L'impianto idroelettrico del Matese

di Armando Pepe

Nota dell'Autore
Ringrazio il dottor Paolo De Luce, dell'Archivio Storico dell'ENEL, sede di Napoli. In più mi corre l'obbligo di ringraziare il dottor Giovanni Caracciolo, con cui ho condiviso gli studi sullo stesso argomento.

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Fonte archivistica

Archivio Storico Enel (ASEnel), Napoli, (Documenti SME) Società Meridionale di Elettricità, Archivio, Numero di posizione II-1-6, Numero d’ordine 2, Impianto Matese, Concessione.

L’espansione dell’industria idroelettrica in Campania

Nell’Italia dei primi decenni del Novecento il progresso industriale e una crescente diffusione dell’illuminazione pubblica e privata aumentarono la richiesta energetica, in particolar modo si cercava di ottimizzare le numerose potenzialità offerte dalle risorse idriche, esaminando capillarmente i corsi d’acqua e i laghi. La costante ricerca di fonti energetiche rinnovabili portò la Società Meridionale di Elettricità1 a elaborare progetti e studi sul bacino idrografico del Matese, alle cui falde sorge Piedimonte, paese in cui l’abbondanza delle acque ha sempre favorito la nascita di numerose attività produttive2.
Le strategie operative della SME-, nel quadro più ampio dell’intera industrializzazione campana della prima metà del XX secolo-, sono state efficacemente messe in evidenza da Augusto De Benedetti3, che riassume le azioni dell’impresa napoletana in due punti programmatici: a) realizzare direttamente le centrali idroelettriche, vendendo l’energia ai grossi utilizzatori; b) entrare d’autorità nelle aziende esistenti.
La SME consolidò la propria struttura economica, affermandosi progressivamente anche come impresa distributrice, e realizzò dapprima l’impianto del Lete (attivo dal 1910), che forniva energia elettrica alla città di Napoli, e poi, nel periodo successivo alla Prima guerra mondiale, mostrandosi all’avanguardia-, se pensiamo a quanto, ancora oggi il tema delle fonti energetiche rinnovabili sia più che mai attuale-, diede nuovo impulso alla sua attività con la costruzione delle centrali idroelettriche del Tanagro (nel 1921), dell’Aventino (nel 1922) e del primo e del secondo salto del Matese (nel 1923), queste ultime due utilizzanti le acque del Lago Matese4.
Le attenzioni dell’impresa napoletana, per l’appunto, si estesero sull’intero comprensorio del Matese, dove esiste il lago carsico più grande d’Italia. La proprietà del Lago Matese è stata frequentemente causa di accese diatribe tra la famiglia Gaetani di Laurenzana e i comuni di Piedimonte, San Gregorio, Castello e San Potito, che costituivano un unico feudo di cui i Gaetani erano i signori. Per comprendere più a fondo la poderosa opera idroelettrica del Matese, occorre soffermarsi sulla storia del lago e dei possedimenti circostanti, attraverso le cicliche rivendicazioni di proprietà.

Cenni storici sui possedimenti del Matese

Il 20 ottobre 1813 il segretario dell’Intendenza5 di Terra di Lavoro Francesco Saverio Petroni6, nominato regio Commissario ripartitore, emise un’ordinanza che sciolse la promiscuità, cioè la comunanza dei beni del Matese fra il duca Onorato Gaetani di Laurenzana e i comuni di Piedimonte, San Gregorio, Castello e San Potito, dividendola in ventiquattro parti, di cui nove al duca e le restanti quindici ai comuni.
Più di quarant’anni dopo-, il 10 novembre 1854-, l’intendente Giuseppe de Marco7, con una seconda ordinanza, sciolse la promiscuità dei soli beni assegnati ai comuni, dividendoli in ventiquattro parti: undici a Piedimonte, sei a San Gregorio, quattro a Castello e tre a San Potito.
Il lago restò soggetto: 1) in favore del duca Gaetani, a un diritto di proprietà sulla metà delle acque,- con destinazione specifica alla pesca-, e sulla metà delle adiacenze; 2) in favore di Piedimonte, a un diritto di proprietà sull’altra metà delle acque, con eguale destinazione alla pesca; 3) in favore di San Gregorio, a un diritto di abbeveraggio esteso a una parte periferica delle acque, quella cioè delle proprie adiacenze, e all’uso civico del pascolo sulle adiacenze stesse, a mano a mano che le acque del lago si vanno restringendo; 4) in favore di Castello si confermavano diritti simili a quelli di San Gregorio, ma in proporzioni minori.
Il 17 novembre 1905 si stipulò un contratto d’affitto e d’enfiteusi del Lago Matese tra la banca del Credito Ticinese8 (di Locarno), rappresentata dall’ingegnere Bonghi, e il comune di Piedimonte. Tre giorni dopo, il 20 novembre, lo stesso Credito Ticinese acquistò dal duca di Laurenzana la metà del lago con le relative adiacenze.
La banca elvetica, col tempo, rallentati gli esperimenti tecnici e di scandaglio, restò sempre in possesso di parte delle acque e, nel 1914, cedette i suoi diritti alla SME. Cavalcando un rampante capitalismo, il Credito Ticinese dal 1890 al 1912 sprigionò una frenetica attività, anche speculativa, rimettendoci spesso i fondi investiti, e fu dichiarato fallito nel 1915, dopo un processo penale. Ebbe delle partecipazioni anche in varie società italiane. Purtroppo, l’Archivio di Stato del Cantone Ticino-, in Bellinzona-, non possiede documentazione sulle attività bancarie dell’istituto elvetico e di conseguenza non è possibile studiare le motivazioni che spinsero quest’ultimo a investire cospicue somme di denaro in un posto tanto distante, giustappunto sui monti del Matese9. È del 1915 un verbale di conciliazione tra la SME e i comuni di Piedimonte, San Gregorio e Castello davanti all’agente demaniale Raffaele Alfonso Ricciardi10, omologato dal prefetto di Caserta Diodato Sansone, regio Commissario ripartitore. L’accordo stabiliva tra la SME e i comuni di San Gregorio e Castello un annuo fitto di trecento lire per l’occupazione delle adiacenze dei due inghiottitoi Brecce e Scennerato, con l’impegno di cedere il fondo del lago (e le adiacenze) a prezzo di perizia, richiedendone preventivamente la sdemanializzazione, quando la SME avesse deciso di utilizzare le acque, cosa che avvenne nel 1919.
Nella circostanza, la SME stabilì accordi coi comuni di Piedimonte, San Gregorio e Castello per la cessione in enfiteusi dei beni di natura demaniale e il 24 aprile 1920 presentò una domanda con relativo progetto al ministero dei Lavori Pubblici per l’autorizzazione a scaricare le acque del Matese nel ruscello Maretto, alla confluenza col rivo Paterno.
Tra i mesi di novembre e dicembre 1920, le nuove amministrazioni comunali di Piedimonte e San Gregorio disconobbero la condotta dei predecessori e di una commissione prefettizia costituita per l’occasione, richiedendo maggiori corrispettivi. Verso la fine del 1920 la SME inviò ricorsi al ministero dell’Interno contro le deliberazioni di revoca degli impegni assunti dai comuni di Piedimonte e San Gregorio, e chiese l’intervento dello Stato perché dichiarasse pubbliche le acque del Matese. Il 17 settembre 1921 il Consiglio Superiore delle Acque si espresse sulla demanialità del Lago Matese e del torrente Maretto, e ne dispose l’iscrizione in un elenco suppletivo delle acque pubbliche. Il 7 novembre 1921 il Genio Civile di Caserta invitò la SME a presentare, entro un mese, i documenti per la concessione, ma la società richiese una proroga, che fu accordata fino al 6 gennaio 1922.
Il 5 gennaio 1922 la SME presentò una domanda, corredata da progetto a firma dell’ingegnere Angelo Omodeo11, per la concessione delle acque del Lago Matese, a seguito del voto del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici-, espressosi il 17 settembre 1921-, e dell’invito del Genio Civile di Caserta.
La concessione aveva il seguente oggetto:1) sopraelevare il livello del Lago Matese di circa sei metri, cioè fino a quota 1014, allo scopo d’invasare un volume d’acqua di quattordici milioni di metri cubi; 2) derivare le acque del lago nella misura media di 1200 litri al secondo, utilizzandole in due salti-, il primo di metri 480, il secondo di metri 353-, creando così complessivamente 13312 HP dinamici e restituendo le acque nel Vallone Paterno, nei pressi di Piedimonte.
Il primo maggio 1923, il Genio Civile di Caserta fece un sopralluogo per l’istruttoria sulla concessione delle acque del Lago Matese, ma i comuni di Piedimonte, San Gregorio, Castello e San Potito presentarono ferme opposizioni alla domanda della SME, soprattutto in relazione al punto 1 (sopraelevazione delle acque del lago). Il primo giugno 1923 la SME presentò dei rilievi alle deduzioni opposte dai detti comuni.
Nella Gazzetta Ufficiale del 14 novembre 1924 (numero 266) fu pubblicato il Regio Decreto con cui era disposta l’iscrizione del Lago Matese nell’elenco delle acque pubbliche della provincia di Caserta12.
Tuttavia, a tutela dell’incolumità della pastorizia, la SME avrebbe dovuto rispettare e assicurare la possibilità del libero esercizio del diritto di abbeveraggio del bestiame.
Il 2 luglio 1925 la SME presentò una richiesta al ministero dei Lavori Pubblici perché San Potito fosse escluso dal novero dei comuni rivieraschi dal momento che l’ordinanza (de Marco) del 10 novembre 1854 aveva assegnato a quest’ultimo zone di terreno non confinanti col Lago Matese e compensi in denaro per la perdita dell’abbeveraggio alle sue acque.
Il Genio Civile di Caserta, il 28 dicembre 1926, eseguì il collaudo della Centrale del Matese.

Relazione della commissione prefettizia sulla sdemanializzazione del Lago Matese e adiacenze

Il prefetto di Caserta, Diodato Sansone, con un proprio decreto emanato il 2 agosto 1919, nominò una commissione-, coordinata dal giudice Guglielmo Talarico13, presidente di sezione della Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere-, per esprimere un parere sulla sdemanializzazione delle acque del Lago Matese.
Nel responso, emesso il 16 settembre 1920, si ripercorrevano le motivazioni che portarono alle ordinanze Petroni e de Marco. In particolare, si analizzava dettagliatamente l’ordinanza de Marco, assumendola come origine dei fatti successivi. Si ricordava che l’intendente di Terra di Lavoro Giuseppe de Marco, con ordinanza del 10 novembre 1854, aveva proceduto alla divisione-, fra i comuni di Piedimonte, San Gregorio, Castello e San Potito-, della quota promiscuamente ottenuta nel 1813 e, previa valutazione di essa in 98850 ducati, l'aveva suddivisa in ventiquattro parti, assegnandone undici a Piedimonte, sei a San Gregorio, quattro a Castello e tre a San Potito. Fra le undici porzioni attribuite a Piedimonte c’era anche la metà del lago.
Il de Marco aveva ordinato pure che l’uso di abbeverare nel lago fosse disposto fra quei soli comuni che avevano libero accesso a esso, escluso San Potito. Dal 1855 al 1904, per un periodo di circa cinquant’anni, il comune di Piedimonte ricavò dall’affitto del lago l’introito annuo medio di 105 lire. Dopo l’ultimo contratto, conchiuso il 15 marzo 1905 – anche a nome e nell’interesse del comproprietario Gaetani di Laurenzana – coi pescatori Tolentino e Feola per la somma di 216 lire annue, il comune di Piedimonte eseguì la locazione14 per mille lire annue col Credito Ticinese, che aveva già acquistato dal duca di Laurenzana la metà del lago a lui spettante.
L'affitto al Credito Ticinese provocò il risentimento dei comuni di San Gregorio e Castello, che esercitavano l’uso civico del pascolo sulle adiacenze del lago. I due comuni intentarono un giudizio di reintegra in possesso contro il Credito Ticinese, definito poi, a transazione avvenuta, con la SME, succeduta al Credito Ticinese.
Notificata, nei termini prescritti, ai comuni di San Gregorio e Castello la richiesta della SME di volere definitivamente le zone di cui già disponeva in possesso provvisorio, la istante15 si mise d’accordo coi due comuni, nonché con Piedimonte. Il Consiglio comunale di Piedimonte-, in seduta 4 giugno 1919-, prese in esame le offerte della SME e autorizzò il sindaco a stipulare il contratto di cessione delle acque lacustri.
Il comune di San Gregorio-, grazie anche al concreto interessamento del sindaco Arturo Lombardi, ma contro il parere della minoranza-, deliberò in favore di un accordo con la SME nella seduta consiliare del 17 luglio 1919. Il comune di Castello infine, in seduta consiliare del 31 agosto 1919, deliberò positivamente per un accordo con la SME.
Nell’interesse del comune di San Gregorio dove, in seguito delle elezioni amministrative del 26 settembre 1920 era cambiata l’amministrazione con la vittoria del Partito popolare italiano16, il reverendo Don Giacomo Vitale17 rilevò che delle tre zone di pascolo possedute dal comune, quella della conca del Matese era la più importante poiché produceva un’enorme quantità di fieno.
Don Giacomo Vitale previde dannosi effetti dalla concessione, riassunti in tre punti: 1) allagamento dei terreni a una quota superiore ai 1007 metri; 2) eliminazione del pascolo riservato agli animali vaccini, nonostante il permesso convenuto; 3) perdita totale del fieno, con le conseguenze deleterie già indicate per l’industria vaccina, equina e ovina.
Il reclamante18 poi-, a detta del dottor Talarico-, si soffermava a tratteggiare: “Il quadro delle fosche previsioni che immagina debbano derivare al comune di San Gregorio dallo sfruttamento industriale del lago. E infine, Don Vitale dichiara che non sia necessaria l’illuminazione elettrica, ed effimera la concessione di un mulino elettrico da parte della SME”19. La commissione, infine, riteneva che i pascoli e il fieno che i comuni di San Gregorio e Castello perdevano-, con le zone occupate a seguito dei lavori della SME sul Lago Matese-, fossero sostituibili e non necessari. Nondimeno, la SME concedeva, nei mesi estivi, il diritto di pascolo sulle adiacenze del lago ai pastori di Castello e San Gregorio: una vittoria a metà per Don Vitale.

Opposizioni dei comuni di Castello, San Gregorio e Piedimonte alla concessione delle acque del Lago Matese alla SME

Il 18 aprile 1923, il sindaco di Castello Antonio Grillo, assistito dall’agente demaniale Ricciardi, con una lettera rivolta al ministro dei Lavori Pubblici Gabriello Carnazza20, si opponeva formalmente alla concessione delle acque del Lago Matese alla SME per due motivi ben precisi: in primo luogo le acque rientravano nel demanio civico, in secondo perché la costruzione della diga faceva aumentare il loro livello di sei metri, fino a quota 1014.
Scriveva il sindaco di Castello: “L’aumento del livello delle acque limita il diritto al pascolo dei pastori; le terre migliori, le erbe più buone, sono definitivamente sommerse”.
Il motivo dell’opposizione era che le acque del Lago Matese costituivano un demanio e, sulle stesse, gli abitanti di Castello, Piedimonte e San Gregorio vantavano diritti di proprietà e fruivano degli usi civici. Il comune di Castello, per i suoi cittadini, godeva l’uso civico dell’abbeveraggio degli animali, sia nelle acque del lago sia nei corsi dei rivoli di Santa Maria e di Capo di Campo. In particolare, erano proprietà del comune di Castello le località denominate Scennerato e Vollanito21, confinanti con l’ex proprietà dei Gaetani di Laurenzana, acquistata dalla SME.
Allo Scennerato si esercitavano gli usi civici del pascolo e dell’abbeveraggio degli animali, invece, sui colli circostanti Pretemorto22 quello del legnare a secco.
Dopo che-, nella Gazzetta Ufficiale del 22 novembre 1921 (numero 273)-, fu pubblicato lo schema dell’elenco delle acque pubbliche in provincia di Caserta, in cui era annotato anche il Lago Matese, i comuni di Castello, San Gregorio e Piedimonte si opposero – il 18 maggio 1922 – alla proposta d’iscrivere il Lago Matese tra le acque pubbliche dello Stato.
Anzi, presentò opposizione per il medesimo scopo anche la SME, insieme ai tre comuni interessati. Non essendoci una decisione legislativa in merito, ossia non sapendo se le acque del Lago Matese fossero demaniali o meno, il ministero dei Lavori Pubblici non poteva cederle alla SME a scopo industriale.
Le pianure dello Scennerato e del Vollanito invece, sarebbero state occupate per la costruzione del serbatoio artificiale da parte della SME. Il comune di Castello rivendicava i suoi diritti di proprietà sullo Scennerato e sul Vollanito poiché erano zone appartenenti al demanio comunale: soltanto un decreto di proscioglimento dei vincoli demaniali avrebbe potuto privarlo dei propri diritti su dette località. Con la richiesta del 26 agosto 1919, la SME domandò al comune di Castello la concessione in enfiteusi perpetua dello Scennerato e del Vollanito e si obbligò a dare, in corrispettivo, canoni in denaro, luce elettrica, la costruzione di un acquedotto e finanche di un mulino. Il Consiglio comunale di Castello-, con deliberazione del 31 agosto 1919-, accolse l’offerta, accettando i corrispettivi proposti dalla società. Tra la SME e il comune di Castello fu stipulato quindi un contratto inviato alla regia prefettura di Caserta il 18 settembre 1921.
Il 20 aprile 1923, l’avvocato Adelchi Albanese-, che svolgeva il ruolo di Commissario prefettizio del comune di Piedimonte-, assistito dal prof. Ricciardi23-, presentava un’opposizione rivolta al ministro dei Lavori Pubblici contro il Decreto Ministeriale del 19 marzo 1923, con cui era predisposta- da parte dello Stato a favore della SME- la concessione di derivare le acque del Lago Matese per produrre, a scopo industriale, una potenza di complessivi 13312 HP, sopraelevando il livello del lago di circa sei metri, fino a quota 1014.
I motivi dell’opposizione consistevano nel fatto che le acque del Lago Matese spettavano, in parte, al comune di Piedimonte, ed erano gravate da diritti di usi civici, legalmente goduti ed esercitati anche dalle popolazioni dei comuni di Castello e San Gregorio.
In precedenza il Regio Decreto del 9 dicembre 1909 aveva accolto i ricorsi congiunti del Consiglio comunale di Piedimonte e del Credito Ticinese, depennando il lago dall’elenco delle acque pubbliche perché: “Il lago medesimo, per decisione della Suprema Commissione Feudale del 1810, era stato assegnato in privata proprietà all’ex feudatario, duca di Laurenzana, e ai quattro Comuni di Piedimonte d’Alife, Castello d’Alife, S. Potito e S. Gregorio, nei diritti dei quali tre ultimi comuni successe il primo, per posteriore altra ordinanza del 10 novembre 1854”.
Il lago-, secondo i rilievi dell’avvocato Albanese-, era proprietà inalienabile del comune di Piedimonte, non essendo intervenuto alcun titolo a cambiarne la natura e la destinazione. Tuttavia, per effetto della reiterata (e già menzionata) iscrizione del lago nell'elenco suppletivo provinciale delle acque di proprietà collettiva, apparso Gazzetta Ufficiale del 22 novembre 1921 (numero 273), la SME si sentì in dovere di chiedere la concessione per lo sfruttamento delle acque del lago direttamente al Ministero dei Lavori Pubblici.
L'avvocato Albanese e molti cittadini utenti dei demani, il 16 maggio 1922 presentarono opposizione, regolarmente pervenuta all’ufficio del Genio Civile di Caserta, contro l’iscrizione del lago nell’elenco suppletivo delle acque pubbliche. Secondo l’avvocato Albanese, il ministero dei Lavori Pubblici non aveva alcuna autorità per concedere le acque del Lago Matese alla SME. La sentenza inappellabile della Suprema Commissione Feudale del 15 maggio 1810 dichiarava infatti: “Che competono all’università e ai cittadini di Piedimonte il libero uso di acquare e i pieni usi della pesca nel lago esistente nelle dette montagne del Matese, anche pel commercio fra loro”.
L’altra sentenza inerente al lago, racchiusa nell’art. 5 dell’ordinanza del regio Commissario ripartitore Francesco Saverio Petroni, del 20 ottobre 1813, per la divisione del demanio ex feudale di Piedimonte con gli altri comuni promiscui , disponeva che: “Il piccolo lago del Matese non è suscettibile di divisione, perché viene a restare sul confine delle due porzioni (cioè quella toccata al duca e l’altra assegnata ai comuni) ed è soggetto all’accrescimento e alla decrescenza delle acque, che sono necessarie ad ambedue le parti. L’uso di abbeverare sarà libero ad ambedue le parti”.
Le due precedenti sentenze furono compendiate nell’ordinanza commissariale de Marco del 10 novembre 1854, in cui si stabiliva che: “I diritti dei comuni promiscui hanno origine dalla stessa sorgente”.
L’avvocato Albanese notava per giunta che la metà del Lago Matese, ossia, più precisamente, la metà del volume d’acqua che naturalmente vi si raccoglie ogni anno, costituisce un cespite demaniale attribuito al comune di Piedimonte.
Il 22 aprile 1923, il sindaco di San Gregorio ed esponente locale del Ppi, Vincenzo Ferritto, scrisse al ministro dei Lavori Pubblici che il suo Comune si opponeva: 1) Alla domanda della SME di sopraelevare il livello del Lago Matese di circa due metri, cioè fino a quota 1014, allo scopo d’invasare un volume d’acqua di 14 milioni di metri cubi24. 2) All’iscrizione del Lago Matese nell’elenco delle acque pubbliche dello Stato.
Il comune di San Gregorio godeva ed esercitava sul demanio ex feudale del Lago Matese diritti di uso civico di abbeveraggio per irrefragabili titoli (articolo 4 – ordinanza Petroni del 20 ottobre 1813; articolo 12 – ordinanza de Marco del 10 novembre 1854) e perciò aveva diritti di proprietà sulle acque dello stesso. Sciolta la promiscuità demaniale del lago, a San Gregorio spettava almeno un quarto delle sue acque. Il comune di San Gregorio, oltre a ciò, possedeva il terreno del Burrone delle Brecce, e i propri abitanti esercitavano l’uso civico dell’abbeveraggio, che poteva essere compromesso dall’elevazione delle acque del lago.
In sostanza, il comune di San Gregorio imputava alla SME di aver chiesto al ministero dei Lavori Pubblici il diritto di sopraelevare le acque lacustri di sei metri, come se il lago fosse già demanio statale e come se la SME volesse disconoscere il diritto di proprietà del comune di San Gregorio su parte di esso.
La SME aveva affittato il lago per sessant’anni e il contratto non poteva essere trasformato in enfiteusi, senza la prescritta autorizzazione di legge. Il 2 maggio 1915 tra il comune di San Gregorio, quello di Castello e la SME era stata redatta una convenzione in cui rimanevano impregiudicati la stima dei terreni e i diritti civici. Non poteva quindi la SME procedere alla sopraelevazione delle acque del lago senza valutare i diritti comunali, senza aver concordato l’adeguato compenso e senza il proscioglimento dei diritti demaniali e forestali.
Ad ogni modo i ricorsi del comuni rivieraschi non furono accolti e le acque del lago rimasero di proprietà demaniale.

Osservazioni alle deduzioni presentate dai comuni rivieraschi del lago

Nel maggio 1923 l’avvocato della SME, Arturo Ercole Corbi25, passava a una disamina, in punto di diritto, delle pretese avanzate dai comuni rivieraschi del lago per smontarle sistematicamente. Secondo l’avvocato Corbi, le controdeduzioni della SME poggiavano su finalità che sorpassavano e sovrastavano ogni considerazione d’interesse particolaristico. Sosteneva inoltre che, con l’abolizione della feudalità sui vasti possedimenti del Matese, nel 1810 si ravvisarono estesi diritti di demanialità a favore dei Comuni di Piedimonte, San Gregorio, Castello e San Potito.
Del Lago Matese si faceva menzione come di un corpo feudale, secondo le informazioni fiscali del 1490, 1580, 1594 e 1645, e su di esso erano esercitati degli usi civici. Cominciava, fin da quell’epoca, a profilarsi la figura giuridica del lago quale cespite indivisibile, appartenente alla comunità e non attribuibile particolarmente né all’ex feudatario né ai comuni.
Nell’ordinanza di scioglimento di promiscuità tra i quattro comuni rivieraschi del 1854 era detto che: “Le adiacenze del lago, delimitate dai terreni appartenenti al duca di Laurenzana, furono assegnate a San Gregorio, col diritto di poter soltanto abbeverare i propri armenti nelle acque del Lago Matese dalla parte della propria porzione, e il diritto di pesca fu ristretto al solo comune di Piedimonte e al detto duca di Laurenzana”.
Al comune di Castello restò l’uso dell’abbeveraggio, sul confine della zona assegnatagli. Il comune di San Potito fu escluso dall’abbeveraggio nel lago, riservandogli invece tale uso soltanto nelle acque di Santa Maria, di proprietà del duca di Laurenzana. Secondo l’avvocato Corbi, nessuno poteva vantare alcun diritto di proprietà sulle acque del lago. Per il legale della SME, gli usi civici vantati dai comuni rivieraschi non erano altro che servitù di diritto pubblico sul demanio dello Stato. L’avvocato Corbi ricordava che dal 1905 il Credito Ticinese aveva affittato dal comune di Piedimonte il Lago Matese, ritenuto bene patrimoniale, per mille lire annue e per la durata di tre anni, a scopo di studi per un’eventuale utilizzazione industriale. Se gli esperimenti avessero avuto esito favorevole, il fitto, a richiesta del Credito Ticinese, avrebbe dovuto prolungarsi per sessant’anni e l’istituto elvetico avrebbe potuto facoltativamente commutare il fitto in enfiteusi e corrispondere, in tal caso, un canone annuo di quindicimila lire. Intanto il Credito Ticinese diventava proprietario della metà del lago, avendolo acquisito direttamente dal conte Gaetani di Laurenzana, e otteneva dal Comune di Piedimonte il prolungamento del fitto dell’altra metà per sessant’anni.
I lavori di utilizzazione non furono mai eseguiti, mentre il lago rimase in possesso del Credito Ticinese, che, come sappiamo, nel 1914 cedette tutti i suoi diritti alla SME. Con regolare verbale dell’agente demaniale Ricciardi, in data 2 maggio 1915 i comuni di San Gregorio e Castello consentirono alla SME di continuare i propri studi, ricevendo, in compenso, un annuo fitto di trecento lire, e si obbligarono a cedere alla SME-, a prezzo di perizia-, le acque a loro pertinenti.
In seguito il Lago Matese entrò nell’elenco suppletivo delle acque pubbliche, poiché secondo l’art. 3 del Decreto Legge 9 ottobre 1919: “Saranno pubbliche tutte le acque che abbiano o acquistino l’attitudine a qualsiasi uso di pubblico interesse”.
Il 26 maggio 1923 l’ingegnere Motti, alto funzionario della SME, in una lettera privata a Giuseppe Cenzato26, direttore dell’impresa elettrica napoletana, affermava che la risposta dell’avvocato Corbi era tanto acuta e: “Così dottrinaria e minuziosa da costituire un’arma a doppio taglio e presentare più punti deboli di quanti ne presenterebbe una succinta e generica controdeduzione”.

Relazione preliminare per il progetto di derivazione delle acque dal Lago Matese

Il 19 aprile 1920, gli ingegneri Angelo Omodeo e Velio Princivalle, addetti alla costruzione dell’impianto idroelettrico del Matese, inviarono alla sede centrale della SME in Napoli una dettagliata relazione, che occorre leggere integralmente per cogliere in pieno la portata dei lavori svolti:

a) oggetto e descrizione sommaria dell’impianto

Scopo del presente progetto è derivare, mediante opportune opere, le acque che si raccolgono nel Lago Matese impedendone il disperdimento negli inghiottitoi, e utilizzare così, mediante due salti distinti, la loro energia potenziale disponibile, trasformandola in corrente elettrica, mediante due edifici motori. Le misure, eseguite agli stramazzi27costruiti in corrispondenza degli inghiottitoi, hanno portato a stabilire in 1006 litri al secondo il deflusso medio annuale sul quale si può contare per la derivazione progettata. Essendo di 51 Km quadri il bacino imbrifero del Lago Matese, questo deflusso medio misurato corrisponde a una precipitazione di 622 mmp d’acqua: 0,622 m × 51.000.000 mc : 31.536.000 danno un risultato di 1,006 metro cubo al secondo28.
Nella supposizione che la precipitazione locale al Lago Matese sia di 2000 mmp annui, secondo quanto sopra, si viene ad ammettere un rapporto del 31% fra precipitazione totale e utile, risultato attendibilissimo, trattandosi di terreni calcarei in massima parte spogli di vegetazione. La conclusione di queste misure scrupolose e suffragate dalle regole pratiche dell’idrologia e della meteorologia, vengono a sfatare senz’altro le preoccupazioni di quelli che vedono nella progettata derivazione del Lago Matese il pericolo di un esaurimento delle copiose sorgenti che sgorgano alle falde della massa montuosa nelle province di Caserta, Benevento e Campobasso, sorgenti che complessivamente hanno una portata media di 16 metri cubi, vale a dire sedici volte superiore a quella che compete al bacino del Lago Matese.

b) dal Lago Matese a Valle Paterno

a) Opere di ritenuta al Lago Matese. Per impedire il disperdimento delle acque affluenti al lago attraverso gli inghiottitoi, e al tempo stesso elevare il pelo29 del lago stesso alla quota massima di metri 1011,50 si sono progettate delle dighe in terra. In località Brecce la diga, partendo dalla sponda del lago alla quota di metri 1012, si spingerà verso occidente fino quasi a raggiungere la strada Mandre e poi seguirà l’andamento di questa fino alla sponda settentrionale del lago stesso. Le acque del Ritorto saranno convogliate fino alle opere di presa e quivi sollevate con pompe azionate da motori elettrici e immesse nel canale derivatore. La diga sopra accennata porterà notevole beneficio alla popolazione di San Gregorio, poiché oltre a rendere transitabile in ogni periodo dell’anno la strada Mandre, attualmente per lungo tempo allagata, bonificherà, sottraendoli all’invasione delle acque del lago, tutti i terreni a occidente della diga stessa. In località Fosso Caporale sarà costruita una seconda diga, pure in terra, allo scopo di circoscrivere quell’inghiottitoio. Infine, in località Scennerato, un argine in terra avrà inizio circa 150 metri a occidente dell’inghiottitoio, e si estenderà fin presso le sorgenti di Santa Maria, isolando tutta la superficie di terreno circostante al fosso Vollanito30. Anche questa zona, appartenente al demanio comunale di Castello d’Alife, trarrà immenso vantaggio per le medesime ragioni sopra esposte. Si prevede dover costruire una diga sulla sponda meridionale del lago presso la Valle dei Ladri, per impedire che le acque vengano a contatto con alcune zone di roccia calcarea affiorante, e le relative modalità saranno specificate nel progetto esecutivo, in seguito ai risultati degli studi e dei sondaggi che si stanno facendo. Il volume d’acqua immagazzinabile nel lago, per effetto delle dighe, è di circa dodici milioni di metri cubi. Questo serbatoio permette di utilizzare, nella stagione estiva-, quando l’afflusso al lago è sensibilmente ridotto-, le acque accumulate durante i mesi invernali. Le opere di ritenuta e di presa sono però calcolate in modo da permettere un maggiore invaso oltre la quota di metri 1011,50 qualora le condizioni di permeabilità del terreno si presentino favorevoli e le esigenze di servizio lo richiedano. Nel qual caso si fa riserva di apportare le opportune modifiche al progetto definitivo che oggi è presentato.
b) Opere di presa. Le acque raccolte nel lago sono convogliate mediante un canale a sezione trapezia alla presa propriamente detta. Una paratoia mobile ha lo scopo di regolare il deflusso nella galleria forzata.
c) Galleria forzata. La galleria forzata è lunga 2660 metri e ha due pozzi di attacco intermedio, fra una sezione e una pendenza, tali da consentire una portata di 3120 litri al secondo. Detta galleria fa capo al pozzo piezometrico31 dal quale ha inizio la condotta forzata.
d) Condotta forzata. La condotta forzata è costituita da due tubazioni in lamiera d’acciaio chiodata, per il primo tratto, di metri 600, con diametri e spessori variabili rispettivamente fra 1300 e 1100 mm e fra 17 e 18 mm; ed è in lamiera d’acciaio saldata per un secondo tratto di metri 429, con diametro costante di 1000 mm e spessori variabili da 13 a 30 mm. Con la portata massima di litri 3120 per secondo (1560 per ciascuna tubazione), la velocità d’acqua nei tubi non supererà i due metri al secondo.
e) Edificio motori. Le tubazioni forzate si riuniscono in un unico collettore che ha l’ufficio di ripartire l’acqua alle turbine della centrale idroelettrica posta sulla sponda sinistra del Vallone Paterno, in località Colle Regina. Il salto utile fra i peli morti32 d’acqua normali nel pozzo piezometrico e canale di scarico alla Centrale è di metri 465,92; essendo di 1006 litri al secondo la portata media costante, ne risulta una potenza di 1006 × 465,92 : 75 = 6249 HP nominali, pari a 4697 HP effettivi sull’asse delle turbine. L’edificio motori è formato da una sala con tre gruppi generatori (turbine Pelton33 e alternatori) e un gruppo d’eccitazione, e da un fabbricato attiguo per i quadri e i diversi servizi d’officina. I gruppi generatori sono ciascuno della potenzialità di 5000 HP effettivi, ottenendosi così una potenza complessiva di 15000 HP, compresa la riserva. Di detti gruppi ne saranno inizialmente installati due.

c) dal Vallone Paterno a Piedimonte

a) Canale derivatore. Le acque di scarico della Centrale sopradescritta sono direttamente immesse nel canale derivatore del II° Salto. Detto canale è a pelo libero. Anche la sezione di questo canale è stata calcolata per una portata di 3120 litri al secondo, con una pendenza del fondo di metri 0,001 per metro. Esso si sviluppa all’aperto per circa 3300 metri, salvo un tratto di 610 metri di sifone, in località Serretelle.
b) Camera di carico. Il canale sbocca nella camera di carico che si progetta in muratura con rivestimento del fondo in calcestruzzo. Essa è munita di un sifone autolivellatore, capace di smaltire oltre l’intera portata del canale, e del pozzetto (preceduto dalla griglia e fossetto per i depositi) al quale fanno capo le tubazioni forzate con paratoie iniziali di regolazione. Il pozzetto ha lo scarico di fondo con paratoie e versa le acque nello stesso tubo di scarico del sifone.
c) Condotta forzata. La condotta forzata è formata da due tubazioni in lamiera d’acciaio chiodata con un primo tratto di metri 414, con diametro e spessori variabili rispettivamente fra 1300 e 1000 mm e 15 + 18 mm; e in lamiera d’acciaio saldata per un secondo tratto di metri 413,30 con diametro costante di 1000 mm e spessori variabili da 13,05 a 22 mm. Con la portata massima di litri 3120 per secondo (1560 per ciascuna tubazione), la velocità dei tubi non supererà i metri due per secondo.
d) Edificio motori. Le tubazioni forzate si riuniscono in un unico collettore che ha l’ufficio di ripartire l’acqua alle turbine della centrale elettrica posta presso Piedimonte d’Alife, vicino alle sorgenti del Maretto.
Il salto utile fra i peli morti d’acqua normale nella camera di carico e canale di scarico della centrale è di metri 359,05. Essendo di 1006 litri al secondo la portata media costante, ne risulta una potenza di 1006 × 359,05 : 75 = 4816 HP nominali, pari a 3612 HP effettivi. L’edificio motori è formato da una sala con 5 gruppi generatori (turbina Pelton e alternatore) e un gruppo d’eccitazione, più un annesso fabbricato per i quadri e i servizi vari di officina. I gruppi generatori sono ciascuno della potenza di 2500 HP effettivi, ottenendosi così una potenza complessiva di 12.500 HP effettivi, compresa la riserva. Inizialmente saranno installati tre soli gruppi.
e) Canale di scarico. Il canale raccogliente le acque di scarico delle turbine si svolge parte in galleria artificiale (sotto la sala macchine) e parte all’aperto. La sua sezione trasversale rettangolare, col fondo a leggera doppia inclinazione, ha le dimensioni principali di metri 1,50 × 5,00. Alla progressiva34 70,00 è importato uno stramazzo di misura largo metri 10,00 corrispondendo a esso un allargamento del canale stesso.
Con una lama stramazzante35 di 0,35 metri, detto stramazzo potrà permettere il deflusso della portata massima dell’impianto di litri 3120 per secondo36
A valle dello stramazzo misuratore, il canale si restringe gradualmente per riprendere le dimensioni di metri 1,50 per 5,00 fino al suo sbocco nel Rio Maretto. L’attraversamento del canale esistente dei Cotonifici Meridionali è fatto a mezzo di sovrapassaggio obliquo con ponte canale in cemento armato. Le acque si riversano alla confluenza del Rio Maretto col Rio Paterno, ivi una solida scogliera completerà la sistemazione del fondo, in maniera da annullare le azioni meccaniche ed erosive delle acque.

Movimento operaio e nascita del fascismo a Piedimonte d'Alife

Per Piedimonte, la costruzione della Centrale idroelettrica-, con la presenza di tecnici e operai-, ha rappresentato non solo un decisivo volano economico, ma anche un crogiuolo d’idee e un arengo di lotte politiche. Se da un lato gli operai della SME professavano ideali socialisti e, dal 1921, in tanti abbracciarono la fede comunista, propagandata da Antonio Marasco37, è anche vero che molti tecnici, l’11 aprile 1921, fondarono una sezione del Partito nazionale fascista38 in Piedimonte39. Anzi, si può affermare che la stragrande maggioranza degli iscritti alla sezione fascista era rappresentata da funzionari, tecnici e impiegati della SME, con a capo l’avvocato Arturo Ercole Corbi.
Basta leggerne l’elenco per farsi un’idea: 1) sig. Francesco Zito, Gioia Sannitica (Caserta); 2) cav. Pasquale Masciotta, Piedimonte d’Alife (Caserta); 3) sig. Michelangelo Di Lullo, Piedimonte d’Alife; 4) sig. Vincenzo Capasso, commerciante, Piedimonte d’Alife; 5) sig. Carlo Dresco, Hotel Matese, Piedimonte d’Alife; 6) geom. Giacomo Martinallo, Hotel Matese, Piedimonte d’Alife; 7) ing. Enrico Guicciardi, Società Meridionale d’Elettricità (SME), Piedimonte d’Alife; 8) ing. Giovanni Guglielmi, SME, Piedimonte d’Alife; 9) ing. Giorgio Pelleri, SME, Piedimonte d’Alife; 10) geom. Ambrogio Lari, SME, Piedimonte d’Alife; 11) sig. Giambattista Scanzio, SME, Piedimonte d’Alife; 12) Sig. Beniamino Coppi, SME, Piedimonte d’Alife; 13) sig. Guerino Bedone, SME, Piedimonte d’Alife; 14) geom. Luigi Albertario, SME, Piedimonte d’Alife; 15) sig. Giuseppe Bussolotti, SME, Piedimonte d’Alife; 16) sig. Gino Alfi, SME, Piedimonte d’Alife; 17) sig. Antonio Zappulo, Castello d’Alife; 18) sig. Salvatore Linguido, Castello d’Alife; 19) avv. Arturo Ercole Corbi, Piedimonte d’Alife; 20) conte cav. Mario Gaetani di Laurenzana, Piedimonte d’Alife; 21) sig. Antonio Antonellis, Piedimonte d’Alife.
Come si può vedere, il gruppo dei funzionari e dei tecnici SME, peraltro molto qualificati-, considerando l’istruzione media del tempo-, nel fascio piedimontese era a dir poco preponderante. Mentre nelle altre parti della provincia di Caserta si aveva un fascismo prevalentemente agrario o legato agli interessi del padronato industriale, a Piedimonte la rappresentanza fascista era costituita dai quadri dell’impresa elettrica e cotoniera. Per quanto riguarda il numero degli ingegneri, geometri e periti-, che lavoravano alla SME ed erano iscritti al fascio-, addirittura Piedimonte rappresentava in Terra di Lavoro un caso più unico che raro.
Ciò conferma-, ove ce ne fosse bisogno-, la tesi di Renzo De Felice che, in un’intervista allo storico americano Michael Arthur Ledeen40, rilasciata nel 1975, disse che il fascismo delle origini era in gran parte l’espressione dei ceti medi emergenti.

Riferimenti bibliografici

  • Francesco Barbagallo, Francesco Saverio Nitti, UTET, Torino 1984.
  • Giuseppe Barone, Mezzogiorno e modernizzazione. Elettricità, irrigazione e bonifica nell'Italia contemporanea, Einaudi, Torino 1986.
  • Luciano Cafagna, Dualismo e sviluppo nella storia d'Italia, Marsilio, Venezia 1990.
  • Augusto De Benedetti, La Campania industriale: intervento pubblico e organizzazione produttiva tra età giolittiana e fascismo, Athena, Napoli 1990.
  • Giuseppe Capobianco, Antonio Marasco e il movimento operaio di Piedimonte Matese, Federazione del Partito comunista italiano, Caserta 1986.
  • Armando Pepe, San Gregorio Matese dall'età liberale al fascismo (1912-1926), Simple, Macerata 2015.
  • Armando Pepe, L' impianto idroelettrico del Matese, iKone, Piedimonte Matese 2016.
  • Armando Pepe, Le origini del fascismo in Terra di Lavoro (1920-1926), Aracne Canterano 2019.

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Hinc felix illa Campania est, ab hoc sinu incipiunt vitiferi colles et temulentia nobilis suco per omnis terras incluto, atque (ut vetere dixere) summum Liberi Patris cum Cerere certamen. Hinc Setini et Caecubi protenduntur agri. His iunguntur Falerni, Caleni. Dein consurgunt Massici, Gaurani, Surrentinique montes. Ibi Leburini campi sternuntur et in delicias alicae politur messis. Haec litora fontibus calidis rigantur, praeterque cetera in toto mari conchylio et pisce nobili adnotantur. Nusquam generosior oleae liquor est, hoc quoque certamen humanae voluptatis. Tenuere Osci, Graeci, Umbri, Tusci, Campani.
[Plinius Sen., "Nat. Hist." III, 60]

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