservati, Anno 1922, busta 118, fascicolo (G1 fascio Caserta) 27 “Sant’Apollinare”.
- Archivio di Stato di Caserta (ASCe), Prefettura Gabinetto, I° Inventario, busta 310, fascicolo 3532 “Indagini sul parroco di Sant’Apollinare, accusato di attività disfattista”.
Fatti
Don Virgilio Maria Mignacca1 nacque il 12 marzo 1883 a Sant’Andrea del Garigliano, ove morì l’8 dicembre 1979. La sua vita pastorale trascorse quasi interamente nel limitrofo comune di Sant’Apollinare, nella diocesi di Montecassino, in un territorio denominato “Valle dei Santi” che si estende lungo la riva destra del fiume Garigliano, comprendente i paesi di San Giorgio a Liri, Sant’Apollinare, Sant’Ambrogio sul Garigliano, Sant’Andrea del Garigliano, tutti appartenenti alla provincia di Terra di Lavoro2 fino al 2 gennaio 1927, poi confluiti in quella di Frosinone. Don Virgilio visse durante un periodo molto concitato, in un luogo del Mezzogiorno d’Italia, dove l’unica forma di sussistenza, per la quasi totalità della popolazione, era l’agricoltura. Dal 1915 al 1918 si ebbe la prima guerra mondiale, nel 1922 la marcia su Roma e la graduale presa del potere da parte fascista. Dal 1918 al 1920 si andavano formando, anche in Terra di Lavoro, le Leghe contadine3, d’impronta socialista, e le Cooperative agricole cattoliche. Don Virgilio, in virtù di una pronunciata sensibilità sociale, era fautore della Cooperativa cattolica di Sant’Apollinare. Sia le Leghe sia le Cooperative avevano in comune l’intento di migliorare le miserabili condizioni dei coloni e dei braccianti. In quegli anni la proprietà terriera era concentrata, in Sant’Apollinare come in ogni paese di Terra di Lavoro, nelle mani di un’esigua minoranza di benestanti che, a volte, davano in colonia parziaria i propri fondi ai contadini. La colonia parziaria, specie nelle regioni meridionali, si trasformava in un vero e proprio sfruttamento dei lavoratori. C’è da rimarcare che i contratti di colonia variavano secondo il paese, ma di frequente il colono percepiva la terza parte dei frutti della propria fatica, sostenendo da solo anche le spese di conduzione e miglioria del fondo. In più doveva al padrone regalie di polli e uova in occasione di ricorrenze pattuite. Le Leghe socialiste e le Cooperative Cattoliche, con mezzi differenti, ambivano a dare più dignità ai lavoratori attraverso la mezzadria, ossia una nuova forma contrattuale, mediante cui il padrone e il contadino avrebbero diviso a metà sia le spese di coltivazione dei terreni sia il raccolto. Tuttavia ciò incontrava le resistenze dei proprietari terrieri. Don Virgilio, come tanti altri preti coevi, si trovò ad affrontare le conseguenze del tempo, in un paese di provincia dove si viveva prevalentemente d’agricoltura. Le disavventure di Don Virgilio, in Sant’Apollinare, iniziarono nel gennaio 1918, con una denuncia anonima al ministero dell’Interno, per manifestazioni antipatriottiche del Parroco. In quegli anni la vigilanza politica sul clero si accentuava a causa della guerra e l’accusa di disfattismo era tipica di certi settori destrorsi. Il 18 gennaio 1918 la direzione generale di Pubblica Sicurezza presso il ministero dell’Interno trasmise alla prefettura di Caserta la denuncia anonima chiedendo cosa stesse succedendo nel piccolo centro di Sant’Apollinare. Di rimando il prefetto di Caserta Diodato Sansone chiese informazioni al dottor Sacchi, sottoprefetto di Gaeta , che il 28 febbraio 1918 rispose: Nel restituire alla Signoria Vostra Illustrissima l’unita denuncia, diretta al Ministero dell’Interno, a carico del parroco Mignacca Virgilio, da S. Apollinare, mi pregio di riferirle quanto mi scrive al riguardo l’Arma dei Reali Carabinieri interessata. Da informazioni assunte in merito al ricorso anonimo contro il parroco Mignacca Virgilio da S. Apollinare, per manifestazioni antipatriottiche, risulta quanto appresso: “Si vocifera che il suddetto parroco sia austriacante ma non si è riuscito a stabilire se abbia espresso in pubblico idee disfattistiche, poiché, interrogate le persone indicate nella denuncia, hanno dichiarato di nulla aver sentito dire dal sacerdote, ma solo d’aver appreso dalla voce pubblica che dal pergamo abbia inneggiato alla vittoria delle armi nemiche”. Il prof. Enrico Cocchiara, cennato nell’anonimo, ha soggiunto che, nei primi mesi dell’anno 1917, il Mignacca, passeggiando seco lui, volle dimostrare che l’Austria era nelle sue ragioni a combattere, perché l’Italia era venuta meno ai patti dell’alleanza e, per di più, aveva invaso terre che non le appartenevano. Dice ancora il Cocchiara che ha udito da qualche beghino che simili idee il sacerdote Mignacca le abbia manifestate in chiesa, ma non ha potuto indicare persone che potessero ciò affermare. Si ha ragione di ritenere che il professor Cocchiara, per astio personale contro il parroco, abbia riferito le suaccennate circostanze a carico di costui. È certo però che, pur non escludendosi che il Mignacca non sia favorevole alla nostra guerra, non si hanno elementi validi per ritenere che egli faccia pubblicamente propaganda contraria ai nostri interessi. La popolazione di S. Apollinare è eminentemente patriottica e mai diede alcun segno di contrarietà alle nostre operazioni guerresche. Analogo rapporto è stato in pari data fatto al Procuratore Generale del Re presso la Corte d’Appello di Napoli, a seguito d’identica denuncia trasmessami per informazione e diretta al Ministero di Grazia, Giustizia e di Culto. Per quale motivo il professor Cocchiara, pur mostrandosi amico di don Virgilio e carpendogli i più reconditi segreti, si spinse a tanto? Per odio verso il parroco o, più verosimilmente, perché voleva ostacolarne l’attività pastorale, tesa ad alleviare le precarie condizioni dei poveri contadini attraverso la Cooperativa cattolica? Quest’ultima non intaccava forse gli interessi dei proprietari terrieri? Sicuramente il Cocchiara, per motivi personali, non si peritò di testimoniare apertamente contro Don Virgilio. Le autorità civili, però, non ritennero rilevanti le accuse e anzi le parole del Cocchiara furono messe in dubbio. Gli anonimi del primo esposto, che si aspettavano degli energici provvedimenti contro il parroco, continuarono con una seconda lettera di denuncia4 inviata, il 18 aprile 1918, direttamente al prefetto di Caserta per accorciare la prassi burocratica. Fin dal mese di Gennaio ultimo passato fu denunziato per iscritto a Sua Eccellenza, il Ministro degli Interni, il Reverendo Virgilio Mignacca, Arciprete curato di questo comune di S. Apollinare perché, profittando della sua carica autorevole, con subdole discussioni, cercava di infiltrare nelle coscienze deboli il veleno del disfattismo. L’inchiesta fu affidata al signor Pretore del Mandamento di Esperia, il quale delegò, a sua volta, il Comandante della Stazione dei Reali Carabinieri di S. Giorgio a Liri che, per soverchia bontà o forse per altre ingerenze, non escusse tutte le prove sì che ora le cose dormono, e dormiranno ancora, ed il Reverendo Mignacca, indisturbato ed inorgoglito di tal ritardo, seguita la sua occulta e delittuosa propaganda ogni volta che si presenta la propizia occasione. Egli si serve del confessionale per turbare le deboli coscienze muliebri, parla dolcemente ai soldati in licenza e a loro dimostra la debolezza dell’Italia di fronte alla saldezza dell’Austria, la quale combatte giustamente contro di noi, che siamo gente fiacca e traditrice; e nelle sue discussioni cercate ad arte, mostra in ogni detto l’impossibilità di vittoria delle nostre armi e delle armi alleate. La miglior parte di questa Popolazione è indignatissima per l’opera deleteria e antipatriottica del Reverendo Mignacca, il quale vorrebbe vedere frustrato il sacrificio di sangue dei nostri validi figli, vedere infiacchita quella saldezza di resistenza, che costa tanti sforzi e tanti disagi, e che è l’unica arma per schiacciare il nemico e guidare la nostra Italia alla vittoria finale. Perciò, fiduciosi, noi ci rivolgiamo alla giustezza di Vostra Signoria Illustrissima perché da un autorevole magistrato voglia far riprendere l’inchiesta, che dovrà ricondurre sulla via del dovere il suddetto prete, cieco e maligno, che in questa trepidante ora di raccoglimento e speranza cerca di debellare la nostra cosciente fede patriottica, offendendo vergognosamente l’Italia nostra e le Nazioni Alleate. L’anonimo autore della denuncia era sicuramente istruito, astuto come una volpe e, a sostegno delle proprie tesi, invocava numerosi cittadini di Sant’Apollinare. Come vedremo in seguito, alcuni ignoravano il tutto o confermavano mezze verità, mentre altri, i più sagaci, facevano finta di aver sentito dire delle cose da terze persone. Ciò dimostra che si navigava in acque limacciose. Questo comportamento mi fa ritenere che alcuni fossero proprietari terrieri apertamente ostili a Don Virgilio, altri invece loro amici, che accondiscendevano a corroborare le accuse ma senza compromettersi. Il 14 giugno 1918 il sottoprefetto Sacchi comunicava al prefetto di Caserta che, tramite i carabinieri di San Giorgio a Liri , le indagini su Don Virgilio Mignacca continuavano: Nel restituire alla Signoria Vostra Illustrissima l’unita denuncia pervenuta col foglio contradistinto, mi pregio di riferirle che da nuove indagini esperite dal Comandante la Stazione dei Reali Carabinieri di S. Giorgio a Liri sulla deleteria opera disfattista esercitata fra i naturali del Comune di S. Apollinare dal Reverendo Don Virgilio Mignacca è risultato quanto segue: Dei vari cittadini segnati nella denuncia, cui trattasi, alcuni dichiarano di nulla sapere, mentre altri invece, nell’asserire, affermano che il Sacerdote Mignacca svolgesse, in effetto, occulta e delittuosa propaganda contro la guerra. Il Mignacca, riferisce l’Arma, veramente non si appalesa un Italiano fervente. Sebbene sia da ammettersi che tutti i testimoni, segnati nella denuncia, siano nemici personali del Mignacca, tuttavia, in base a deposizioni firmate dai medesimi, il 6 giugno 1918 il suddetto Reverendo è stato denunciato all’Autorità giudiziaria dall’Arma di S. Giorgio a Liri, quale responsabile di disfattismo ai sensi del Decreto Legge 4 Ottobre 1917 (Decreto Sacchi). In merito alla precedente inchiesta del Febbraio ultimo scorso, affidata alla stessa Arma di S. Giorgio a Liri dal giudice di Esperia, non fu per ingerenze che non venne portata a fine, poiché i pochi testimoni, allora segnalati, dichiararono di nulla conoscere, ad eccezione di Cocchiara Enrico, che affermò quanto ha ora deposto. Analogo rapporto è stato inviato al Procuratore Generale del Re presso la Corte d’Appello di Napoli, per analoga richiesta. Il sottoprefetto Sacchi, alla luce delle ultime indagini, riteneva che le accuse mosse a Don Virgilio fossero il prodotto di personali inimicizie. Perché tanto rancore nei confronti del parroco? Credo di poter sostenere che il prete era diventato ingombrante e l’accusa di disfattismo si rivelava funzionale agli interessi dei possidenti. Le indagini su Don Virgilio durarono a lungo, ma la sua vita pastorale continuò a trascorrere, imperterrita nonostante tutto, tra i fedeli. Il 4 novembre 1918, finalmente, la Grande guerra finì, e Don Virgilio rimaneva sempre in Sant’Apollinare, ma nuovi torbidi erano alle porte. Il 28 ottobre 1922 da parte dei più facinorosi aderenti al Partito nazionale fascista vi fu la marcia su Roma, nerboruta dimostrazione di forza per la presa del potere, poi Benito Mussolini divenne capo del governo. Le squadre fasciste, spesso infarcite di ciurmaglia, spadroneggiavano ovunque con atti violenti contro persone e cose. Anche questa volta il povero Don Virgilio fu preso di mira da alcuni squadristi di Cassino , opportunamente instradati da un abitante di Sant’Apollinare. Sui fatti accaduti il prefetto di Caserta Gennaro Bladier, di spiccate simpatie fasciste, il 23 dicembre 1922 inviò una breve relazione alla direzione generale di pubblica sicurezza presso il ministero dell’Interno: Il 19 Novembre 1922 si recarono a S. Apollinare i componenti della squadra fascista di Cassino, i quali fecero pacifica propaganda ottenendo anche l’imbandieramento di alcuni edifizi tra cui il Municipio, dopo di che si allontanarono proseguendo per S. Ambrogio sul Garigliano. Verso le ore 17, mentre tornavano a Cassino passando in vicinanza di S. Apollinare, furono invitati dal fascista Panaccione Salvatore a rientrare nel paese col pretesto dell’esistenza di alcune bandiere rosse esposte e pel fatto che dal Municipio e dalla Cooperativa Cattolica era stato tolto il tricolore, circostanza, quest’ultima, risultata vera. I fascisti, aderendo all’invito, si recarono prima all’osteria del socialista Massidoro Giovanni, al quale intimarono, minacciandolo con pugnali, di consegnare la bandiera rossa, che egli in effetto non possedeva. Allontanatisi dall’osteria, i fascisti si procurarono, dal farmacista Pardi Pietro, una bottiglietta di olio di ricino e ne fecero ingoiare, nelle rispettive abitazioni, al Segretario Comunale Lanni Pietro ed al Parroco Mignacca Virgilio, al primo per aver fatto togliere la bandiera dal Municipio ed al secondo per averla fatta togliere dalla “Cooperativa Cattolica”. Essendo il fatto avvenuto di sorpresa non si trovarono presenti sul luogo che due carabinieri, i quali riuscirono a scongiurare più gravi avvenimenti. Il Panaccione è stato denunziato insieme con tali De Lucia Pasquale e Nertegli Roberto, entrambi provenienti da Cassino, i quali furono riconosciuti i più violenti durante l’azione. Il fatto ha molto impressionato gli aderenti al Partito Socialista e al Popolare, ma non si ritiene che possa avere conseguenze spiacevoli. Quanto sopra è stato riferito soltanto il 21 dicembre 1922 al Sottoprefetto di Formia dal Comando della compagnia dei Reali Carabinieri di quel capoluogo. Don Virgilio fu vittima una seconda volta della cattiveria umana ma continuò a curare le anime dei suoi parrocchiani, morendo quasi centenario a Sant’Andrea del Garigliano, suo paese natale.
Bibliografia ragionata
Per un’analisi complessiva sulle denunce per disfattismo nei confronti di ecclesiastici si veda il libro di Luigi Bruti Liberati, Il Clero italiano nella Grande Guerra, Editori Riuniti, Roma 1982. Il 4 ottobre 1917 fu emanato il Decreto luogotenenziale 1561, conosciuto come Decreto Sacchi, dal nome del Ministro Guardasigilli Ettore Sacchi (Cremona, 1851- Roma, 1924), che prevedeva pene durissime per chi venisse accusato di antipatriottismo. Si veda inoltre l’articolo “L’internamento di civili durante la prima guerra mondiale. Normativa e conflitti di competenza” di Giovanna Procacci, apparso sul numero 5-6/ 2006 di DEP “Deportate, esuli, profughe. Rivista telematica di studi sulla memoria femminile”, edito dall’Università Ca’ Foscari di Venezia. Per un quadro d'insieme sul fascismo casertano si rimanda ad Armando Pepe, Le origini del fascismo in Terra di Lavoro (1920-1926), Aracne, Canterano 2019.
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Hinc felix illa Campania est, ab hoc sinu incipiunt vitiferi colles et temulentia nobilis suco per omnis terras incluto, atque (ut vetere dixere) summum Liberi Patris cum Cerere certamen. Hinc Setini et Caecubi protenduntur agri. His iunguntur Falerni, Caleni. Dein consurgunt Massici, Gaurani, Surrentinique montes. Ibi Leburini campi sternuntur et in delicias alicae politur messis. Haec litora fontibus calidis rigantur, praeterque cetera in toto mari conchylio et pisce nobili adnotantur. Nusquam generosior oleae liquor est, hoc quoque certamen humanae voluptatis. Tenuere Osci, Graeci, Umbri, Tusci, Campani.
[Plinius Sen., "Nat. Hist." III, 60]
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