Pietravairano, post 1848

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Abbreviazioni

ASNa = Archivio di Stato di Napoli
AB = Archivio Borbone

ASNa, AB, busta 1046, fascicolo «Corte speciale di Santa Maria in Terra di Lavoro: esposizione manoscritta dei fatti anche per Pietravairano»

[f.1r.] Procura Generale del Re presso la Gran Corte Criminale di Terra di Lavoro

Al Signor Maresciallo di Campo Vial,
Comandante territoriale di Terra di Lavoro e Molise
in Caserta

Santa Maria, 11 marzo 1850

Signor Generale,
Da gran tempo nel comune di Pietravairano vi regna la più aspra dissidia [dissidio]; cagion movente n’è stato il folle orgoglio, la stolta gelosia, la codarda e turpe invidia. Le due famiglie di Robbio e di Bilotti, sempre in attitudine ostile, i rispettivi aderenti ne àn [hanno] dilargato e resi più gravi i mali. Non pertanto fa mestieri distinguere che la famiglia Robbio si è appalesata in ogni tempo d’indole buona, generosa e benefica, mentre quella di Bilotti arida, subdola ed invisa. Tra gli individui di queste due famiglie, per fatti spesso mossi dai signori Bilotti, vi furono aperte rotture, paci apparenti, tregue mendaci, e nei tristi rivolgimenti politici, siccome si offerse ai malvagi largo campo d’intrighi ad ogni epoca fatali, quella gara delle anzidette famiglie, puramente privata, fu soggetta a variar d’indole col variar dei tempi, ma di rado richiamò l’attenzione del Governo.
[f. 1v.] Io ritengo per fermo che non possan rimuoversi dagli uomini le peculiari tendenze spesso opposte per unificarle ad un fine di comune utilità, avvegnaché [quantunque] appunto dalla varietà e conflitto dei desideri ed interessi si ottiene lo sviluppo della intelligenza, il moto e la vita sociale; pure è indispensabile che nello attendere ognuno al proprio obbietto [oggetto] debba comportarsi in modo compossibile al bene degli altri. Se trasmoda sorge il bisogno dei mezzi pronti ed efficaci per ridurre nei limiti di ragione le straripanti passioni. È questa precisamente la condizione del comune succennato, ove i fratelli Don Luigi, Don Paolo, Don Nicola ed altri Bilotti, nemici acerrimi ed inconciliabili di Don Pietro di Robbio, unico discendente superstite di tal famiglia, nemici meno dichiarati della plebea e ricchissima famiglia Marrocco e di altre, con calunnie ed intrighi di ogni specie e maniera mantengono quivi tale agitazione e perplessità da doversi necessariamente spiegare la benefica azione del [f. 2r.] Governo. Premesso ciò, passo a rassegnarle talune nozioni generali sulle due famiglie in parola, poscia idee [rappresentazioni] parziali sugli individui che le compongono. Non dee [deve] sorprendere se la famiglia Bilotti agita tanto il comune di Pietravairano, se si pon mente ai vizi che ne lacera[no] l’ordine interno. In fatti Don Salvatore Bilotti, che viveva in adulterio con Rosa Caggiano, dalla quale ebbe un figlio, oggi sacerdote Don Angelo Petrillo, quando morì dispose del suo patrimonio a pro del nipote Don Luigi, il quale adoperò le male arti di Notar Massarotti per essere agli altri preferito. Ma come seppesi dappoi che pingue legato conteneva a favore del detto sacerdote Petrillo, così il detto Don Luigi, di accordo con Don Antonio suo fratello, colla idea di raccorre [raccogliere] la intera eredità, procurarono un falso testamento olografo, testamento che Don Antonio recò da Napoli, e di data posteriore. Che per farlo rinvenire tra le carte del defunto Don [f. 2v.] Salvatore, al momento della rimozione dei sigilli, si rivolsero allo usciere [ufficiale giudiziario] Don Nicola Sergente, cui promisero grossa somma, ma tal funzionario negossi al turpe negozio. E si noti che con tal falso testamento venivan fraudati tre altri fratelli, Don Nicola, Don Paolo, Don Gioambattista, e molte sorelle legatarie nel primo testamento. Inoltre, essendo morto Don Francesco Bilotti in Napoli, istituì con atto pubblico per suo erede Don Gioambattista Bilotti. Il germano Don Antonio produsse un falso testamento olografo, che appariva a suo favore, e domandò la eredità. Surse [sorse] litigio tra costui e lo erede istituito [Don Gioambattista]. La causa ebbe vari incidenti, fu lungamente protratta, e finì per comune stanchezza dei litiganti, ma con una vantaggiosa transazione a favore di Don Antonio Bilotti. Dovevo proporre tali osservazioni sui rapporti interni di detta famiglia per meglio determinarne il carattere morale.
[f. 3r.] L’opposto si ravvisa nella famiglia Robbio: mai dissidi tra gli individui che la componean. Morto Don Giovanni, lasciò il suo ricco patrimonio alla sorella. Don Pietro non elevò alcun reclamo o pretensione, contentandosi di ciò che largito gli aveva la provvidenza.
Discendo ora ai particolari ragguagli biografici nell’ordine che segue:
1°. Don Pietro Robbio nella sua giovinezza trascorse anch’egli nei facili errori dell’età. Nel 1820 fu carbonaro, e forse oratore di una vendita istallata in Pietravairano. In seguito fu resipiscente, e si ridusse a tale riservato ed onesto tenor di vita, che nello anno 1825 recossi in Roma con la giovine consorte in religioso pellegrinaggio. Ritornato in patria non ismentì [smentì] il salutare pentimento, ma serbò una condotta lodevole, benché soggetto a vigilanza politica. In prosieguo di tempo occupò le maggiori cariche del comune, nelle quali si distinse per diligenza, capacità e rettitudine, peculiarmente per quella rara dote della illibatezza. Anzi in alcune [f. 3v.] cause del comune spese il proprio danaro per portarle a compimento, come in quella intentata contro la Marchesa di Gioia, che fece acquistare a quei naturali il diritto d’innaffiare le loro terre. Divenuto ora corpulento e gottoso, vive ritirato con la moglie, e con una sua unica figliuola, di delicatissima tessitura, infermiccia, e che non arriva al terzo lustro. La sua casa è aperta al povero, i suoi sentimenti religiosi son puri e cattolici. L’uomo che ritorce volontariamente il più dalla via dello errore difficilmente ricade. È il saggio della esperienza, è la virtù appresa nella dura scuola della sventura. In gennaio 1848 e principi di febbraio allo annunzio dei mutamenti politici si chiuse nel proprio domicilio. Ma alla ovazione della elezione degli uffiziali della Guardia Nazionale, essendo stato affisso un proclama anonimo che lanciava atroci minacce contro la sua vita, fu obbligato [a] rispondere, e benché serbasse il linguaggio del tempo, pure emersero sentimenti religiosi e morali, e devozione ed obbedienza pel nostro Sovrano, Deo gratias. Linguaggio che in quei tristissimi [f. 4r.] tempi esprime il coraggio e la buona morale di chi il seppe tenere. Anche nel 14 maggio di detto anno [1848], essendosi dato un pranzo dagli uffiziali della Guardia Nazionale a tutti i proprietari, sacerdoti, e clero, fu giocoforza a Robbio [Don Pietro] d’intervenirvi per non esser segno alla insidia dei suoi nemici. Lesse una prolusione allusiva col titolo «Ricordi», la quale ridonda di devozione al Re, alla Religione, ed all’ordine pubblico. In complesso la condotta del signor Robbio è stata lodevole sotto tutti i riguardi; e perciò gode, come à [ha] goduto, il primato nel comune, cioè quella preminenza morale che si acquista colla virtù, e non si usurpa colla frode. Questa è anche la cagione dell’odio della famiglia Bilotti, e specialmente di Don Luigi, il di cui primo figliuolo, anelando amoreggiare colla unica figlia del signor Robbio fu respinto.
2°. Don Luigi Bilotti, avendo ottenuto per blandizie ed altre arti lo intero patrimonio di suo zio Don Salvatore, escludendone brutalmente i suoi germani, divenuto vedovo sposò la sorella di Don Giovanni Caprioli, donna [f. 4v.] superba e di non puri costumi. Da tal epoca si aumentò la tracotanza e lo intrigo di costui. Crebbe di orgoglio, vendé protezione, dispensò grazie, e sempre stolto invanì in tal guisa a ridurre a male il suo patrimonio, e destò ancora l’odio nell’animo del pubblico. Ambizioso dello uffizio di sindaco si distinse per suoi abusi e lordure. Sotto pretesto di una giuridica contesa tra Pietravairano e Vairano, profittò di ducati 70. Si vendé una campana del comune, e fu obbligato a restituirne il prezzo ch’aveva usurpato, ma dopo replicati reclami. Vuolsi pure aver riportate altre significhe [addebiti] non ancora soddisfatte.
Il sindaco apostolico, o procurator del convento di San Francesco, riscosse ducati cento dalla Diocesana assegnati per restaurare il campanile cadente, ma per aversi dal guardiano tale somma si spese tempo, preghiere, ed alla fin fine transigendo, il fitto di un magazzino locato a Don Nicola Bilotti per ducati 14 non fu pagato.
Come venditor di fumo à [ha] commesse scroccherie di ogni genere, per esempio [facendosi dare da] ducati 60 a Giovanni Battista Caggiani promettendo liberare il [di lui] figlio dalla leva. Ducati 200 da un [f. 5r.] suo massaro per un cambio del figlio, ossia per un sostituto [alla leva militare] con un falso documento di parentela. Lo stesso Don Luigi aveva fatto altro saggio di falsità in atti e pubblici registri; cioè, per non pagare il legato di ducati 500 disposto dallo zio Don Salvatore a pro della figlia di Don Tommaso Altieri, falsificò il libro battesimale che dicesi essere stato poi rettificato con solenne causa nella Curia Vescovile di Teano. Del pari aver falsificato la minuta originale dello istrumento [redatto] per Notar Massarotti onde non restituire un fondo a Vincenzo Baldassarre. Appena nominato Decurione prese a proteggere Gioambattista Caggiano debitor del comune per lo affitto della panatica [privativa inerente alla panificazione], e sino a chiedere in Decurionato lo annullamento degli atti di subasta, ed ora lo difende sfrontatamente innanzi al Consiglio d’Intendenza. Debitor del comune di più centinaia [di ducati] per canoni, e sempre moroso come pel contributo fondiario. [f. 5v.] Ciò val solo per la sua condotta privata e pubblica, avvegnaché [ancorché] in quanto ai sentimenti politici estimar debbonsi sempre equivoci quando non poggiano sopra un buon fondo morale.
Don Luigi e Don Paolo Bilotti furono i primi in Pietravairano ad avere notizia dai loro germani Don Antonio e Don Gioambattista del promesso Statuto, e furono i primi a sortire colla coccarda tricolore. Furono costoro che brigarono somministrando cartelli perché il Don Luigi fosse capitano e Don Paolo tenente della Guardia Nazionale.
A oggetto di allontanare i concorrenti, e specialmente Don Pietro Bassi, antico capo urbano, che godeva la estimazione del pubblico, pretese farlo cancellare dalla lista generale redatta, dicendo in presenza di tutti i congregati che il signor Bassi non doveva far parte della nobile Guardia Nazionale poiché impiegato del passato governo e ligio al Marchese del Carretto.
In quei mesi di generale follia in casa [f. 6r.] Bilotti vi accedevan persone non conosciute, e specialmente il sorvegliato di polizia Don Giovanni Mesolella, di Marzano. Dessi spacciavano come propria gloria l’essere andato il loro nipote Don Francesco Carella milite volontario in Lombardia. Dopo di essere stato deluso Don Luigi e distornato nelle sue mire ambiziose col vestire i colori del tempo, immemore delle sue azioni passate, affetta devozione verso la Sacra Persona del Re, Nostro Sovrano, immemore dei proclami incendiari, dei brogli praticati per la elezione degli uffiziali della disciolta Guardia Nazionale, delle satire lanciate agli uomini onesti, degli allarmi sparsi ond’essere approvato capitano, a segno di aver ingannato qualche autorità, da cui avendo ottenuti segreti incarichi di verifiche a farsi in S. Andrea del Pizzone abbia riscosso danaro e celato il vero aspetto delle cose. Su tale obbietto però si attendono dilucidazioni migliori. Vuolsi ancora essersi adoperato per far restituire le armi a diverse persone ottenendone ricompense pecuniarie. [f. 6v.] In una parola Don Luigi Bilotti è un ammasso di vizi e turpitudini, ed è ostacolo perenne alla sicurezza e tranquillità di Pietravairano.
3°. Don Antonio Bilotti, di professione causidico, da molti anni dimora in Napoli, forse non mai autorizzato allo esercizio legale per mancanza di licenza dottorale. Si è distinto coi due falsi testamenti olografi da lui fatti o procurati. Durante le stoltezze del 1848 trasmetteva notizie e giornali ai suoi germani Don Luigi e Don Paolo che le divulgavano e leggevano nei caffè e nelle botteghe tenendo così sempre viva la pubblica agitazione. Ora è stato nominato giudice di circondario ignorandosene i meriti, ed essendo note solamente le irregolarità della sua vita trascorsa.
4°. Don Nicola Bilotti, altro germano, ora venditor privilegiato di sale e tabacchi, non vende che poche once al giorno di tali generi per la pubblica diffidenza [f. 7r.] nella esattezza dei pesi. Priore di due Congreghe, ne malversa a suo profitto le rendite.
5°. Don Paolo Bilotti, ozioso, dissoluto, vive in concubinato con Diana Quaglia. Riscaldato liberale nel 1848, germano anch’esso di Don Luigi, e non dissimile d’indole e di costumi, tiene anch’esso agitata quella popolazione. I registri penali offrono parecchie imputazioni a carico di lui. Tralascio discorrere degli altri individui di questa notabile famiglia, come del costume delle sorelle, e della equivoca lor fama, stimando oziosa ogni altra particolarità. Solamente debbo aggiungere alcuni cenni biografici di altri individui seguaci dei signori Bilotti, perché sia svelato il segreto delle arti loro tenebrose, con cui attaccando le altrui azioni assegnano per testimoni uomini di perduta coscienza.

[f. 7.v] Appendice di altri cenni biografici dei seguaci dei signori Bilotti

1°. Don Angelo Massarotti; imputato di più reati, e principalmente di omicidio nel 1833 in persona di Vincenzo Vacca, consumato a colpi di pugnale; ozioso, dissoluto, è il degno collaboratore di Don Luigi Bilotti, soscrivendo accuse calunniose. Il detto Don Luigi ebbe cura di far restituire a costui le armi onde far onta a tutti gli onesti del paese ed appagar la sua vanità.
2°. Don Francesco Iacobucci; in febbraio dello anno 1848 fu uno dei capi della Guardia Nazionale provvisoria. Percorse lo abitato con la bandiera tricolore. Parlava a sproposito come gli altri nei tempi di mania. Ora è in intimità di rapporti col signor Bilotti, socio in tutti gli anonimi che giungono agli Agenti del Governo. Anche costui attualmente, simulando attaccamento al Re, Nostro Sovrano, è stato armato, come del pari il di costui germano, Don Angelo, sacerdote di costumi non regolari, e solito per lo passato a leggere [f. 8r.] giornali incendiari anche in pubblico.
3°. Don Giuseppe Iacobucci; è stato anch’egli un effervescente demagogo. Lo attestano i più probi del paese.
4°. Don Giuseppe Paris; medico, utopista per eccellenza, mostrò tali sentimenti esaltati in modo che più volte fu ammonito dall’autorità del luogo. Ora fa codazzo al signor Bilotti, e per essere protetto sarebbe capace di secondarlo anche nei suoi pravi disegni.
5°. Don Gioambattista Massarotti; cancelliere comunale, e medico conduttato [condotto], di pessima fama; è associato al signor Bilotti per secondarlo negli atti del suo uffizio in cui à [ha] egli sempre commesso abusi e fatti vergognosi profitti.
6°. Don Pasquale de Rita; chirurgo di Pietramelara, e degna prole d’invereconda madre. Impudico, violento, à [ha] offerto lo [f. 8v.] scandalo di non essersi accostato al Tribunale della penitenza in occasione della Santa Missione, rifiutandosi villanamente alle preghiere del Padre Rettore dei Passionisti di dotare una misera donzella alla quale tolt’aveva l’onore. Egli nelle luttuose giornate delle politiche agitazioni era il più riscaldato agitatore; ed ora è intimo collaboratore di denunzie anonime col signor Bilotti, che gli à [ha] promesso protezione per fargli ottenere una condotta medica in quel comune. Da ciò trae origine la sua arroganza, il disprezzo di tutto e di tutti, ed è di grave ostacolo alla tranquillità del comune.
7°. Don Pietro Nucci, di Riardo; farmacista, immorale, debosciato, usuraio, e forsennato per le estranee idee del 1848. Si è messo sotto la protezione di Don Luigi Bilotti, il quale si sforza [di] farlo comparire come fedelissimo suddito.
8°. L’arciprete di Riardo Don Michele [f. 9r.] Zeppetella; [il quale] dopo di aver predicato sui benefici della Costituzione, e più volte baciata la bandiera tricolore, trascurato nell’amministrazione del suo Sacro Uffizio, di corrotto costume, è ora anch’esso collaboratore di anonime denunzie, ed anche sottoscritte, ed in strette relazioni col signor Bilotti.
Dopo tutto ciò sento il dovere di esternare un mio divisamento sulle misure governative a spiegarsi, onde quietare non solo Pietravairano, ma lo intero circondario facendo cessare quella diabolica congerie di uomini perversi.
Conclusione e misure
1°. Stimerei pria tutto disarmarsi subito Don Luigi, Don Nicola, Don Paolo Bilotti, Don Francesco e Don Angelo Iacobucci, Don Angelo Massarotti.
2°. Allontanarsi Don Luigi e Don Paolo Bilotti dal comune di Pietravairano per un tempo indeterminato, e finché non diano pruove [prove] sicure di tranquillo ed onesto tenor di vivere.
[f. 9v.] 3°. Rivocarsi l’autorizzazione concessa a Don Nicola Bilotti di venditor di generi di privativa, perché infedele nel peso, infedeltà che specialmente va a gravitare sul povero.
4°. Per Don Antonio Bilotti, pria di essere ammesso nella carica di giudice, istruirsi in Napoli più esatte e diligenti indagini sulla sua condotta morale, politica, religiosa, e sulla sua capacità.
5°. Richiamarsi l’attenzione dell’Ordinario Diocesano, ossia Vescovo di Teano, sugli andamenti dello Arciprete Zeppetella, di Riardo, e sussistendo le accuse provvedere canonicamente quel comune di altro curato.
6°. Finalmente rimuoversi dalla carica di Decurione Don Luigi Bilotti, Don Francesco Iacobucci, e Don Giuseppe Paris, e dalla carica di Cancellier comunale Don Gioambattista Massarotti.
È questo il risultamento delle investigazioni sull’onorevole incarico confidatomi. Se il lavoro non offre quella brevità che avrei desiderato, certamente però presenta coscienziosi dettagli dei pratici di Pietravairano che cangiano vesti a [f. 10r.] seconda dei tempi, lezzo d’infamia, pericolosi sempre, funestissimi nei tempi che corrono.
Il Procurator Generale del Re
Pasquale Governo

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Hinc felix illa Campania est, ab hoc sinu incipiunt vitiferi colles et temulentia nobilis suco per omnis terras incluto, atque (ut vetere dixere) summum Liberi Patris cum Cerere certamen. Hinc Setini et Caecubi protenduntur agri. His iunguntur Falerni, Caleni. Dein consurgunt Massici, Gaurani, Surrentinique montes. Ibi Leburini campi sternuntur et in delicias alicae politur messis. Haec litora fontibus calidis rigantur, praeterque cetera in toto mari conchylio et pisce nobili adnotantur. Nusquam generosior oleae liquor est, hoc quoque certamen humanae voluptatis. Tenuere Osci, Graeci, Umbri, Tusci, Campani.
[Plinius Sen., "Nat. Hist." III, 60]

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