Appunti per una prosopografia di monsignor Pietro Paolo de’ Medici, vescovo della diocesi di Alife dal 1639 al 1656

di Armando Pepe

Nel tentativo di ricomporre la vicenda umana e pastorale di monsignor Pietro Paolo de’ Medici (Volterra?, 1602 circa- Castello del Matese, ottobre 1656), vescovo della diocesi di Alife dal 1639 al 1656, non si può prescindere dall’usare ogni fonte attualmente disponibile e tre sono i documenti utili per riuscire nell’intento: a) il Processo per la nomina episcopale (1639); b) la Provanza di nobiltà per accedere all’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano (1651/1652); c) il Catalogo dei vescovi di Alife, manoscritto del canonico Giacinto Jacobellis, compilato nel 1847. I riscontri processuali, sia pure contenenti esclusivamente dichiarazioni di persone terze, sono coevi al biografato, altrettanto non può dirsi per il lavoro storiografico- abbondantemente corredato di documenti a sostegno- del canonico Jacobellis. Oltre a far parlare le carte o, per dirla in modo più forbito, sviluppare una proficua esegesi delle fonti, conviene inquadrare il presule e nobiluomo anche da un punto di vista strettamente topografico: dapprima fu canonico della cattedrale fiorentina di Santa Maria del Fiore, dipoi stabilmente residente nell’episcopio piedimontese e, al postutto, morto a Castello d’Alife (oggi Castello del Matese) mentre aiutava misericordiosamente e prontamente i malati di peste, sprezzante del contagio. Leggere gli atti inerenti alla nomina episcopale-, asseveranti la probità e la santità d’animo di monsignor de’ Medici-, rende più chiaro il retroterra culturale e spirituale, definendo i contorni di tale decisione.
(Fonte: Archivum Apostolicum Vaticanum, Arch. Concist., Processus Concist. 37, ff. 54r.- 65v.)
(55r.) Anno a Nativitate Domini Nostri Jesu Christi millesimo sexcentesimo trigesimo nono, die vero vigesima quarta Martii, regnante Urbano Divina Providentia Papa Octavo, anno ejus decimo sexto, Eminentissimus et Reverendissimus Dominus frater Antonius Barberinus, tituli Sancti Petri ad vincula Cardinalis, nuncupat Romae in Palatio Apostolico Vaticani et in stantiis suae solitae residentiae, asserens sibi demandatum esse a Sanctissimo Domino Nostro Papa processum conficere super statu Ecclesiae Alliphanae, vacantis per mortem Reverendissimi Domini de Rubeis illius ultimi possessoris, ac de qualitatibus Reverendissimi Domini Petri Pauli Medices canonici florentini ad eam promovendi; ideo ad se ex officio vocat infrascriptos testes, qui delato iuramento veritatis dicendae omnes iurant, et acta committit mihi Notario ad id a Sancta Sede Apostolica deputato. (55v.) Nomina Testium: a) Illustrissimus et Reverendissimus Dominus Nicolaus Bassius, Canonicus Allifensis; b) Admodum Reverendus Dominus Petrus Tigius, Canonicus Sanctae Mariae Maioris, Collegiatae Pedemontis; c) Admodum Reverendus Dominus Franciscus quondam Julii de Lottis, florentinus; d) Illustrissimus et Reverendissimus Dominus Joannes Bonaccurtius, florentinus. (57v.) Processus exactus fuit Romae in palatio, sive in stantiis illustrissimi et reverendissimi Domini Joannis Baptistae Spadae et coram (58r.) Domino Gherardo Spada, Eninentissimi et Reverendissimi Cardinalis Sancti Honuphrii generali auditore, ad id specialiter deputato. [Traduzione: Nell’anno 1639 dalla natività di Nostro Signore Gesù Cristo, il giorno 24 marzo, regnante per Divina Provvidenza papa Urbano VIII, nel suo anno decimo sesto di pontificato, l’eminentissimo e reverendissimo signore Frate Antonio Barberini, cardinale del titolo di San Pietro in Vincoli, fa un pubblico proclamo a Roma nel Palazzo Apostolico Vaticano e nelle stanze della sua solita residenza, asserendo che gli è stato affidato dal Santissimo Signore Nostro Papa l’incarico di istruire un processo sopra lo stato della Chiesa alifana, vacante per la morte del reverendissimo signore Gian Michele de’ Rossi, ultimo possessore di essa, e sulle qualità del reverendissimo signore Pietro Paolo Medici, canonico fiorentino, da promuovere alla guida di quella; pertanto [il cardinale Antonio Barberini] chiama d’ufficio presso di sé gli infrascritti testimoni, i quali, essendo stato proposto il giuramento, tutti giurano di dire la verità, e affida gli atti a me notaio designato a ciò dalla Santa Sede. Nomi dei testimoni: a) illustrissimo e reverendissimo Don Nicola Bassi, canonico alifano; b) reverendissimo Don Pietro Tigius, canonico di Santa Maria Maggiore, collegiata di Piedimonte; c) reverendissimo Don Francesco, del quondam Giulio de’ Lotti, fiorentino; d) illustrissimo e reverendissimo Don Giovanni Bonaccorsi, fiorentino. Il processo fu discusso a Roma nel palazzo, ovvero nelle stanze dell’illustrissimo e reverendissimo Don Giovanni Battista Spada e in presenza di Don Gherardo Spada-, uditore generale dell’eminentissimo e reverendissimo cardinale di Sant’Onofrio-, eletto a tale compito].
Illustrissimus et reverendissimus Dominus Nicolaus Bassius Alifensis aetatis suae annorum 28, deponit ut infra, videlicet]: [Traduzione: l’illustrissimo e reverendissimo Don Nicola Bassi, alifano, di sua età d’anni 28, depone come sotto, cioè:]
«La città di Alife è posta in piano nella provincia di Terra di Lavoro, è formata da cento cinquanta fuochi [nuclei famigliari] e da duecento cinquanta anime, et è sottoposta in temporale al Duca di Laurenzana. In questa città vi è la chiesa cattedrale sotto l’invocazione di San Sisto, di struttura antica, e non mi pare habbia bisogno di reparatione. È sottoposta la detta cattedrale all’Arcivescovo di Benevento. Nella detta chiesa vi è la dignità quale è l’archidiaconato, et è la prima post pontificale, et vi sono dieci canonici quali hanno trenta cinque scudi l’anno e non sono obbligati ad officiare. Non vi sono altri benefici, non vi è la prebenda teologale, né (58v.) penitentiaria. Nella cattedrale si esercita la cura delle anime da un canonico che là la cura è annessa, e vi è il fonte battesimale. Nella chiesa vi è la sacristia, ornata decentemente di suppellettile sacra, ma non vi sono pontificali perché quando il vescovo vuol celebrare pontificali se li porta da Piedimonte; non vi è il Coro, e dell’organo non mi ricordo; vi è il campanile con campane et il cimitero. Nella cattedrale vi è il braccio di San Sisto et si ritiene vi sia il corpo di detto Santo. Vi sono ancora altre reliquie conservate decentemente. In Alife vi è la casa per abitazione del vescovo se bene lui non vi risieda; per risiedervi avrebbe bisogno di reparatione. Il valore della mensa episcopale sarà di mille cinquecento ducati di quella moneta, quali consistono in terre, grani et altro; non vi è (59r.) pensione alcuna. Nella detta città non vi è altra parrocchia che la cattedrale né collegiata; vi è un monastero de’ frati, non vi sono monasteri di monache; vi è una confraternita di laici; non vi è Hospitale né Monte di Pietà. In diocesi non vi è Seminario. La Chiesa vaca da Natale in qua per la morte di Monsignor de’ Rossi, ultimo vescovo. Ego Nicolaus Bassius posui ut supra pro veritate».
Reverendus Dominus Petrus Tigius, Canonicus Sanctae Mariae Maioris, Collegiatae Pedemontis, testis, aetatis suae annorum 28, dicit et deponit: [Traduzione: Reverendo Don Pietro Tigius, Canonico di Santa Maria Maggiore, Collegiata di Piedimonte, testimone, di sua età di anni 28, dice e depone:]
(59v.) «La Chiesa è sottoposta all’Arcivescovo di Benevento e questo lo so per esser andato io medesimo per questo motivo a Benevento. (62r.) Il valore della mensa episcopale sarà di mille cinquecento ducati di quella moneta et consistono in decime, territori, affitti et altro. (62v.) La diocesi contiene sotto di sé sette luoghi, i quali sono: Tino, Valle de Prata, Prata, Pratella, Sant’Angelo, Piedimonte et Aliffe, et questo so per esservi nato in detta diocesi et haver camminato buona parte di essa. Ego Nicolaus Bassius posui ut supra pro veritate». Admodum Reverendus Dominus Franciscus Maria quondam Julii de Lottis, testis, aetatis suae annorum 34 circiter, deponit ut infra, videlicet: [Traduzione: Molto reverendo Don Francesco Maria, del quondam Giulio de’ Lotti, testimone, d’età sua di anni 34 circa, depone come sotto, cioè:] (63r.) «Io conosco il signor Pietro Paolo Medici da quindici anni in qua, non sono suo consanguineo, affine, troppo familiare, emulo, né odioso. Io so che il signor Pietro Paolo ha trentasette anni in circa. Io so che è sacerdote da dodici anni in qua per averlo visto celebrare e fare molte funtioni ecclesiastiche. È vissuto sempre cattolicamente e nella purità della fede, e questo lo so per la conversatione avuta seco. So che lui è stato sempre ornato d’innocenza (63v.) di vita, di buoni costumi e fama. Pietro Paolo è persona grave e prudente. So che è ornato di dottrina ed è dottore dell’una e l’altra legge per averlo inteso, et credo che sia di dottrina tale che si ricerca in un vescovo. Questo lo so per averlo sentito dire et perché li canonici di Firenze devono essere dottori. Io non so che sia stato altro che canonico di Fiorenza, dove si è portato sempre con quella prudenza e modestia che conviene. (64r.) Ego Franciscus Maria quondam Julii de Lottis deposui ut supra pro veritate».
Illustrissimus Dominus Joannes Bonaccurtius, florentinus, testis, aetatis suae annorum 30 circiter, dicit et deponit ut infra: [Traduzione: Illustrissimo Don Giovanni Bonaccorsi, fiorentino, testimone, d’età sua di anni 30 circa, dice e depone come in basso:] «Conosco Monsignor Pietro Paolo Medici di vista sono molti anni, ma di prattica sono da tre anni in qua; non sono suo parente, consanguineo, amico o nemico, troppo familiare, emulo né odioso. Credo che detto Monsignor sia nato in Volterra perché suo padre è stato molto tempo in detto luogo. (64v.) Sarà d’età d’anni trenta sette in quaranta; et questo lo so dall’aspetto che dimostra. So che è sacerdote da nove o dodici anni in qua in circa. So anco che detto Monsignore è di vita innocente, di buone qualità e costumi per averlo sempre visto con molta modestia praticare con tutti. Credo che sia Dottore perché tiene un canonicato in Firenze, il quale richiede il grado di dottorato, et in questo si è portato sempre egregiamente. Credo che Monsignor [Vescovo] di Fiesole se ne sia servito (65r.) ma non so con che incarichi ecclesiastici. Stimo Monsignor Pietro Paolo habile a regger qualsivoglia cattedrale e particolarmente quella di Aliffe, alla quale è stato promosso, e stimo che detta promotione habbia da esser utile e di profitto a detta Chiesa. Ego Joannes Bonaccurtius haec deposui ut supra pro veritate». A processo concluso si ha la chiosa finale, scritta di proprio pugno dal cardinale Antonio Barberini: «Ego frater Antonius Barberinus Cardinalis Sancti Honuphrii censeo ex praemissis supra scriptis Reverendum Dominum Petrum Paulum Medices esse habilem et idoneum ad episcopatum, ideo ad Ecclesiam Aliffanam promoveatur». [Traduzione: Io frate Antonio Barberini, cardinale di Sant’Onofrio, ritengo, dalle quanto premesso e scritto sopra, che il reverendo Don Pietro Paolo Medici sia abile ed idoneo all’episcopato, pertanto sia promosso alla guida della Chiesa alifana]. Seguono le firme dei cardinali componenti la commissione: (65v.) Ita subscribimus: Cardinalis Pius, Cardinalis Bentivolius, Cardinalis Barberinus. [Traduzione: Così sottoscriviamo: cardinale Pio, cardinale Bentivoglio, cardinale Barberini]
Più di dodici anni dopo, precisamente nell’autunno del 1651, si svolse un dibattimento per attestare i quarti di nobiltà del presule alifano al fine di ammetterlo nell’Ordine di Santo Stefano, «Fondato nel 1562 con lo scopo dichiarato di combattere sul mare i nemici della fede cristiana. Nel corso del tempo si era accresciuto il ruolo sociale che l’Ordine aveva in quanto istituto nobiliare nel quale affluivano sempre più numerosi in primo luogo gli esponenti delle varie aristocrazie toscane, accompagnati però, anche, da non pochi rappresentanti dei ceti aristocratici degli altri stati italiani e d’oltralpe (Franco Angiolini, L’Ordine di Santo Stefano negli anni della Reggenza 1737- 1765: urti e contrasti per l’affermazione del potere lorenese in Toscana, in L' Ordine di Santo Stefano nella Toscana dei Lorena : atti del Convegno di studi, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni archivistici, Roma 1992, pp. 1-2)». La sede dell’Ordine di Santo Stefano era a Pisa nel Palazzo della Carovana (o dei Cavalieri), ove attualmente si trova la Scuola Normale Superiore.
(Fonte: Archivio di Stato di Pisa, Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano, filza n. 136 nuova numerazione, fascicolo interno 29, anno 1652 , «Provanza di nobiltà di Medici Mons. Pietro Paolo di Firenze, Vescovo di Aliffe nel Regno di Napoli»).
Dal processo, non di breve durata ma sistematico, si inferisce che:
«A dì 12 Ottobre 1651. Gli illustrissimi signori cavalieri del Consiglio deliberarono di vedere le credenziali personali di Monsignor Pietro Paolo Medici, fiorentino, Vescovo di Aliffe in Regno di Napoli, supplicante l’abito di Cavaliere Sacerdote nobile come successore nel Baliato del Delfinato, per riferire al Consiglio quello che si dovrà e per vedere cosa intendino rappresentare gli eletti in Commissione di Consiglio. Franchino Taviani, Baldassarre Orzifanti».
Segue un piccolo albero genealogico, da cui per li rami si desume che monsignor Pietro Paolo Medici era nato dal colonnello Orazio (figlio di Marco Medici) e dalla signora Alessandra Carosi (figlia di Giovanni Carosi).
«A dì 6 di Novembre 1651. Dinanzi a vostra signoria illustrissima Alessandro Vettori, Auditore di Stato di Sua Altezza Serenissima et in questa parte Supremo Presidente et auditore della Sacra et Massima Religione di Santo Stefano papa e martire, l’illustrissimo e reverendissimo Monsignor Pietro Paolo del già signor colonnello Orazio Medici, patrizio fiorentino et Vescovo di Aliffe nel Regno di Napoli, in suo nome puro e pio et in ogni miglior modo, disse, et dice, come dovendo succedere nel Baliato del Delfinato di Francia presentemente vacante per la morte del già Balì Tommaso Medici, ha supplicato Sua Altezza Serenissima Ferdinando II l’investitura di detto Baliato e la grazia dell’abito di Cavaliere Milite di detta Religione con la Gran Croce in petto et d’esser dispensato dal fare le provanze de’ quarti materni per non essere di quella nobiltà che si richiede per li statuti et ordini di detta Religione, ancorché siano buoni et antichi cittadini fiorentini, et dall’Altezza Sua per benigna nota del seguente tenore ne ha ottenuto la grazia come appresso, cioè: Agumentando il supplicante il fondo del Baliato per fiorini 1500 in beni che propone, Sua Altezza lo dispensa dal fare le provanze de’ quarti materni, e vuole che suffraghi questa dispensa ancora ai suoi fratelli carnali, quando si desse il caso di dovere alcuno di loro succedere in questo Baliato. Et il Serenissimo Auditore Vettori intervenga al Contratto dell’Agumento perché se ne passino le scritture in buona forma e di poi il Consiglio della Religione vegga le sue provanze de vita et moribus; et che in esecuzione del benigno provvedimento possa godere della Grazia predetta, fatto l’agumento, con la presenza et intervento di Vostra Signoria Illustrissima. Come deciso da Vostra Signoria Illustrissima e dall’Assemblea di detta Sacra Religione, volendo proseguire e fare le suddette provanze de vita et moribus, il supplicante esibisce e presenta gli infrascritti capitoli, sopra de’ quali domanda esaminarsi gli infrascritti testimoni, cioè: l’illustrissimo signor Francesco Salvini, l’illustrissimo signor Antonio Dei, l’illustrissimo signor Roberto Cortigiani, il tenore de’ quali capitoli è il seguente, come appresso. [Capitolo ] In prima il detto Monsignor Vescovo Pietro Paolo Medici capitola, et provare intende, come il detto già signor Colonnello Orazio di Marco Medici, suo padre, contrasse matrimonio legittimo con la signora Alessandra, figlia del signor Giovanni Carosi et nobile cittadina fiorentina, et di loro legittimo matrimonio ne nacque il detto Monsignor Vescovo pretendente, et così fu lo vero. Capitolo . Come il detto Monsignore pretendente, Vescovo d’Alife, in Regno di Napoli, prelato di religiosi, nobili, esemplari, et honorati costumi, vita et qualità- come dimostrano la sua nobile nascita, la dignità episcopale e pastorale, della quale già da molti anni è stato insignito- fu dal Sommo Pontefice assunto alla guida di quella diocesi, che con somma sua lode ha esemplarmente retto, e tuttora regge e governa, et così fu et è vero. Capitolo . Come il medesimo Monsignor pretendente è di bella e grata presenza, sano di suo corpo, et d’età d’anni sopra 49, e così fu et è vero. Capitolo . Che delle cose predette, e di ciascuna di esse fu, et è pubblica voce, e fama, pubblico et notorio in detta città d’Alife, come ancora in Firenze, appresso la nobiltà particolarmente, e massime agli infrascritti signori testimoni che l’hanno conosciuto, non solamente in Firenze, ma nel suo Vescovado ancora, et così fu et è vero. Il quale Illustrissimo signor Auditore, Alessandro Vettori, veduta la presente comparsa e capitoli, il benigno rescritto di Sua Altezza Serenissima in detta comparsa registrato, e quanto fu da vedersi e considerarsi, dispone che messere Agostino Cervezzi esamini li sopranominati testimoni et altri da nominarsi intorno al prelodato Monsignor Vescovo, et riduca in buona forma et trasmetta di poi il tutto agli illustrissimi signori commissari del Consiglio di detta Sacra Religione, conforme al solito, e tutto in ogni miglior modo. In Dei nomine Amen».
«A dì 24 di novembre 1651. Il signor Francesco di Piermaria Salvini, cittadino fiorentino, primo testimone indotto, et nominato dal sopraddetto illustrissimo et reverendissimo Monsignor Pietro Paolo Medici, Vescovo di Aliffe, da esaminarsi sopra i suddetti Capitoli da lui presentati. Il quale signor testimone mediante il suo giuramento in forma testis testificando depose quanto appresso. Sopra il Capitolo, rispose: Haver sempre et per molti anni conosciuto Monsignor Pietro Paolo Medici, Vescovo d’Aliffe in Regno di Napoli, per figliuolo legittimo del già signor colonnello Orazio Medici, e della signora Alessandra Carosi, nobili fiorentini, et per tale haverlo sempre sentito tenere, trattare et reputare dalla nobiltà, et da tutti universalmente, e così fu et è vero. Sopra il Capitolo, rispose: Haver conosciuto il detto Monsignor Pietro Paolo, prima Canonico del Duomo di Firenze, in Firenze, et di poi ancora dopo fatto Vescovo d’Aliffe, et che quando andò a pigliare il possesso del detto Vescovado, che fu dell’anno 1639, con occasione che egli fu ricevuto in casa del signor Marchese di Caiazzo [ Giovanni Corsi ] (dove detto signor testimone si trovava) et anco di poi dopo che hebbe preso il possesso del detto Vescovado, conosciutolo e praticatolo per più anni nella Terra di Piedimonte, dove risiede detto Monsignore, per essere la città di Aliffe distrutta; et praticatolo ancora non molto fa in altra parte del Regno. Perciò, et per voce et fama pubblica, seppe e sa che il medesimo Monsignore è Prelato e Vescovo di religiosi, né mai a bastanza esplicabili costumi, vita nobile et esemplare, che richiede la dignità episcopale e pastorale, et quella ha sempre esercitato ed esercita con grandissima sua lode, et applauso di que’ Popoli, e così fu, et è vero. Sopra il Capitolo, rispose: Esser verissimo che il detto Monsignor Vescovo pretendente e Prelato è di bella e grata presenza, e maestoso, sano di suo corpo et d’età sopra 49 anni, per quello che dimostra il suo aspetto-, crede il testimone-, e così fu et è verissimo. Sopra il Capitolo, rispose: Di quanto il signor testimone ha deposto di sopra ne fu, et è pubblica voce, e fama, e notorio nel territorio di detta città di Aliffe, et nel Regno di Napoli, et in Firenze, et per tutto, e fra quelli che hanno avuto, et hanno notizia; il detto esaminato, essendo d’aspetto d’età d’anni 40, confessato e comunicato, ha deposto la mera e pura verità».
«A dì 28 di Novembre 1651. L’illustrissimo signor Antonio del signor Cino Dei cittadino fiorentino, altro testimone indotto, e nominato dal sopraddetto illustrissimo et reverendissimo Monsignor Vescovo Medici inducente, da esaminarsi sopra i suddetti capitoli, il quale testimone mediante il suo giuramento in forma testis testificando depose quanto appresso. Sopra il Capitolo, rispose: Haver egli per più anni conosciuto in Napoli di presenza, e particolarmente in Piedimonte, Vescovado d’Alife, il suddetto Monsignor Pietro Paolo Medici, Vescovo inducente, e per prima conosciutolo come Canonico della Metropolitana di questa città di Firenze, e sapere per pubblica corrente fama, mediante diverse occasioni, ch’egli fu legittimo figliuolo del già detto colonnello Orazio Medici-, patrizio fiorentino, e per tale, e come tale, haverlo sempre da tutte le persone d’ogni sorte sentito tenere, trattare, e reputare-, et hebbe per madre la signora Alessandra Carosi, nobile fiorentina, e così fu, et è vero. Sopra il Capitolo, rispose: Che il detto Monsignor Vescovo inducente è degnissimo Prelato, che risplende di vita esemplare e virtuosa in quel suo Vescovado d’Aliffe con grandissima edificazione di quei Popoli, e corrisponde ai suoi nobili Genitori, et è da per tutto venerato, e stimato, e così fu et è vero. Sopra il Capitolo, rispose: Che è verissimo che il medesimo Monsignor Vescovo inducente è di nobile e bella presenza, gravità e maestà, sano di suo corpo e di età circa 49 anni, per quello che può giudicare il signor testimone dal suo aspetto, e così fu et è vero. Sopra il Capitolo , rispose: Esser pubblica voce, e fatta in Alife , in Regno di Napoli, e da per tutto, di quanto detto Testimone ha deposto di sopra, e così in Firenze; il testimone deve esser d’età d’anni 28, confessato e comunicato per quest’anno; et super aliis recte respondit».
«Al dì 2 di Decembre 1651. Il molto illustrissimo signor Roberto del quondam signor Michele Cortigiani, patrizio fiorentino, altro testimone indotto, et nominato dal detto Monsignor Medici inducente, da esaminarsi sopra i suddetti capitoli da lui presentati; il quale signor testimone mediante il suo giuramento in forma testis testificando depose quanto appresso. Sopra il Capitolo, rispose: Che essendo stato in Regno di Napoli, et in particolare nel Vescovado di Alife, ha veduto e praticato per più mesi Monsignor Pietro Paolo Medici, Vescovo di detta città d’Alife in detto Regno, che per esser disfatta, risiede in Pedimonte, o Piemonte; e però, e per voce e fama pubblica, seppe, e sa, come fiorentino primieramente, che il detto Monsignor Vescovo fu et è figliuolo legittimo e nato del già detto colonnello Orazio Medici, e della signora Alessandra, di Giovanni Carosi, ambidui nobili fiorentini, e per tale, e come tale, haverlo egli medesimo tenuto, e reputato, ma ancora sentito tenerlo, trattarlo e reputarlo da tutta la nobiltà di Firenze, e da ogni altro, e secondariamente per essere stato in dette parti di Aliffe, in Regno di Napoli, nel suo Vescovado, haverlo veduto Vescovo, et in habito episcopale, di detta città di Aliffe, e così fu, et è vero. Sopra il Capitolo, rispose: Che per quanto sopra, e come sopra ha deposto, e per fama e voce pubblica ancora seppe e sa che il detto Monsignor Pietro Paolo è prelato di vita, costumi e qualità nobili, conforme ai suoi natali, et a quello che richiede la dignità episcopale, et veramente è prelato esemplare, e dotato di ogni virtù, e qualità che si ricerca in un vero prelato e vescovo, e così fu, et è vero. Sopra il Capitolo, rispose: Esser vero che il medesimo Monsignor Vescovo inducente è di bella e grata presenza, e venerabile, sano di suo corpo, et d’età d’anni circa 49, per quello che la sua presenza, et aspetto, dimostra. E così è vero. Sopra il Capitolo, rispose: Che delle cose deposte per detto teste fu et è pubblica voce e fama, e pubblico e notorio in Firenze, in detto Vescovado d’Aliffe, e per tutto, e così fu et è vero. Sopra i generali e sua persona disse il detto testimone, il quale deve esser d’età d’anni 37, confessato e comunicato questo presente anno, et haver deposto per la verità et super aliis recte».
Sulle precedenti testimonianze pose il crisma dell’ufficialità il nobile Alessandro Vettori, senatore fiorentino, auditore delle riformagioni dello Studio Pisano e della Religione di Santo Stefano, nonché Consigliere di Stato.
«Io Alessandro Vettori senatore fiorentino, Auditore di Stato del serenissimo Gran Duca, et in questa parte Auditore e presidente dell’illustrissima e sacra Religione di Santo Stefano affermo le soprascritte esamine essere state fatte di mio ordine, et che alle scritture et atti di messer Agostino Cerretesi si dà piena fede, come a notaro legale, et approvato in fede, di che [per la qual cosa] saranno le presenti [testimonianze] di mia mano firmate, et sigillate con il mio solito sigillo. Data in Firenze li 9 dicembre 1651. Alessandro Vettori, Auditore».
Ultima fonte, non per importanza, è il catalogo dei Vescovi di Alife, in cui c’è una non tanto breve ma essenziale biografia di Monsignor de’ Medici:
«Alla nobilissima famiglia de’ Medici apparteneva il nostro Pietro Paolo. È superfluo far menzione della nobiltà della sua stirpe e degli uomini illustri che l’hanno resa celebre in ogni tempo. Degno rampollo di eccellente prosapia fu egli, che educato nelle scienze e nella pietà diede sì luminose pruove della sua virtù che fu eletto Canonico di Firenze e quindi da Urbano VIII assunto al Vescovado di Alife a dì 11 aprile 1639. Tra le cose memorande di questo illustre Prelato, merita il primo luogo l’inestimabile tesoro di cui arricchì Piedimonte nel 1641, quando tornando da Roma portò una insigne porzione del cranio dell’inclito prete e martire San Marcellino, che donò alla chiesa di Santa Maria Maggiore con istrumento rogato per notar Giovanni Battista del Vecchio il dì 1 giugno 1642. Correva il settimo anno del suo Vescovado quando nel 1646 nel rione di Vallata fu edificato un monastero di religiose Benedettine sotto il titolo di San Benedetto per opera di Porzia Carafa dei Duchi di Andria, dando ad esse il velo giallo per distinguerlo da quelle di San Salvatore, che lo portano bianco. Sotto questo Vescovo la Collegiata di Santa Maria Maggiore fu decorata del titolo di «Insigne» con Decreto della Sacra Congregazione de’ Riti del dì 9 luglio 1650 in questi termini «Collegiata Ecclesia Sanctae Mariae Majoris oppidi Pedemontis ad omnes juris effectus “insignis” est, atque ideo honoribus, praerogativis, praeminentiis, et privilegiiis Collegiatarum “insignium” frui, gaudere potest et debet» [Traduzione: la chiesa collegiata di Santa Maria Maggiore della città di Piedimonte a tutti gli effetti di legge è “insigne”, e pertanto può e deve godere e fruire di onori, prerogative, preminenze e privilegi delle collegiate “insigni”]. Quello però che rese più famoso il nome del nostro prelato fu l’installazione di un Seminario, opera tanto inculcata dal Concilio di Trento. Questo Seminario fu eretto in Castello con bolla del Vescovo del dì 10 giugno 1651, mercé una casa con orto e la somma di ducati mille, contribuiti da Gabriele Cittadino, figlio di Giovanni Antonio (di Castello), allora parroco in Roma nella chiesa di Santa Maria in Monterone, a condizione che il Seminario dovesse tenere due alunni di Castello, far celebrare una messa al giorno, e che non dovesse mai trasferirsi altrove; nel qual caso la donazione s’intendesse nulla e come non fatta, e tanto la casa coll’orto, quanto li ducati mille s’intendessero donati alla Congregazione di Santa Maria d’ogni Grazia. Questa erezione, con tutte le dette clausole, fu confermata dalla Sacra Congregazione del Concilio in data 13 gennaio 1652. E perché la detta rendita era ben scarsa, così lo zelantissimo Vescovo ottenne l’anno seguente dalla stessa Sacra Congregazione in data de’ 4 aprile che s’incorporassero al Seminario la chiesa e le rendite del convento di San Francesco dei Padri Conventuali in Alife, soppresso in vigore della Bolla di Innocenzo X di ottobre 1652, come conventino di poco numero. Provvide ancora al decoro esterno dell’Episcopio poiché, avendo osservato che non poteva estendersi dal lato settentrionale per essere occupato da un pian terreno di proprietà dei Padri Domenicani, si cooperò con questi ed ottenne di potervi edificare sopra, ciò che ne forma l’Archivio e la stanza superiore, dando con ciò un aspetto simmetrico al palazzo. Durante ancora il suo governo, e precisamente nel 1656, fu edificata la nuova chiesa del Monastero di San Salvatore. Ma quest’anno per altro fu molto luttuoso per Piedimonte, poiché sviluppatasi la peste non solo perdette moltissimi de’ suoi cittadini ma-, quello che è più-, restò priva dell’ottimo padre e pastore Pietro Paolo de’ Medici, il quale pieno di zelo e di carità, scorrendo per ogni vico e per ogni casa nell’amministrare impavidamente i sacramenti agli appestati, contrasse egli stesso il contagio e diede la vita per le sue amate pecorelle».
Le carte consultate, volendo ridurne il contenuto all’osso, apportano alcune novità circa la biografia di monsignor Pietro Paolo de’ Medici: la data e il luogo di nascita (molto verosimilmente il 1602 e con forte approssimazione Volterra), l’età all’atto della consacrazione episcopale (37 anni circa) e il nome della madre (Alessandra Carosi, e non-, come è stato erroneamente tramandato finora-, Camilla della Robbia). Dalle testimonianze emerge altresì che monsignor de’ Medici frequentava abitualmente a Firenze il marchese Giovanni Corsi (feudatario dello stato di Caiazzo) e, pur venendo ad abitare in Piedimonte, non recise mai il filo che lo legava alla città natale. Alla sua morte, fu sepolto a Piedimonte nella collegiata dell’Annunziata, tuttora ove riposa.

Riferimenti archivistici e bibliografici

  • Archivum Apostolicum Vaticanum, Arch. Concist., Processus Concist. 37, ff. 54r.- 65v.
  • Archivio di Stato di Pisa, Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano, filza n. 136 nuova numerazione, fascicolo interno 29, anno 1652 , «Provanza di nobiltà di Medici Mons. Pietro Paolo di Firenze, Vescovo di Aliffe nel Regno di Napoli».
  • Giulio Guicciardini Corsi-Salviati, La villa Corsi a Sesto, Olschki, Firenze 1937.
  • Giacinto Jacobellis, Catalogo dei vescovi di Alife dalle origini fino a monsignor Ottavio Puoti (1826) ed altre note sugli avvenimenti più interessanti accaduti durante i loro governi, manoscritto redatto nel 1847.
  • Luigi Maria Lombardi Satriani (a cura di), Santi Streghe e Diavoli: il patrimonio delle tradizioni popolari nella società meridionale e in Sardegna, Sansoni , Firenze 1971.
  • Dante Marrocco (a cura di), La bolla di fondazione del seminario alifano a Castello, Laurenziana, Napoli 1975.
  • Dante Marrocco, Il vescovato alifano nel Medio Volturno, ASMV, Piedimonte Matese 1979.
  • Armando Pepe (a cura di), Le relazioni ad limina dei vescovi della diocesi di Alife (1590-1659), Youcanprint, Tricase 2017.
  • Salvino Salvini, Catalogo cronologico de’ canonici della Chiesa Metropolitana fiorentina, per Gaetano Cambiagi stampatore granducale, Firenze 1782.

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Hinc felix illa Campania est, ab hoc sinu incipiunt vitiferi colles et temulentia nobilis suco per omnis terras incluto, atque (ut vetere dixere) summum Liberi Patris cum Cerere certamen. Hinc Setini et Caecubi protenduntur agri. His iunguntur Falerni, Caleni. Dein consurgunt Massici, Gaurani, Surrentinique montes. Ibi Leburini campi sternuntur et in delicias alicae politur messis. Haec litora fontibus calidis rigantur, praeterque cetera in toto mari conchylio et pisce nobili adnotantur. Nusquam generosior oleae liquor est, hoc quoque certamen humanae voluptatis. Tenuere Osci, Graeci, Umbri, Tusci, Campani.
[Plinius Sen., "Nat. Hist." III, 60]

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Storia della Campania. Risorse in rete per la storia del territorio e del patrimonio culturale
Edizioni CLORI | Firenze | ISBN 978-8894241686 | DOI 10.5281/zenodo.3408416

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