A cura di Armando Pepe
Pagina principale di riferimento: Le origini del fascismo in Terra di Lavoro. Fonti
SOMMARIO
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Fonti archivistiche
- Archivio centrale dello Stato (ACS), «Carte Michele Bianchi», busta 2, fascicolo 26 «Campania».
- Archivio centrale dello Stato (ACS), Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, Anni 1922- 1943, busta 47, fascicolo 242/R, «Padovani Aurelio (Napoli- Fascismo)».
Introduzione
Per quanto si sia dibattuto, in sede storiografica, sulla figura del capitano Aurelio Padovani1, capo del primo fascismo campano e fautore di un’intransigenza che gli costò cara, rimangono da risolvere delle incertezze e da riportare alla luce nel modo più fededegno possibile i dissapori che lo fecero allontanare, almeno pubblicamente, da Mussolini . Al decorato, per meriti bellici, Padovani, a causa di una diatriba localistica, ma propagatasi dalla provincia di Terra di Lavoro (molto più estesa dell’attuale provincia di Caserta, città che ne era il capoluogo) a tutta la Campania, fu preferito il nazionalista e ufficiale dell’Esercito Paolo Greco2, espressione del padronato agrario e uomo d’ordine. La dismissione di Padovani, accusato di eccessivo rigorismo morale ma anche di malcelata alterigia, avvenne durante il 1923, nel momento della fusione tra fascisti e nazionalisti , che in Paolo Greco avevano un leader, sia pure epicorio, di medio rango e non paragonabile certamente al carismatico capitano napoletano. Leggendo i Taccuini mussoliniani3, redatti da Yvon de Begnac, in cui sono riassunti le impressioni, le suggestioni e i reconditi pensieri di Benito Mussolini, abbiamo la conferma che: «Padovani non voleva che il suo fascismo si fondesse con il nazionalismo dei notabili della sua regione. Una tale posizione contrastava con la necessità del momento, necessità della rivoluzione di conglobare l’intero nazionalismo per controllarne il potere, assorbirne la cultura, neutralizzarne l’indipendenza politica.[..] Il capitano Padovani mi era devoto. Ma la sua devozione non era cieca. Egli guardava all’eliminazione immediata del notabilato campano, velocemente trasmigrato dalla quadrimurti della democrazia nazionale dei miei amici Federzoni, Maraviglia, Greco. Il problema era grave». In sostanza Mussolini attribuiva a Padovani, colpevole ai suoi occhi di «eresia politica», la non comprensione di una circostanza storica, quella della fusione tra fascisti e nazionalisti. Padovani, sacrificato per ragioni politiche, scivolò dunque lungo «la china dello scisma», e la separazione tra i due fu inevitabile, tuttavia il filo dei rapporti non s’interruppe mai.
Carteggio
1) Aurelio Padovani a Benito Mussolini, 24 maggio 1923
Il 24 maggio 1923, all’acme dello scontro con i nazionalisti, Aurelio Padovani divulgò un manifesto- memoriale dai toni apodittici:
Militi, Fascisti, Lavoratori fascisti della Campania!
In nome della vostra dirittura politica e morale, della quale fui geloso esponente, ingaggiai una battaglia, che, se mi allontana dalle vostre file, mi onora perché essa fu combattuta per un comune ideale che volevamo, e certamente vorremo, benché separati, mantenere integro, onde meglio continuare e più prestamente vincere. L’episodio, ad arte ritenuto e classificato personale, resta invece la reazione all’ingresso di uomini ambiziosi, che avevano già bussato a tutti i partiti, non escluso quello dell’innominabile Cagoia4, e che furono filofascisti o antifascisti a loro comodo, servendosi dei vecchi e deprecati sistemi elettorali che vanno dalla clientela al favore personale fino al protezionismo di fornitori dello Stato, arricchitisi durante la guerra. Intorno a pochi uomini, ai quali intendevo in nome del Fascismo sbarrare il passo, si sono coalizzati tutti i mestieranti della politica, perché timorosi di essere colpiti in pieno dalla nostra opera inflessibile e dalla compattezza fascista che solo può sbaragliarli. In tutti i modi si è cercato di diminuire l’alto significato della nostra battaglia col rappresentarla sotto un falso aspetto e soprattutto diffondendo subdolamente, e senza assumere diretta responsabilità, voci ed intenzioni che il Fascismo Campano, nei Capi e nei gregari, mai ebbe, perché fu sempre compatto nel seguire religiosamente il Duce e nell’amare profondamente il Paese, senza mai passare ad atti che potessero turbarne la tranquillità e la vita. Sono convinto, per quanto il provvedimento che seguì alle mie dimissioni sembri agli estranei disapprovazione, che anche il nostro Duce intimamente apprezzi la sentimentalità che ci ha guidati. Col mio precedente appello v’invitai a rimanere al vostro posto, che da noi molto austeramente fu inteso di sacrificio, perché soltanto il mio atto rimanesse un monito a quelli, che, all’infuori del Capo, si erigono a giudici miei, e perché soltanto io dimostrassi quanto disprezzo noi tutti avessimo a rimanere a qualunque costo lì dove altri aspirano per raggiungere onori e cariche a scopo di arrivismo politico. Fu e rimane monito, esempio di coerenza e di fierezza, per alcuni che si credono a posto, mentre mal rappresentano una parte dello stato maggiore del Fascismo, perché accanto al Duce, creatore e guida del nostro movimento, non si preoccuparono di alleviarne le pene, immiserendosi talvolta in metodi che dovrebbero e debbono appartenere soltanto al passato. Vi ringrazio pel plauso e per la solidarietà che mi avete spontaneamente dimostrato, non come consenso alla mia persona, ma invece all’opera mia, che fu fascista e resta come prova di fedeltà e di comprensione di quanto ha in animo di raggiungere il nostro Duce. Ma ho visto affiorare entro ed intorno alle nostre file quanto non è degno di stabilire indirizzo ed assumere responsabilità di un movimento, che deve rimanere, come fu, il più compatto, il più efficace, il più puro di tutto il nostro Mezzogiorno. Come sciacalli, quasi che il Fascismo della Campania fosse cadavere, per due giorni abbiamo visto girare intorno a noi quelli che già espellemmo dalla nostre file e quelli che non volemmo e non vorrete accogliere mai. Abbiamo visto, quasi costituissero un fronte unico, rialzare la testa a liberali, indegni di nomarsi tali, a nittiani, a barattieri d’ogni colore ed anche ai sovversivi, fin’oggi rintanati nell’ombra! Ed abbiamo anche dovuto assistere in questi giorni a rappresaglie contro i nostri bravi, operosi e fedeli lavoratori. Pertanto, pur essendo già fuori delle gerarchie e del partito, nel quale militai con supremo disinteresse ed infinita passione, avvalendomi ancora una volta dell’ascendente morale e sentimentale che mi è provato dal vostro consenso, ordino ai Capi ed ai gregari della Milizia, del Partito e del Sindacalismo di riprendere immediatamente i loro posti, onde continuare nell’ardua battaglia. Sono nella mia coscienza assolutamente tranquillo e fiero di me stesso, come del vostro costante affetto, e se mi allontano, volendo pagare da solo, sono spiritualmente con voi, come fuori dei ranghi saprò esserlo nei cimenti gravi e perigliosi. A voce alta, per orgoglio mio e di tutti voi, che mi eleggeste Capo, dico che non ho nulla da invidiare ad alcun Maestro, all’infuori di Colui che regge le sorti del Paese, perché fui nazionalista anch’io fin dal 1911, partendo volontario per la guerra di Libia e rimanendo in quella nazione fino all’ultimo giorno, anche dopo le mie ferite e la mia mutilazione. Si sappia dai degni, che militarono nel partito già a noi affine, che io mai fui contro di loro, ma invece insorsi perché, come stava per accadere anche ultimamente, alcuni capi ambiziosi e discussi non riuscissero a sacrificare i gregari tutti pur di raggiungere il loro scopo. Ed ora sta a voi, che preparai per ogni più aspro cimento, Fascisti e Lavoratori fedelissimi, il mantenere integro e puro il nostro movimento quale oggi io a voi lo lascio. Ve lo chiedo in nome d’Italia e di Benito Mussolini, alla cui religione vi richiamai sempre, ed al quale con animo fedelissimo invio il mio saluto sempre riverente. Educato alla Scuola di Gustavo Fara, Santi Ceccherini, Andrea Graziani, Emilio De Bono, soldati meravigliosi, ed a quella uguale per patriottismo, carattere e sacrificio di Benito Mussolini, fuori dell’Esercito per le mie ferite, fuori del Fascismo ufficiale ed alla rivoluzione Fascista, conservo con egual senso di religione la divisa grigioverde e la mia camicia nera, pronto ad impugnare il mio moschetto da Bersagliere e da Squadrista sempre che occorra, ove la Patria e il Duce lo vorranno.
Aurelio Padovani
2) Aurelio Padovani a Benito Mussolini, 10 agosto 1923
In Campania, almeno per poco tempo, il fascismo si spaccò, e vari sono i ricordi, appuntanti in presa diretta, dei giovani seguaci di Padovani, come Raffaele Di Lauro , e degli acuti osservatori e vivaci intellettuali, come Guido Dorso , di quelle vicende, che, a volerne fare l’anatomia, procurarono una ferita, sia pure col tempo e a fatica rimarginata, tra le varie anime del più ampio quadro politico regionale. Nonostante la drammaticità della congiuntura determinatasi, pochi mesi dopo, precisamente il 10 agosto 1923, Padovani , mentre si trovava a Roma presso l’Albergo Belsito in Via Ludovisi, chiese un appuntamento, ma invano, a Mussolini:
Presidente, il grande attaccamento e la immutabile fede che nutro per Voi mi suggeriscono di chiedervi un colloquio nell’esclusivo interesse del movimento fascista. Ho fiducia che vorrete aderire alla mia richiesta ricordando i miei precedenti di cittadino e di soldato. Vogliate gradire la espressione della mia più profonda affezione.
Vostro Aurelio Padovani
3) Promemoria di Cesare Rossi per Benito Mussolini, 21 ottobre 1923
Mussolini non accondiscese alla richiesta di Padovani, che calorosamente premeva per ottenere un incontro, forse per un semplice chiarimento. Tuttavia, con altri propositi, per risolvere definitivamente l’arrovellato «caso Padovani», l’energico Cesare Rossi5, formalmente capo dell’Ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ma impegnato per conto del Partito nazionale fascista nelle questioni più delicate e disparate, il 21 ottobre 1923 scrisse per Mussolini un promemoria molto dettagliato:
Caro Presidente,
Poiché, sentendomi stasera indisposto prevedo di non poterti vedere domani, ti riferisco l’attuale stato di fatto del famosissimo caso Padovani. Ieri mattina, tenendo soprattutto conto del suo brillante passato militare e per esaudire i pressanti desideri del Comando Generale della Milizia, io così avevo formulato le proposte di soluzione sulle quali convennero unanimi i colleghi del Direttorio Nazionale: 1) riammissione immediata nel Partito del Padovani; 2) reintegrazione nel suo grado di Luogotenente Generale della Milizia; 3) nessuno scioglimento del Fascio di Napoli per non ferire i sentimenti della massa nella coincidenza dell’anniversario della Marcia su Roma; 4) invio, il primo novembre 1923, di un Commissario incaricato di procedere all’accordo fra le varie fazioni del Fascio stesso e alla ricostituzione del Direttorio con regolare elezione ad unità perfettamente raggiunta; 5) destinazione del Padovani al Comando della Zona di Bologna. Quest’ultima proposta doveva rappresentare il compenso dato ai fascisti non amici di Padovani in cambio del provvedimento straordinario di clemenza in suo favore ed insieme la garanzia di risolvere una situazione prevalentemente personale. Francamente credevo che il Padovani fosse tanto intelligente da accettare questa soluzione prevalentemente a lui favorevole e che lo poneva nella condizione di poter ritornare tranquillamente a Napoli, magari fra tre o quattro mesi, a situazione composta. Stamane si è avuto anche il fatto nuovo rappresentato dall’intervento di Enrico Corradini e dalla tua recisa opposizione al reingresso di Padovani nel Partito. Più tardi Enrico Corradini ha scritto una lettera al Direttorio che non è stata accolta da tutti bene, e forse a ragione, per errori di procedura. Io però sempre per amore di pace ho fatto accantonare il fatto nuovo, volendo che fosse affrontato il fatto più sostanziale: sapere cioè se Padovani era disposto o no ad andare a Bologna. Dopo lunghissima discussione sono riuscito a spuntarla e Emilio De Bono e Francesco Giunta e Italo Balbo sono andati in un’altra stanza per indurre Padovani ad accettare la soluzione bolognese. Come io prevedevo, Padovani, testardo com’è, ha rifiutato facendo le solite minacce sulla ripresa della sua libertà d’azione. Francesco Giunta ha suggerito allora un altro temperamento: farsi dare la sua parola d’onore che, destinato a Napoli, non si sarebbe mai occupato di attività politica. Contro questa speranza ci siamo opposti un po’ tutti per le inevitabili interferenze tra Partito e Milizia, specialmente se si tiene conto che Padovani è stato anche un capo politico. La questione quindi per noi è considerata formalmente chiusa, rimanendo però intesi che sarebbe stata ripresa solo dietro tuo desiderio. Per la situazione fascista propriamente detta di Napoli, abbiamo confermato le proposte di cui sopra. Poiché però altri tentativi presso di noi e presso di te saranno fatti, siccome un po’ tutti siamo stufi di questa lunga storia, una volta per sempre esprimo anche a te il giudizio che il ritorno a Napoli di Padovani riconsacrato non sia opportuno: 1°. Perché sacrificherebbe troppo gli elementi fascisti rimasti fedeli al Partito, dando l’impressione di una sua completa vittoria. 2°. Perché riaprirebbe il dissidio, non contando il Padovani affatto sulla unanimità dei fascisti, senza tener conto dell’avversione di tanti altri ceti cittadini. 3°. Perché anche se Padovani volesse, non è umanamente possibile modificare in quell’ambiente la situazione ancora tesa e l’atmosfera che ancora ha nociuto al suo temperamento acceso. Bisogna perciò che tu ti adoperi perché se il Padovani non va a Bologna, come risolutamente ha dichiarato stasera, cessino ulteriori difese e protezioni nel campo nostro. Francamente mi pare non le meriti non essendo riuscito il Padovani a darci nessuna prova di disciplina ed obbedienza al contrario di Achille Starace, che l’altra mattina ha risposto con tre “Sì Eccellenza” al tuo ordine. Starace è stato veramente ammirevole e dovrebbe servire di esempio.
Tuo, Cesare Rossi
4) Benito Mussolini al direttorio del fascio di Napoli, 22 ottobre 1923
Il capitano Padovani non accettò di trasferirsi al comando della legione bolognese della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Le tensioni si acuirono, le relazioni si incrinarono, tant’è vero che il 22 ottobre 1923 in una lettera al direttorio del fascio napoletano Mussolini scrisse:
Cari amici del Direttorio del Fascio di Napoli,
mi pare che sia proprio l’ora di finirla con prosternarsi continuamente e inutilmente davanti alla deità irata e intrattabile del sig. capitano Padovani. Io stesso che pure sono un temperamento un po’ difficile ho fatto con lui e per lui quello che non avrei fatto con mio padre o con mio figlio. Ora mi pare che basti. Quindi deve essere mantenuta la sua espulsione dal Partito; e comunicando questa lettera ufficialmente al Comandante generale della Milizia sarà chiaro che dovrà essere anche espulso dalla medesima. Egli è il fascista certamente più indisciplinato d’Italia; egli è in contatto con elementi equivoci, come quelli del Giornale d’Italia; egli è responsabile di un ammutinamento di tutti i consoli e di tutte le legioni della Campania, che ci ha coperto di ridicolo e per il quale motivo meritava di essere consegnato al Tribunale Militare. Io non lo ricevo più: ma voi avete fatto anche ieri il possibile per trovare una via di transazione con una longanimità eccezionale. Io dico basta! Perché anche i partiti e gli uomini devono avere la propria dignità. E fino a prova contraria il signor capitano Padovani non è indispensabile al Fascismo e tanto meno alla Nazione italiana.
Con i migliori saluti fascisti,
Mussolini
5) Aurelio Padovani a Benito Mussolini, 23 ottobre 1923
Il giorno dopo, 23 ottobre, Padovani , da un albergo di Roma, replicò, scrivendo accorate e sentite frasi a Benito Mussolini:
Presidente,
nella ricorrenza della data storica, l’adunata di Napoli, che io organizzai, e che segnò l’inizio della battaglia che doveva fortunatamente condurvi al governo d’Italia, non sono più segnato nella breve nota di quelli, che in quell’epoca avrebbero dovuto essere arrestati dal passato governo, ma, dopo la vittoria, alla quale concorsi con tre anni di passione e di sacrificio, sono invece segnato, proprio da Voi nell’albo nero, nel quale avrebbero dovuto invece figurare i nomi dei traditori di oggi e di domani, e fra questi molti di quelli che fanno i filofascisti. In questi ultimi giorni, la passione infinita, disinteressata e piena di decisione che ancora sento per Voi, per i fascisti che furono al mio fianco in tante dure battaglie, mi trasse a discutere della mia riammissione nel partito e della reintegrazione nel Comando della Zona. Questo scrivo solamente perché Vi sapevo- da più fonti, tutte autorevoli e responsabili- pienamente ed anche sentimentalmente favorevole. Accolsi perciò in più colloqui le condizioni tutte che mi si posero e che mi si disse da Voi volute; tanto feci per dimostrare la mia considerazione, il mio attaccamento, e per smentire anche quella ingiusta nomea di “intransigente”, a qualunque costo “creata ad arte”. Tre giorni fa mi fu finanche raccomandato di disporre perché una spontanea dimostrazione di affetto e di stima per me fosse evitata, e ciò in previsione di un comunicato imminente. Più situazioni sono state mutate senza che io comunque ne avevo dato ragione, così in ultimo mi si offerse, a grande onore, il comando della Zona di Bologna, ove avrei inteso tutto il disagio di essere alla testa di magnifici fascisti, quando invece i miei camerati di Napoli attendevano disperatamente che io li riordinassi nelle file fedeli, sia pure esclusivamente della Milizia, come già ebbi ad accettare, impegnandomi di tenermi estraneo ad ogni contesa politica, riuscendo così a salvare quanto dolorosamente andrà sempre più disgregandosi, certamente nella passione, nel sentimento e nella fedeltà a Voi. La mia, e la storia dei fascisti napoletani, è ben triste, più di quella che si conosca; io ne sono a conoscenza, avendo dovuto registrare, dolorosamente, con amarezza profonda, tutte le viltà e le insidie adoperate a mutare ripetute volte la vostra favorevole disposizione. Non si è voluto farmi concedere un colloquio che sarebbe valso a chiarificare pienamente la situazione. Non ho bisogno di ripetere, sapendovene sicuro, che rimarrò fedele a Voi, fascista tra i migliori, sebbene io sia espulso e senza tessera, ma ho il diritto e il dovere di far conoscere ai camerati fascisti d’Italia ed anche al Paese la storia vergognosa, segnata vostro malgrado, perché io venissi proditoriamente colpito alle spalle, senza nessun riguardo della mia non comune figura di combattente, di cittadino e di fascista. Conosco i responsabili tutti e i ricatti, e non li tacerò. Sono abituato a cadere fieramente, e cado per non contaminare comunque la mia coscienza, la mia dirittura e la mia fede. Si è voluto schiantare una quercia, sorta a difendere le nostre disgraziate contrade meridionali, e ciò per non farle entrare brillantemente in linea con le altre regioni d’Italia. Rispetto oggi, più che mai, gli onesti di ogni partito, ma esprimo il profondo disgusto di vedere il labaro glorioso di Napoli consegnato nelle mani di predoni del giornalismo, della politica e del Paese, che furono tali anche nella vigilia in cui noi affilavamo le armi, andando fieramente incontro a quella morte per la vittoria. Il Direttorio Nazionale, Voi consenziente, e malgrado le decisioni e gli atteggiamenti a me favorevoli, riesaminando la situazione di Napoli, salutando un girella che ne regge oggi il Municipio, dimenticando il fascio, me, ed anche l’ospitale sindaco del tempo, Grande Ufficiale Geremicca6, non ha creduto cancellare una ingiustizia, dimostrata tale, non solo nelle vostre apprezzabili intenzioni del tempo, ma anche dalla schiacciante documentazione da me presentata. Non me ne dolgo, la accolgo a ciglio asciutto, con amarezza, come indubitatamente la raccoglieranno i fascisti tutti, ed in prima linea quelli di Napoli, unitamente a quei lavoratori che tanto mi stimano e che con grandi difficoltà ricondussi nella concezione della Nazione e nella fede nel fascismo. Fuori del partito, senza vincoli formali, potrò e saprò tutelare, con piena responsabilità, il buon nome del fascismo, al quale idealmente sono sempre congiunto, un buon nome che- è bene lo consideriate- resta toccato da questi provvedimenti che escludono i buoni e tollerano invece quelli che mi accingo a dimostrare indegni. Sono convinto, più che gli altri, che saprete sempre reggere con fortuna le sorti d’Italia, e che perciò queste mie nuove non vi tangono, ma è bene- e lo dico con tutto affetto e rispetto- che Voi, Duce del fascismo, abbiate sempre in considerazione i vecchi provati e fedeli fascisti, di fronte a quelli che oggi entrano per opportunità e la cui fedeltà è da provarsi.
Con immutata fede ed affetto
Aurelio Padovani
6) Aurelio Padovani a Benito Mussolini, 1° agosto 1924
Finalmente, il 1° agosto 1924, a seguito di un accenno, se non benevolo quantomeno non ostile, da parte di Mussolini, Padovani , fidente in una rinnovata apertura di credito, vergò un biglietto con poche ma dense parole per il duce, da cui si desume che non voleva percorrere fino in fondo la netta via della dissidenza:
Onorevole Presidente,
in riscontro alla sua cortese lettera, con la quale mia fa invito ad un colloquio, dolente di non aver potuto fissare subito la data per gravi motivi personali sopraggiunti, mi affretto a comunicarle che martedì o al più tardi mercoledì mattina passerò per Palazzo Chigi a domandare quando crederà ricevermi.
Con perfetta osservanza
Aurelio Padovani
7) Benito Mussolini al prefetto di Napoli Agostino D'Adamo, 11 agosto 1924
Sappiamo il contenuto del colloquio tra i due da una missiva che Mussolini , l’11 agosto 1924, inviò al prefetto di Napoli Agostino D’Adamo7, trattato alla stregua di mero esecutore di ordini:
Al Prefetto di Napoli,
Perché Vostra Signoria possa orientarsi di fronte agli atteggiamenti politici del Signor Padovani Le riassumo, in pochi elementi, i risultati della nostra conversazione: 1°. Il Padovani ha deplorato i decreti sulla stampa e ha preventivamente deplorato ulteriori misure in tale direzione. 2°. Il Padovani ha dichiarato che occorreva fare del collaborazionismo anche con gli uomini del vecchio tempo, perché galantuomini. 3°. Il Padovani ha insistito sulla sua nota antinazionalista. 4°. Ha affermato che il sindacalismo fascista a Napoli non esiste e che è sottoposto al doppio tesseramento fascista e rosso. 5°. Si è acerbamente doluto delle persecuzioni esercitate dal Governo contro i suoi gregari. 6°. Ha detto che intendeva restare estraneo al Fascismo nell’attesa degli avvenimenti. Conclusione: è un uomo moralmente dall’altra parte della barricata. Si deve tuttavia evitare che passi con armi e bagaglio dalla parte di Labriola, Amendola e soci.
Mussolini
8) Aurelio Padovani a Benito Mussolini, 28 gennaio 1925
Apertamente, in modo inequivocabile, Mussolini diceva al prefetto D’Adamo che non si fidava più di Padovani. Non per questo non ci furono tra i due altri abboccamenti, anzi se a Padovani stava a cuore una questione privata, trovava il modo di rivolgersi direttamente al duce, e ciò denota una doppia realtà, una più esterna, di chiusura ermetica, che il regime, preoccupato del pericolo eversivo, lasciava trasparire nei confronti del dissidente napoletano, l’altra invece, che passava per biglietti confidenziali, appuntamenti richiesti e concessi, che ci fa percepire un rapporto mai interrotto, soltanto nascosto agli occhi dei più. A dicembre 1924, intercedendo a favore del medico Francesco Pentimalli8, illustre patologo che voleva creare a Napoli un «Istituto del cancro», Padovani richiedeva con insistenza d’incontrare il duce. Colloqui che avvennero diverse volte, come testimonia una lettera datata 28 gennaio 1925 e spedita, da Napoli, dall’inflessibile capitano Padovani a Mussolini:
On. Presidente,
nei colloqui con Voi avuti circa il Prof. Pentimalli di Napoli, non ho inteso soltanto d’interessarvi al caso personale d’un valoroso professionista e benemerito cittadino, ma ho creduto di richiamare la Vostra attenzione su una questione di ordine generale, la cui risoluzione è necessaria ed urgente. Confido sempre nel vostro benevolo interessamento per la fondazione di un Istituto del cancro, specie dopo l’ultimo colloquio nel quale vi mostraste pienamente compreso dell’alto fine scientifico ed umanitario dell’opera che il Prof. Pentimalli chiede al Governo. Purtroppo debbo informarvi, con franchezza e rammarico, che l’iniziativa, già accolta con viva simpatia dai Ministri della Pubblica Istruzione e delle Finanze, con i quali ebbi personalmente a parlare, sembra trovi oggi ostacolo da parte della burocrazia degli uffici della Pubblica Istruzione. Essa [la burocrazia], in mancanza di altro, ha suggerito al Ministro [della Pubblica Istruzione] un fin de non recevoir, indicando come propriamente competente il Ministro dell’Interno a cui appartiene la cura della Sanità pubblica, come se non esistesse il lato scientifico della questione, che è il più importante ed il più urgente a risolvere. Potrebbe ciò tendere a che il Ministro dell’Interno, altrimenti occupato, lasci cadere la questione dell’Istituto di Stato del cancro. Vi pregherei di far sentire chiaramente la Vostra volontà, che, tradotta in ordini precisi, non potrebbe più dar luogo a tentennamenti di sorta. Con perfetta osservanza Vi ringrazio
Aurelio Padovani
P.S. V’interesso altresì di voler ricevere in udienza particolare il Prof. Pentimalli.
9) Aurelio Padovani a Benito Mussolini, 28 ottobre 1925
Ed ancora, nella ricorrenza della marcia su Roma, il 28 ottobre 1925 Padovani spedì un telegramma al duce:
Pur nell’esilio doloroso, ma scelto, con animo tranquillo, uno dei pochi onorati della responsabilità delle gesta epiche di fronte a Voi e al Paese, Vi rivolge il saluto del cuore e delle armi e risponde con voce ferma a Voi, cui è sempre legato dalla grande idea con lo spirito: Presente!
Aurelio Padovani.
10) Aurelio Padovani a Benito Mussolini, 21 novembre 1925
Rammaricato per le dure parole che il ras di Cremona Roberto Farinacci (il cui intervento era invocato da molti fascisti napoletani per rianimare e disciplinare il partito) aveva usato contro di lui, Padovani il 21 novembre 1925 scrisse a Mussolini:
On. Presidente,
non sono rimasto insensibile al comunicato che mi ha invece colpito nel cuore, e perciò, ripudiando ogni pubblica giustificazione, ho inteso di parlarne direttamente con l’On. Farinacci, al quale ho rivolto altresì una lettera ufficiale, ottenendo promessa di una pronta chiarificazione. Nel ripartire, in attesa che venga cancellata l’amara espressione che sento di non meritare, Vi rivolgo un immutato ed immutabile saluto di fedeltà, nella certezza di potere ancora rendere i miei servigi alla buona causa fascista.
Devotamente
Aurelio Padovani
11) Aurelio Padovani ad Arnaldo Mussolini, 21 gennaio 1926
In amichevoli rapporti con l’amato fratello del duce Arnaldo Mussolini, il 21 gennaio 1926 Padovani , confidando di perorare la propria causa, gli scrisse:
Carissimo Arnaldo,
Ti sono grato della cortese e premurosa comunicazione. Ho appreso con vivo compiacimento la riconferma di simpatia da parte di chi è, da tanti anni, in cima ai miei costanti pensieri e che seguo con infinita fedeltà. Non ho creduto, data la situazione oltremodo delicata, di compiere qui a Roma alcun passo; ogni decisione io devo attendermi soltanto da Chi è il Capo del Fascismo e può giudicare con serenità. Ho soltanto avvicinato molti tra i più fedeli suoi collaboratori e ne ho riscosso attestazioni di affetto. Sempre profittando della tua cordiale amicizia, mi avvarrò dei tuoi consigli in una prossima visita che verrò a farti a Milano, nella prossima settimana. Gradisci intanto le espressioni del mio grato affetto ed i più cari saluti.
Aurelio Padovani
12) Aurelio Padovani a Benito Mussolini, 22 marzo 1926
Il 22 marzo 1926 il capitano Padovani scrisse di nuovo a Benito Mussolini, con un’amara frecciata nei confronti di Cesare Rossi , il quale, dopo il delitto Matteotti, era caduto in disgrazia:
Pur tra tanta amarezza che rassomiglia un po’, sebbene sotto altra forma, alle persecuzioni di cui fui oggetto per opera del [Cesare] Rossi, da me per primo identificato profittatore e traditore, il mio spirito si eleva pensando alla Vostra magnifica opera cui è rivolto il grato ringraziamento di chi sente di avere acquistato, attraverso la guerra e il Fascismo, il diritto e la soddisfazione ambita di considerarsi degno cittadino e Vostro seguace fedele.
Con le più vive espressioni di ringraziamento e di saluto.
Aurelio Padovani
13) Telegramma di cordoglio da parte di Benito Mussolini al fascio di Napoli, 16 giugno 1926
Questo è l’ultimo messaggio scritto, finora rinvenuto, diretto da Padovani al duce.
Il 16 giugno 1926 Aurelio Padovani morì a Napoli per il crollo del balcone della sua abitazione, in via generale Giordano Orsini 46, mentre salutava i propri sostenitori. Mussolini inviò immediatamente un telegramma al fascio di Napoli:
Tragica fine del Capitano Padovani mi ha impressionato et addolorato profondamente. In quest’ora di tristezza dimentico le vicende politiche napoletane e onoro e ricordo il Capitano Padovani, eroico combattente della guerra d’Africa e della Grande Guerra; pioniere dei Fasci di Combattimento a Napoli e nella Campania; Camerata delle prime lontane vigilie, che sebbene formalmente in questi ultimi tempi fuori dei ranghi serbò probo il costume, intatta la fede, tenace il desiderio di rientrare nella grande famiglia fascista e di ciò ebbi recenti ripetute testimonianze. Io saluto commosso la salma di questo soldato che fu tra i primi a combattere per la nostra causa.
Mussolini
Conclusioni
Non sappiamo se le parole di Mussolini fossero veramente sincere, o semplicemente di circostanza, tuttavia, allo stato attuale delle ricerche, appare infondato un complotto «volto a eliminare un personaggio tanto scomodo quanto popolare», poiché «le inchieste successive confermarono la tesi del mero crollo strutturale».
Riferimenti bibliografici
- Mauro Canali, Cesare Rossi. Da rivoluzionario a eminenza grigia del fascismo, Il Mulino, Bologna 1991.
- Mauro Canali, Il delitto Matteotti, Il Mulino, Bologna 2015.
- Raffaele Colapietra, Napoli tra dopoguerra e fascismo, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 1962.
- Paul R. Corner, Italia fascista. Politica e opinione popolare sotto la dittatura, Carocci, Roma 2015.
- Raffaele Di Lauro, Dal fascismo all'Italia, La fiaccola, S. Maria Capua Vetere 1925.
- Guido Dorso, La rivoluzione meridionale, Einaudi, Torino 1950.
- Erminio Fonzo, Storia dell'Associazione nazionalista italiana (1910-1923), Edizioni scientifiche italiane, Napoli 2017.
- Matteo Millan, Padovani, Aurelio, in DBI, vol. 80 (2014).
- Armando Pepe, Le origini del Fascismo in Terra di Lavoro (1920-1926), Aracne, Canterano 2019.
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[Plinius Sen., "Nat. Hist." III, 60]
Storia della Campania. Risorse in rete per la storia del territorio e del patrimonio culturale
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241686 | DOI 10.5281/zenodo.3408416
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